Alcuni dilemmi etici della dissonanza di genere

Il becco del pellicano 

La “dissonanza di genere”, chiamata anche “incongruenza o disforia di genere”, è una situazione di stress e di sofferenza, conseguente il non riconoscimento del proprio sesso biologico con l’identità di genere vissuta quotidianamente.  L’elemento caratteristico di questa condizione è il malessere percepito dalla persona che vive una discrepanza tra il proprio sesso biologico e la propria identità di genere. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito la dissonanza di genere nell’ICD-11, la Classificazione Internazionale delle Malattie, sotto il capitolo delle “Situazioni in rapporto alla salute sessuale” togliendola dai “Disturbi psichici”, dove era classificata fino a poco tempo fa.  

La classificazione di questa condizione è complessa e oggetto di dibattito pubblico. Per molti, pur essendo una situazione di sofferenza, non è da considerarsi una malattia. Per altri, invece, è da mantenere nella Classificazione Internazionale delle Malattie, in quanto spesso comporta un trattamento medico volto a trattare la condizione per risolvere la situazione di stress e sofferenza dell’individuo. La rappresentazione della dissonanza di genere rimanda ad una più profonda tensione sociale attorno al tema dell’identità di genere. Infatti, la nostra società pretende da sempre che i suoi cittadini si esprimano chiaramente sull’appartenenza propria e altrui o al genere maschile o a quello femminile. Le aspettative condizionano anche gli aspetti esteriori come i vestiti, la capigliatura, le caratteristiche somatiche e pure un comportamento tipico del proprio sesso. 

Oltre a richiamare questa pressione sociale che molte persone vivono ogni giorno, la dissonanza di genere svela un radicale dilemma etico, soprattutto quando a fare esperienza di questa condizione non sono persone adulte, bensì bambini. La ricerca scientifica sull’identità di genere e sul suo sviluppo nei/nelle bambini/bambine e negli/nelle adolescenti ci dice che il riconoscimento del proprio sesso e di quello degli altri avviene entro i due anni ed entro i sei si capisce che, in genere, il sesso è una caratteristica costante di una persona e che non cambia anche se la persona si comporta o si veste in modo sessualmente “atipico”: questa consapevolezza è ritenuta una premessa centrale per il consolidamento della propria identità di genere (Steensma, Trautner, Ruble et al.). Oggi, grazie agli studi sui gemelli omozigoti, si ritiene che i fattori genetici e ormonali siano altrettanto importanti di quelli socio-educativi, rendendo più complessa la lettura di questo fenomeno. 

Negli/nelle adolescenti transgender, quando si rompe l’equilibrio fra la loro biologia, la loro individualità e le aspettative dei loro cari e della società, allora insorge il malessere psichico e peggiora pericolosamente la qualità di vita con depressioni, ansia, pensieri suicidali. È necessario sottolineare il ruolo determinante giocato dalla pressione sociale nella generazione della dissonanza di genere. Una serie di valori antichi e stereotipati della nostra società può causare a questi bambini-adolescenti marginalizzazione e sanzioni psicologiche gravi che, malgrado un sostegno adeguato, trasformano la dissonanza in malattia e, quindi, possono comportare la richiesta di una terapia ormonale, che blocca lo sviluppo della pubertà (tra i 10 e i 14 anni), arrestando in particolare lo sviluppo di caratteri sessuali secondari (barba, seni, mestruazioni, voce) estranei alla propria identità di genere. 

La scelta di interrompere la pubertà comporta alcuni dilemmi etici che occorre risolvere prima di iniziare l’intervento terapeutico. Ve ne sottopongo tre: 1) ritenete che un/a bambino/a di 10-14 anni sia/possa essere già “capace di discernimento” e 2) sappia/possa essere in grado di difendere la sua decisione/autodeterminazione con dei genitori contrari all’intervento? In caso di risposta negativa, chi dovrebbe aiutarlo? 3) ritenete che la “presa di decisione condivisa”, in assenza di reversibilità, possa corrispondere al principio di beneficienza, rispettivamente di non maleficenza, considerando che la ricerca scientifica non può ancora dirci in maniera sicura quali saranno eventuali effetti medicamentosi collaterali a medio-lungo termine? 

Vi invito a discuterne nell’apposita sezione commenti.  

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