Fili d’esistenza

Passi di danza nel giardino della Cura alla ricerca del senso della vita 


Mi commuovono i fili d’erba,

i fiori della malvarosa
spuntati per aria, sui tetti
delle chiese, sul ciglio delle cupole.
Lo spirito soffia dove vuole,
ma lì ha dolcemente soffiato.
Mi commuovono perché credo
che in quelle umili piante
rivive qualche anima gentile
e forse spero
che una parte di me
possa così durare
in questa luce.

Giorgio Vigolo 
(da “La linea della vita”, Mondadori, 1949) 

 

Come abitare la luce, che il poeta evoca, che è luce di speranza di fronte al dolore del Mondo, proprio quando la tempesta si fa crudele e il naufragio imminente? 

In questo tempo fra i tempi, come scriveva Friedrich Gogarten nel ‘20 del secolo scorso, in questo tempo di povertà, in cui è necessario continuare a sognare e in cui abbiamo bisogno più che mai dei poeti, siamo ineludibilmente chiamati a prenderci Cura dell’anima, che sta come un acrobata tra la paura del vivere, da cui vogliamo a volte sfuggire e altre guarire, e il desiderio di salvezza, che ci porta a sentire la brezza dell’Oltreità. 

L’anima, che non è solo corpo e nemmeno solo mente, ma qualcosa che nell’umano è eccedenza, condizione dell’Aperto e dell’Infinito. Curare l’anima e le anime è curare la vita, per guarire a volte dalla vita stessa e da quel gesto delle origini, che ci ha, come scrive Heidegger, gettato nella vita e nel mondo. Per questo dobbiamo divenire cura, essere cura, farsi cura, prendersi cura, avere cura di chi è e si fa fratello. 

Nel tempo della tempesta, quando i venti della vita si fanno tumultuosi e il naufragio sembra vicino,  

nel tempo della guerra, che uccide gli innocenti, come quella che insanguina ora le terre d’Europa,  

nel tempo del grande contagio, come quello che abbiamo vissuto nell’ora della pandemia,  

nel tempo del deserto di senso e del disincanto in cui vagabondano molti giovani, 

nel tempo delle nebbie, che oscurano il futuro,  

nel tempo in cui si cerca di anestetizzare la vita o di eccitarla per sentirsi vivi,

in questo tempo inquieto il giardino della vita si ritrova sovente soffocato dalle tante malerbe che lo abitano e la Cura della vita inaridita.

Ma come guarire da tutto ciò? 

Al di qua e al di là dalla guarigione c’è un pressante bisogno di salvezza, di sguardi, di presenza, che cerca uno spiracolo di trascendenza. Abitare la nostra spiritualità e farsi abitare da lei, so-stare nella tensione mistica verso l’Assoluto è il compito primo dei curatori d’anima, di chi prova a fare della vita, come evocano le parole di Keats, una «valle del fare anima».  

Nove sono i “passi di danza” di questo abitare e farsi abitare da una spiritualità in situazione, da una spiritualità incarnata, che chiamo Cura.  

“Nove passi di danza”:  

  1. quello che la apre alla trasformazione, che fa del presente la dimora del futuro e del viaggio una permanente scoperta;
  2. quello che la lega all’idealità dell’esistenza, alle cose ideali da raggiungere, da sognare. La speranza qui cammina nel vento di una missione, che ognuno di noi ha depositata dentro di sé;
  3. quello che fa accadere lo stupore della vita, che svela la meraviglia contro la banalità del mondo;
  4. quello che la fa parlare con il linguaggio del Possibile, là dove sempre è possibile qualcosa anche quando tutto sembra impossibile;
  5. quello che non la fa vivere solitaria. Ha bisogno di compagnia e di comunione, di amicizia, di fratellanza e di una comunità accogliente, senza la quale il suo respiro diverrà faticoso;
  6. quello che indica il suo coraggio, la sua forza contro la rassegnazione al destino per ritrovare una destinazione;
  7. quello che le dona larte dellattesa. La spiritualità nella Cura ha bisogno della forma lenta della vita. Qui sta la tensione tra il dolore di qualcosa che non arriva e la gioia di qualcosa che nuovamente bussa alla tua porta;
  8. quello che apre all’amore del gesto di Cura, che è tenerezza, gentilezza, abbraccio dato e ricevuto;
  9. quello, infine, di essere messaggero dell’Altrove e dell’Oltre, di abitare insieme il quotidiano e il mistero di ciò che è già ma non è ancora

Messaggero della fondamentale eccedenza dell’uomo, che permette di volare oltre le nubi della tempesta contro la gravità dell’esistenza. Al di là dei corpi da guarire con l’arte medica e della mente da alleviare con la parola psicologica, è l’anima, perla dell’esistenza, a soffrire maggiormente in questo tempo vuoto.  

