I maestri e la morte

Quando il maestro muore: la virtù, la parola e la comunità davanti alla fine

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Prologo 

L’anno è il 399 a.C. e il mondo sta crollando addosso a un giovane Platone. Socrate – suo maestro – si è tolto la vita con la cicuta a seguito del processo che ne ha decretato la condanna a morte. La scomparsa di Socrate lascia Platone e gli altri allievi disorientati, pieni di tristezza, senza una guida e in una Atene che li considera sovversivi e li costringe a rifugiarsi a Megara.  

Il Platone ventenne era un poeta sognatore e un guerriero possente, ma l’incontro con Socrate lo aveva avvicinato alla filosofia.

La morte del suo maestro lo cambia per sempre. Per superare il senso di vuoto Platone fa due cose: viaggia e scrive.

Viaggia a Cirene, in Sicilia e in Egitto e – a partire dal 395 – inizia a scrivere i suoi primi dialoghi.  

Tra le opere della giovinezza troviamo infatti il Fedone, dove ci viene narrata la morte di Socrate, e l’Apologia di Socrate, dove viene riportato il processo. I primi scritti di Platone sono quindi un modo per elaborare il lutto, un tentativo di provare a trovare una spiegazione, accettare la scelta del maestro e andare avanti. Platone scrive del suo maestro, fa parlare il suo maestro, lo fa dialogare con i suoi allievi, interagire con gli ateniesi. Socrate torna a vivere nella scrittura di Platone, tiene comizi nelle piazze, cammina per le strade, banchetta nelle case. 

Poco a poco, i dialoghi e gli scritti di Platone si fanno più complessi, la distinzione tra il pensiero suo e quello del maestro più netta, la presenza di Socrate si affievolisce e, se appare, è ormai solo uno strumento retorico utile per imboccare la via indicata da Platone. Il Platone del 370 ha compreso il perché il maestro ha deciso di accettare il verdetto della giuria e togliersi la vita, e ha fatto della fedeltà di Socrate alle leggi e della diffidenza dello stesso nei confronti della democrazia la sua bussola. Il Platone del 370 ha scritto la Repubblica, il Timeo, il Crizia; ha riflettuto, compreso, accettato, è andato oltre ed è diventato altro.

Il Platone del 367 ha dato vita a una nuova corrente filosofica ed è pronto a morire.

 

Introduzione 

Che cos’è la morte? Si potrebbe rispondere che la morte è non-vita. Al tempo stesso però non è, nella logica filosofica presocratica, il nulla, il vuoto, o la negazione di tutto quello che è. Infatti, non si può dire di un sasso che è morto, perché la morte necessita la vita per essere.

La morte è una condizione altra rispetto alla vita, che è comprensibile solo se affiancata alla vita stessa.

Vita e morte vanno a braccetto. La morte è la fine della vita e, forse, il fine della vita. 

La morte è quella cosa che, a prima vista, la bioetica e la medicina etica sembrano rifuggire, forse addirittura negare. In fondo, la bioetica è, perlomeno etimologicamente, l’etica che si occupa di ciò che è vivo, mentre la medicina moderna ha come fine ultimo prolungare la vita o posticipare la morte. La ricerca in ambito biomedico vede sempre più visionari (sognatori?) che dichiarano di voler sconfiggere la morte. Morte e cure sono divise anche architettonicamente. Abbiamo spazi per la morte e i morti: cimiteri, crematori, luoghi di culto. Ci sono spazi per la cura: ospedali, cliniche, case di cura, dove il corpo ha importanza fino a quando è vivo, ma che poi deve essere velocemente smaltito verso i luoghi della morte, per lasciare spazio a nuovi corpi da curare. 

Come vedremo, vita e morte non possono essere rigidamente compartimentate: non sono realtà opposte, ma momenti intrecciati di un medesimo ciclo. In ogni vita c’è un’ombra di morte, così come nella morte sopravvive qualcosa della vita, sotto forma di memoria, relazione, significato. Il passaggio da una condizione all’altra non è mai neutro: è un momento fondamentale tanto per chi se ne va quanto per chi rimane. Per questo, come mostrano gli esempi di Socrate e Gesù, è essenziale che la morte sia riconosciuta come evento condiviso, che coinvolge e interpella l’intera comunità di cura: discepoli, familiari, amici, testimoni. Solo attraverso una partecipazione collettiva al morire si può costruire un senso che unisca, invece di separare. 

