Dallo Sconosciuto a Mendel: la penna che esorcizza il dolore
Medici d’autore
3 Luglio 2025 – Medical Humanities, Arte, NarrazioniTempo di lettura: 10 minuti
3 Luglio 2025
Medical Humanities, Arte, Narrazioni
Tempo di lettura: 10 minuti
Lo scorso mese abbiamo sfiorato la penna di Pedrazzini e la sua cardiologia “letteraria”. Nel nostro nuovo appuntamento, saltiamo Oltralpe nuovamente, ma senza spostarci troppo dal Ticino. Se avete seguito le indicazioni dei precedenti articoli, ormai la vostra fama da lettori di medici vi precederà. Chiaramente, la vostra libreria di quartiere ringrazia. Nessuno sponsor per questa rubrica eh, qua si dialoga tra appassionati.
Affamati di odor di carta vecchia, i veri bibliofili sono sempre lì tra gli scaffali. Oggi vi parlo di Elena Cerutti, medico torinese e narratrice straordinaria, le cui opere intrecciano Scienza, emozione e Umanesimo clinico in un abbraccio narrativo che cura chi scrive e chi legge. Elena Cerutti, medico primario del reparto di Medicina interna di una struttura ospedaliera a Torino, e responsabile delle comunicazioni per l’Associazione Medici Scrittori Italiani (AMSI), è un esempio prototipico di medico umanista. La sua passione per la scrittura sboccia presto: a dodici anni vince il premio Bardesono con un racconto, primo passo di una carriera letteraria che si affianca alla professione medica. Formatasi alla scuola Holden, Cerutti trasforma un’esigenza personale di catarsi in romanzi che parlano a un pubblico universale, conquistando riconoscimenti come il premio Zanibelli e una menzione al premio Cesare Pavese.
Entriamo nel vivo ora, preparatevi. Tra le altre cose, Cerutti pubblica due romanzi, Lo sconosciuto (Golem, 2014) e Il cappello di Mendel (Golem, 2018): opere di formazione, che scavano nelle profondità dell’esperienza umana. In Lo sconosciuto, finalista al premio Mario Soldati e selezionato per la trasmissione RAI Masterpiece, seguiamo Stella, medico e donna segnata da una relazione tossica con Giovanni, giornalista freelance. In Lo sconosciuto racconta l’autrice che «quando tre anni fa ho cominciato a scrivere questo romanzo, l’ho fatto per liberarmi da un’inquietudine legata a traversie personali. Per me ha avuto una valenza innanzitutto psicoanalitica. Ma man mano che il testo prendeva forma, mi sono resa conto che scrivere mi piaceva e ho cominciato a pensare di trasformare il diario in un romanzo, nel quale altre donne potessero riconoscersi».
Nato come diario personale, il romanzo si sviluppa come un’indagine psicologica, dove lo “sguardo medico” di Cerutti analizza i sintomi di un amore malato con precisione clinica.
Già solo il titolo della prima sezione del romanzo L’innamoramento, ovvero l’ingannevole essenza dell’amore (sic) farebbe storcere il naso a più di un lettore di romanzi rosa, di quelli che cercano sugli scaffali qualcosa che possa farli commuovere e fargli magari rivivere un po’ di profumo autentico degli amori di gioventù. A lieto fine, magari. Ecco, questo non è il caso dello Sconosciuto.
Cerutti non scrive un romanzo rosa: questa storia, possiamo dirlo, tocca i confini di un vero manifesto sulla libertà individuale, sulle differenze di genere, sulla malattia. In Lo sconosciuto la narrazione si apre con un’immagine vivida: «Stella spinse lo sguardo oltre la finestra dello studio medico. Quella notte il freddo si era fatto pungente. Il vento gelido frusciava tra le fronde degli alberi quasi spogli e le foglie cadute si accartocciavano lungo i marciapiedi». Già dall’incipit la medico scrittrice cala il lettore in un’atmosfera di tensione, che culmina in un momento cruciale: Stella, chiamata d’urgenza in pronto soccorso, si trova davanti al corpo senza vita del suo ex marito, ormai uno “sconosciuto”.
Qui emerge tutto il conflitto tra emotività e professionalità. D’altronde, questo è uno dei temi fondanti del nostro Umanesimo clinico.