Un tempo che spezza in tante particelle l’esistenza. È di lei che ci dobbiamo occupare come fossimo giardinieri dell’esistenza, operai nel giardino della cura 

Un giardino che ospita i “fiori” della Buona Cura di Sé, dell’Altro e del Mondo 

«La Cura — scrive Lévinas — è dono di sé, è co-partecipazione alla vita nel suo Mit-sein, nel suo essere per, essere con, essere verso, essere di fronte, è sentirsi co-responsabili per l’intero edificio della creazione». 

La Cura abita un giardino in cui possono crescere “fiori d’incanto”, che evocano il canto della bellezza, della leggerezza dei gesti, della tenerezza e la mitezza dello sguardo, della carezza con cui toccare il mondo, della gentilezza delle parole, ma anche dell’amicizia e dell’accoglienza, di cui è fatta la fratellanza.  

“Fiori” del riconoscimento, della responsabilità, della reciprocità, della responsività, della dignità umana, così come della ricerca di un senso alla vita stessa. Una vita, che è esistenza nel triangolo tra mente, corpo e anima ove aspettare il soffio dello spirito che mantiene in vita l’anima.  

«L’anima — scrive Platone nel Carmide — o caro, si cura con certi incantesimi e questi incantesimi sono i discorsi belli».  

I discorsi che cercano la bellezza. La bellezza che è sempre un’epifania, un richiamo, un incontro.  

«È nell’incontro di un uomo con l’altro che si gioca — evoca Emmanuel Lévinas — l’essenziale, l’assoluto; nella manifestazione, nell’epifania del Volto dell’altro scopro che il mondo è mio nella misura in cui lo posso condividere con l’altro. E l’assoluto si gioca nella prossimità, alla portata del mio sguardo, alla portata di un gesto di complicità, di accoglienza». 

Di fronte alle sfide del nostro tempo tra i tempi, che la pandemia e la guerra hanno reso a volte “feroce” scelgo sette parole-guida, che possono accompagnare il nostro cammino e che assumono sempre più la forza di indicatori di esistenza: parole come dignità, solidarietà, tenerezza, amicizia, fratellanza, fraternità e gentilezza. Parole che stanno nel duplice movimento di dono e di accoglienza. Bisogno di solidarietà, bisogno di tenerezza nell’orizzonte incantato della meraviglia.  

Senza questa attenzione, questa disponibilità ad accogliere l’invisibile e l’inaudito arrischieremmo progressivamente di cadere in uno stato di “panne emozionale”, abitato dalla noia del già-tutto-provato e del già-tutto-sentito, dalla perdita progressiva del desiderio. Esposti ad un’anestesia dei sentimenti, che ci obbliga per “stare a galla” a medicalizzare ogni emozione e comportamento della vita e a frequentare freneticamente i tanti illusori “rigeneratori” d’energia e di salute, che sovente sono come sirene incantatrici. 

È forse questo il destino dell’uomo fattosi “tecno-macchina”, “homo-psicodigitalicus”, e delle sue sempre più raffinate “stazioni di rifornimento energetico”, di cui la condizione depressiva del Covid e del post-Covid, divenuta quasi normale, ci parla? 

Viviamo infatti in un tempo sismico e scivoloso tra l’evanescenza delle cose del mondo e la ricerca della grazia, che ci invita ad ammirare i cieli, in cui però è sempre più difficile trovare delle “boe di galleggiamento” per proteggere, preservare, riparare, far fiorire, dare senso alla vita. 

Alla ricerca del senso della vita, che è sfuggito nel profondo oscuro dei cieli e di cui sentiamo a volte solo il respiro affannoso nelle vibrazioni del cuore.  

Un senso della vita, come scrive François Cheng, che insieme è direzione del mio cammino (verso dove andare?), significato (perché devo andare?) e sentimento d’amore, per poter riscrivere il mondo e la nostra quotidianità in un ritrovato, evocando Max Scheler e prima di lui Sant’Agostino d’Ippona, ordo amoris 

Bibliografia

Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano, 1961.
Cheng,
Cinq méditations sur la beautè, Albin Michel, Parigi, 2006.
Scheler,
Ordo amoris, Morcelliana, Brescia, 1933|2008.
Sant’Agostino d’Ippona, De civitate Dei, Città Nuova, Roma, 413-426|2000. 

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