Freud ed i classici
Il Passaggio di Enea
Questo articolo è il primo di una serie. Le parti successive saranno pubblicate nelle prossime settimane sulla nostra rivista.
5 Dicembre 2024 – Psichiatria, Educazione, Medical Humanities, MorteTempo di lettura: 6 minuti
5 Dicembre 2024
Psichiatria, Educazione, Medical Humanities, Morte
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Nei suoi scritti e nell’ambito di un arco di tempo che ricopre tutta la sua ricerca psicoanalitica, Freud a più riprese considera che i classici – o diversamente detto i poeti – siano i veri conoscitori e i veri maestri dei sentimenti dell’animo umano; addirittura si rammarica che lo psicoanalista proceda nelle sue ricerche a tentoni e con grande fatica, mentre il poeta grazie alla ispirazione ed alla sua intuizione raggiunge più rapidamente ed efficacemente lo scopo di descrivere acutamente e profondamente le emozioni più complesse e segrete degli uomini.
Tuttavia, Freud non si limita a queste considerazioni dei limiti del sapere psicoanalitico, ma si rivolge ai grandi classici con curiosità ammirata e da attento indagatore, non certo illuso di cogliere il segreto dell’ispirazione poetica, ma desideroso di apprendere le vicissitudini profonde di questi grandi spiriti, eccezionali oggetti di studio e fonte di formidabili apporti conoscitivi.
Nella nostra pratica raramente, o piuttosto mai, abbiamo la fortuna di lavorare con esseri altrettanto dotati di Leonardo, Shakespeare, Goethe, Dostoevskij, per citare qualcuno dei grandi autori di cui Freud si è occupato, con immensa reverenza, ma con acutissimo spirito di indagine.
La lettura dei saggi a loro dedicati è di per sé elemento di prova della utilità di questa procedura, sul versante teorico, ma anche su quello clinico e tecnico. Ma vorrei aggiungere che lo studio di queste personalità eminenti e delle loro opere ci offre la possibilità di cogliere la rilevanza per l’essere umano – tutti gli esseri umani, anche i più apparentemente meschini – delle grandi questioni, delle grandi domande che possiamo sempre rintracciare nei nostri analizzandi, purché sappiamo coglierle.
Del resto, siamo tutti d’accordo che l’infanzia e l’adolescenza si caratterizzano per la presenza fortissima della curiosità epistemofilica, potente strumento al servizio della vicenda evolutiva: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, che senso e che valore ha la nostra vita e quella di tutti gli uomini.
Ho in altre occasioni rilevato che gli psicoanalisti hanno probabilmente sottovalutato il ruolo che queste grandi questioni svolgono nei loro analizzandi, e precisamente nella patogenesi.
Una delle angosce talora tipicamente penalizzate nella pratica psicoanalitica è l’angoscia di morte, malgrado Freud se ne sia occupato a più riprese, e sempre di più avviandosi alla maturità ed alla vecchiezza. Rilievi di questo genere sono stati fatti ormai parecchi anni fa, negli anni Sessanta e settanta del Novecento, per esempio da Erikson, Eissler, Greenacre, Searles e da Lifton, ma non mi pare che abbiano suscitato tra gli analisti tutta la risonanza che meritano.
Credo inoltre che l’ipotesi della Pulsione di morte avanzata da Freud agli inizi degli anni venti del novecento, e mai più da lui abbandonata, non sia stata oggetto di una riflessione davvero serena; lo studio delle idee di Freud sulla Pulsione di Morte è per sua natura favorevole all’approfondimento della risonanza della ricerca di significato della vita umana nel mondo interno dei nostri analizzandi; tale suggestione invece ha spesso prodotto una scissione tra favorevoli e contrari, sostenuta da atteggiamenti emotivi consci e soprattutto inconsci che hanno portato ad una polarizzazione più ideologica e pregiudiziale che basata su una profonda ricerca teorico-clinica.
È noto che Melanie Klein utilizza l’ipotesi della Pulsione di morte a sostegno delle vicissitudini della posizione schizoparanoide da lei teorizzata, in fondo legittimandola a posteriori, ricostruendone la presenza e l’impatto sulla base soprattutto della necessità di estroflettere la Pulsione e la sua minaccia autodistruttiva fin dalle prime battute della vita psichica del bambino piccolissimo. Tale modalità di procedere è del resto in linea con l’idea di Freud che le pulsioni di morte lavorino silenziosamente: egli le definisce in modo suggestivo, mute.
Qualcosa di analogo credo avvenga nel momento in cui si affrontano i temi più angosciosi della psicologia delle masse, per esempio la guerra, e, dopo il 1945, la guerra atomica; ormai da qualche decennio poi la crisi ecologica si impone alla attenzione di tutti, ed appare rivelarsi ancora più minacciosa della stessa guerra atomica, e potenzialmente più devastante della pandemia (2021), che alcuni vogliono peraltro sottilmente e pesantemente correlata alla crisi ecologica stessa.
Insomma, comunque ci si voglia porre rispetto al tema in parte speculativo della Pulsione di morte, non possiamo evitare di ammettere sia sul piano individuale che sul piano collettivo, la presenza inquietante ed incombente della distruttività umana. Ed è da questo punto di vista che lo studio dei classici ci può essere di grande aiuto accanto al materiale clinico delle nostre analisi, ed ai rilievi sociologici, antropologici e politici che possiamo e dobbiamo utilizzare. Fermo restando che molti di questi studi sociologici, politici ed antropologici sono ormai entrati a far parte del patrimonio classico di cui disponiamo. Per maggiore chiarezza citerò i nomi per esempio di Frazer, di Levi-Strauss, di Noam Chomsky.
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