 

La morte e la trasmissione 

Che la morte possa dirci molto del senso della nostra vita ne sembra convinto Socrate.

La sua morte è, insieme a quella di Gesù, la morte che più ha influenzato la cultura occidentale.

Cristo sacrifica sé stesso per salvare l’umanità. Socrate invece decide di essere un esempio e portare un insegnamento. La differenza è fondamentale: Gesù affronta la morte basandosi su leggi e principi di diretta emanazione divina, che diventeranno il fondamento della religione cristiana. Socrate produce esempi virtuosi, restando fedele fino alla fine alla sua posizione filosofica e al dovere razionale verso la città e la verità. 

La morte di Socrate non è un martirio religioso, ma un gesto di coerenza etica: un atto pedagogico, una dimostrazione pratica che il bene dell’anima è più importante della vita stessa. Rifiutò di fuggire, pur avendone l’occasione, perché credeva che infrangere le leggi sarebbe stato ingiusto. Nei suoi ultimi giorni discute con i discepoli dell’immortalità dell’anima e della filosofia come preparazione alla morte. Accetta la fine con serenità, bevendo la cicuta con calma e lucidità. La sua morte diventa così un atto etico e coerente: non solo testimonianza del valore della verità e della giustizia, ma incarnazione di una vita vissuta secondo ragione e virtù. In questo senso, Socrate non insegna che cosa è la virtù, ma come si incarna: anche nella morte. 

Sia per Gesù che per Socrate, la morte è riportata dai loro allievi. La morte del maestro diventa un evento fondamentale e catartico nella crescita personale e spirituale di chi rimane. La differenza sta però nell’insegnamento che le due figure vogliono dare ai posteri. Per Gesù è accettazione della volontà divina. Non dà spiegazioni ai suoi, ma mette alla prova la loro fede. Socrate invece, fino all’ultimo, decide di dare un esempio, di mostrare la strada della virtù attraverso pratici comportamenti. L’etica di Socrate è ancorata alla logica contingente: un atto può essere giusto o ingiusto, corretto o sbagliato, buono o cattivo, a seconda del contesto in cui si sviluppa. Quello che è fondamentale è che il processo con il quale si giunge a una decisione sia logico, razionale, dialettico, dialogato, condiviso. 

 

La morte e la comunità 

In entrambi i casi, però, quello che possiamo vedere è che la morte non è un atto solitario: i due sono circondati dagli affetti che li accompagnano nei loro ultimi momenti. La morte è un momento comunitario e, infatti, ogni civiltà ha dei rituali ben definiti che permettono alla comunità di gestire il processo. Atti pratici e concreti che però sono emanazione di significati più alti. Quello che interessa della morte di Socrate è quindi il suo aspetto comunitario: un maestro che nei suoi ultimi attimi decide di condividere, dialogare, trasmettere e che, così facendo, costruisce una comunità che gli sopravviverà.  

Il morire non è quindi solo un fatto individuale, ma una pratica condivisa, che interpella una comunità morale.

La morte filosofica di Socrate è un esercizio di virtù che non coinvolge solamente il maestro, ma che anzi interpella e costruisce l’azione virtuosa di chi gli sta accanto. Anche per chi accompagna chi muore – familiari, medici, caregiver – la relazione con la morte diventa un terreno di esercizio delle virtù, un momento di scambio, di unione e di dolorosa evoluzione.  

Virtù, comunità, relazione, riti: è a partire da queste parole che, nei prossimi scritti, affronterò la morte nell’etica delle cure e cercherò di collegarla ai concetti chiave dell’etica medica – autonomia, beneficenza, non maleficenza, giustizia – cercando di seguire il suggerimento di Socrate: un invito a pensare la morte non come rottura, ma come atto dialogico e comunitario.  

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Una risposta a “I maestri e la morte”

  1. DOMINIC

    Molto interessante complimenti alla disinvoltura con cui utilizzi i concetti filosofici e religiosi. Intrigante il parallelismo Socrate Gesu!

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Un pensiero su “I maestri e la morte

  1. DOMINIC dice:

    Molto interessante complimenti alla disinvoltura con cui utilizzi i concetti filosofici e religiosi. Intrigante il parallelismo Socrate Gesu!

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