Con Il cappello di Mendel, Cerutti si spinge oltre, esplorando l’autopatografia attraverso Giulia, medico e paziente affetta da cancro. Vincitore del premio Zanibelli per la “parola che cura”, il romanzo intreccia le storie di cinque donne di una stessa famiglia, unite da un destino comune. La malattia di Giulia diventa un’occasione per riflettere sulla vulnerabilità umana: «sentì nascere e montare, come albume sbattuto, una rabbia contro sé stessa, contro il suo corpo che non ne voleva sapere di rispondere alle cure, e contro la medicina che ancora non aveva trovato valide soluzioni per combattere il cancro».
La scrittura di Cerutti, come dichiara in un’intervista, nasce dal «bisogno di raccontare storie di emozioni, profonde e vere, perché reali e dai contenuti con valore sociale».
Questo approccio rende la sua opera un ponte tra Scienza e humanitas, un dialogo che invita il lettore a riconoscersi e crescere.
E vi dirò, entrambi si leggono proprio bene. Lo stile di Cerutti è essenziale, quasi chirurgico, ma caldo di emozione. Evita tecnicismi medici, eppure il contesto ospedaliero e il linguaggio della cura permeano le sue storie. Come ci dice l’autrice «il fare il medico rende empatico verso il paziente e le sue sofferenze, aumenta la capacità di ascolto», sottolineando come la scrittura sia per lei una catarsi, un modo per elaborare il dolore, personale e professionale.
Nei suoi romanzi, l’ospedale non è solo sfondo, ma un personaggio vivo, come quando descrive Stella, consumata dal dolore personale: «nel tentativo di riempire quell’incolmabile senso di vuoto che si portava dentro, cercò di dedicarsi ai malati come se fossero stati la sua famiglia”. Questo passaggio rivela la dedizione di un medico che trova nella cura degli altri un modo per lenire le proprie ferite. E ciò che dà valore è proprio il fatto che la stessa autrice, come medico, sa bene ciò che sta raccontando. Forse lo ha provato sulla sua pelle, forse è frutto della finzione letteraria: a noi lettori importa poco. Quando leggiamo qualcosa che sa di autentico, difficilmente stacchiamo gli occhi dalla pagina.
Leggere Elena Cerutti è un’esperienza che va oltre il piacere della lettura. I suoi romanzi sono un invito a esplorare il potere terapeutico della narrazione, altro pilastro dell’Umanesimo clinico. Attraverso le sue storie Cerutti ci ricorda ancora una volta che la parola scritta può curare. Essa può offrire al lettore uno specchio per comprendere le complessità della vita. La sua scrittura, radicata nell’esperienza personale, ci ricorda che la Medicina non è solo Scienza, ma relazione. Ascolto, empatia. Durante l’intervista insiste sul fatto che è proprio la narrazione, l’anello mancante nel rapporto di cura tra paziente e medico.
Miei cari lettori, Cerutti ha anche fatto una piccola anticipazione, durante l’intervista. Nel suo cassetto c’è un nuovo romanzo, Ricordati di dimenticare, che esplorerà il tema dell’Alzheimer. Progetto che direi conferma la sua vocazione a usare la scrittura come strumento di riflessione e guarigione. La sua opera, come quella del nonno medico-scrittore che cita in Il cappello di Mendel, è una “preghiera” che inietta gioia e consapevolezza: aggiunge infatti che
«la poesia è preghiera, la prosa è preghiera, il comportamento stesso dei personaggi dei miei romanzi e novelle lascia per strada il profumo della preghiera».
Ormai, lo sappiamo: quando si entra nel mondo dei medici scrittori, non se ne esce facilmente. Allora, lasciatevi sedurre. Ma tenete sempre la guardia alta. I due romanzi di Cerutti sono storie consigliate senza controindicazioni, però attenzione: se cercate la leggerezza, meglio guardare altrove. Le sue sono cronache potenti, autentiche. Aprite Lo sconosciuto per affrontare le cicatrici della violenza di genere o Il cappello di Mendel per guardare la malattia con gli occhi di un medico, e lasciatevi curare da parole che scavano l’anima e guariscono il cuore.
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Una risposta a “Dallo Sconosciuto a Mendel: la penna che esorcizza il dolore”
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Bellissimo articolo. Permette di conoscere l’autrice cogliendo il rapporto profondo tra il suo essere medico e scrittrice allo stesso tempo. La penna di Ivan invoglia alla lettura ancor prima di avere il libro tra le mani. Sarà nel mio scaffale presto, sono davvero curiosa.
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