Freud e Virgilio – Parte 2
Nei Ricordi di Copertura (1899)
Questo articolo fa parte di una serie. Il contributo precedente è consultabile qui.
19 Giugno 2025 – Psichiatria, DoloreTempo di lettura: 5 minuti
19 Giugno 2025
Psichiatria, Dolore
Tempo di lettura: 5 minuti
Lo scritto a cui faccio riferimento ha una importanza fondamentale nell’impianto teorico e tecnico della Psicoanalisi freudiana. Infatti,
Freud cerca di mostrare come la mente umana tende a proteggersi dall’angoscia e dal dolore causati da vicende drammaticamente sperimentate,
attraverso dei meccanismi psicologici di difesa che possono essere ricondotti globalmente alla rimozione, la sottrazione dell’elemento conscio dai ricordi traumatici, sia per quanto riguarda la loro espressione rappresentativa, sia per quanto riguarda la parte affettiva, quest’ultima sottoposta al processo della repressione.
L’esempio clinico addotto da Freud è un ricordo d’infanzia che lo riguarda: in compagnia di un cuginetto giocava bambino a raccogliere i fiori gialli di un prato dove anche una bimbetta faceva la stessa cosa; ad un certo punto i due maschietti strappano i fiori dalle mani della bimba, che corre poi a farsi consolare da una materna contadina che le dona del pane; i due ragazzini accorrono per avere la loro razione di pane. Con un accurato lavoro di indagine Freud chiarisce che il ricordo racchiude elementi di aggressione sessuale, di desiderio e di invidia, di colpa e di esclusione. Ma soprattutto Freud illustra il lavoro della rimozione che tende a ingentilire gli aspetti più traumatici dell’esperienza, ma che conserva i legami associativi che permettono di ricostruire i rapporti tra ricordo di copertura ed esperienza vissuta, in un nesso che lascia aperta la porta all’autenticità della consapevolezza della propria vita senza essere sopraffatti dal dolore e dalla colpa.
Ed a questo punto Freud cita Virgilio: «Forsan et haec olim meminisse iuvabit» (Eneide, 1, 203). Il verso è tratto dall’episodio in cui Enea rincuora i propri compagni dopo una terribile tempesta che ha sconvolto la flotta, mentre solo alcune delle navi riescono a riparare a terra. Gli uomini sono sfiniti e ancora atterriti da quanto hanno vissuto, ma Enea li conforta: un giorno forse sarà bello ricordare anche questi avvenimenti, così terribili nel momento del loro accadere, ma non più tali quando il tempo sarà trascorso e ben diverso sarà stato il destino dei naviganti. Avranno finalmente una patria e potranno tutti invecchiare sereni e al sicuro, circondati da figli e nipoti.
Le condizioni, dunque, perché il dolore possa essere ricordato sono quelle di una nuova e sicura realtà, per cui, attraverso le vie associative e sicuri dal traumatico turbamento, si possa dare forma e senso alla vita ed alle sue vicissitudini anche sofferte.
Ciò è quello che accade nella buona analisi, grazie alla rassicurante alleanza di lavoro che consente di sviluppare la integrazione dei ricordi più dolorosi, utilizzando le vie associative che permettono di ricostituire i nessi necessari per pervenire a realizzare serenamente quello che sembrava impossibile e indesiderabile, portare la consapevolezza laddove dominava la rimozione, la quale tuttavia si era rivelata incapace di una vera pacificazione dell’animo.
Pur compiute tutte le debite distinzioni, Virgilio propone per bocca di Enea una sua terapia del dolore e del costruttivo ricordo, ed è questa la ragione per cui Freud lo cita.
Perché mai il paziente dovrebbe abbandonare le sue difese per rischiare di vivere una esperienza di dolore nel confronto coi suoi sentimenti e con la sua storia? Certamente perché le difese utilizzate non sono efficaci, ma soprattutto perché la buona analisi realizza quelle condizioni per le quali il ricordare non è più così terribile.
Freud si rende conto del paradosso contenuto nel lavoro dell’analisi, contrastare il lavoro della rimozione che dovrebbe proteggere dal dolore, e intuisce il beneficio che può nascere dal Ricordare, ripetere ed elaborare, ma non ha ancora del tutto chiarito la complessità del compito dell’analisi, tanto che al termine della sua vita ancora si interroga sull’efficacia terapeutica del suo lavoro, nella profonda riflessione di Analisi terminabile ed interminabile (1937).
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