Freud e Virgilio
Nell’Interpretazione dei Sogni (1899/1900)
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13 Gennaio 2025 – Psichiatria, Medical Humanities, MorteTempo di lettura: 6 minuti
13 Gennaio 2025
Psichiatria, Medical Humanities, Morte
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Freud era dunque un appassionato lettore di classici, ed ho citato alcuni dei suoi autori di riferimento, ai quali ha dedicato anche degli importanti saggi. Ma accanto ad opere per dir così monografiche dedicate ad alcuni di loro, ci sono nei suoi scritti citazioni occasionali di numerosi scrittori da lui evocati in una o più occasioni.
Uno di questi è il poeta latino classico Virgilio, di cui Freud cita in particolare alcuni versi dall’Eneide, ma della cui opera e della cui personalità ritengo egli abbia accolto suggestioni che vanno ben al di là degli esempi riportati. Il mio interesse per Virgilio, come credo per molti di noi, è nato all’epoca del liceo, quando da un lato si leggeva l’Eneide in latino, si leggevano e si traducevano le Bucoliche e le Georgiche, e dall’altro lato si leggeva la Divina Commedia, poema nel quale Dante elegge a suo maestro e guida proprio Virgilio, soprattutto mostrando di conoscere il suo poema epico. Il mio interesse per Virgilio e per Dante non è mai venuto meno, ed in molti modi in quanto analista ho riconosciuto il mio debito costante verso questi due autori; tuttavia, ricordo i miei vent’anni, e la sorpresa e la mia grande gioia quando all’inizio della Interpretazione dei sogni ho trovato in exergo il verso virgiliano: Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo.
Dunque, all’inizio dell’opera fondatrice della Psicoanalisi e di tutta la ricerca relativa alla conoscenza della mente umana, Freud pone Virgilio e questo suo verso che possiamo tradurre: se non potrò ottenere l’aiuto degli Dei del Cielo, evocherò quelli del Sottosuolo. La citazione è dall’Eneide, VII, 312. Si tratta di una frase pronunciata da Giunone, nemica e odiatrice dei Troiani, che, non riuscendo ad impedire ad Enea di portare a termine il suo viaggio aiutato da Giove, decide colma di rabbia di rivolgersi alle divinità infernali, ed in particolare ad Aletto, una specie di divinità dell’odio, una furia. Giunone non arriverà a realizzare il suo piano, ma solo a ritardare il percorso di Enea, il pio Enea.
Dunque, quale pertinenza ha questo verso con i propositi di Freud? Poca sembrerebbe. Eppure, Freud utilizzando questo verso, potrebbe alludere ad un processo terribile, ad un viaggio non meno avventuroso di quello di Enea, quello dell’esplorazione dell’inconscio, che utilizza dei mezzi bizzarri e spaventosi, che implica un estremo coraggio, che sfiora abissi profondi, che potrebbe apparire un percorso minaccioso e addirittura distruttivo. L’analizzando, lo sappiamo, è scosso dalla paura e dall’esperienza soprattutto segreta dell’odio; si è protetto con il misterioso meccanismo della rimozione, ed ancor di più del diniego e della oscura dissociazione, che lo hanno spiacevolmente ottuso, spingendolo verso la regressione intellettuale ed emotiva ed ai confini angusti determinati dai suoi punti di fissazione.
Ora con l’inizio dell’analisi, le cose si vanno profondamente modificando, e quello che poteva apparire mediocre salvezza viene abbandonato per percorrere le vie oscure ed inquietanti dell’inconscio. Sembra un percorso irto di pericoli, e lo è. L’angoscia, la distruttività, l’odio sono le terribili presenze dell’animo umano, che, Freud capisce, non possono essere evitate senza una grave mutilazione della propria umanità, quand’anche per proteggersene. L’odio di Giunone è infernale, come profonde, oscure e inconsce sono le paure degli uomini.
Questo affidarsi di Freud all’esplorazione dei sentimenti più cupi dell’uomo è un progetto temerario, potrebbe essere l’esplorazione dell’odio di Giunone, fatto di invidia, di gelosia, di narcisismo di morte, dei sentimenti che ci fanno ammalare, che o si manifestano nella follia paranoica ed omicida della storia, o giacciono come una belva rintanata nella nostra intimità e ci fanno soffrire, sia che ne siamo spaventati perché oscuramente li percepiamo in noi stessi, sia che ne siamo atterriti perché oscuramente e meno oscuramente li percepiamo fuori di noi nella forma della distruttività umana nelle sue manifestazioni più piccole, quotidiane, e nelle sue manifestazioni più grandi, politiche e storiche, spesso catastrofiche.
Freud dunque poteva sembrare avere abusato della citazione virgiliana, ma spero di avere mostrato che non è così, che
il viaggio nell’inconscio è motivato dalla paura, ed in ultima analisi dall’odio, ma forse meglio dal desiderio di riconoscerlo e di curarlo, a differenza di quanto cerca di fare Giunone, la cui discesa negli Inferi è per distruggere;
il poema virgiliano invece tende ad attraversare il dolore e l’angoscia per arrivare infine alla pacificazione ed alla quiete, come tutta l’opera di Virgilio. E come dovrebbe essere una analisi. Questa è un po’ la mia tesi generale, che cioè
Virgilio sia il poeta della Pulsione di morte che in tutti i modi si cerca di neutralizzare e di domare, per servirsene poi come spiritualità ed accettazione serena della caducità.
Dunque, il motto scelto da Freud assume un carattere ambizioso e profondamente costruttivo.
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