I rifugi della mente e il “sentimento oceanico”

Una lettera 

I giovani studiano e vivono spesso in mondi sonori, con la radio sempre accesa, sintonizzandosi su musiche martellanti e ossessive. È come se avessero necessità di uscire dal mondo. 

Come sempre, quando ragioniamo sui comportamenti degli adolescenti dobbiamo dotarci di grande prudenza e di senso della misura. La funzione della musica nel loro universo è assolutamente centrale. La musica parla del loro corpo e attraverso il loro corpo si irradia nel mondo, in cui hanno espanso i confini del loro mondo interno all’incontro di altri corpi.  

È come se la musica, qualunque essa sia, soprattutto quando riproduce il ritmo corporeo, quasi biologico, o le vibrazioni sensoriali anche più elementari, fosse il messaggero di un mondo interiore che sta cercando nuovi confini. Quest’ultimo teme di perdersi nel “sentimento oceanico” del mondo o di ritirarsi in una più definita ma limitata identità.  

È come se i corpi potessero uscire dal mondo per incontrare un altro mondo. Ho conosciuto ragazzi che sempre hanno studiato in compagnia di suoni assordanti e sono pur tuttavia andati lontano negli studi e nella vita. Uno di questi, già molto avanzato nella sua carriera universitaria, ancora oggi meglio si concentra sui testi antichi, di cui è oramai esperto, accompagnato nel sottofondo della sua biblioteca da suoni che continuano alle mie orecchie a risultare solo frastornanti rumori.  

Altre esperienze al contrario mi indicano come questa “dipendenza sonora” sia a volte uno dei segnali di una sofferenza interiore, che il giovane cerca disperatamente di tenere a bada. È tuttavia lecito chiedersi perché quella musica seduce e conquista così tanto i giovani da farne dei consumatori fedeli? Proviamo a cercare qualche pista per meglio conoscere quel rapporto d’amore, di dipendenza e forse, in certi casi, persino di aiuto e di cura.  

L’adolescenza è il tempo di Babele. Molte voci, molti dialetti cominciano a farsi sentire da fuori e da dentro, mettendo il giovane adolescente in un campo sonoro nuovo e spesso incontrollabile. Voci contraddittorie, ambivalenti, che parlano del bisogno di crescere ma anche della paura di crescere, che dicono la voglia di andare per il mondo sfidando i suoi rischi e facendo esperienza dei suoi misteri. Al contempo, queste voci dicono l’uguale bisogno di rimanere a casa, in quella condizione infantile in cui le poche voci che si facevano udire erano riconoscibili e rassicuranti.  

Voci di un corpo risvegliato dal piacere di funzionare, elettrizzato dalla sua possibilità di godimento, ma anche colpevole e ancora balbuziente rispetto ai desideri e alle scelte che impone e produce. Voci di un mondo abitato da tanti altri simili a se stessi, che obbliga al confronto e a volte alla battaglia, che espone alle vittorie eccitanti ma anche alle dolorose sconfitte.  

Su questo “palcoscenico della vita”, che si apre a “mondi” così diversi, nasce la necessità per il giovane di proteggersi e di difendersi; una necessità che va almeno a pari passo a quella di sperimentare, di rischiare, di esplorare il mondo. Contro questo proliferare spesso incontrollato di voci serve sempre più un “involucro protettivo”, che la musica spesso sa offrire, facilitando l’impellente desiderio di comunicazione e di contatto con l’altro, preservando il bisogno di sentirsi e di fare esperienza del proprio “Sé corporeo”, ma anche garantendo un luogo, a metà strada tra pubblico e privato, di ritiro e di paradossale silenzio.  

Potrebbe apparire certamente strano parlare qui di silenzio nell’assordante rumore che una certa musica giovanile produce, eppure penso che a volte proprio quella musica permetta, come fosse un involucro della mente, di ritrovare e vivere un silenzio interiore fragile e incerto, ma sino a quel punto introvabile e inesplorabile in altri modi.  

La musica è allora nel mondo giovanile come una sorta di “rifugio della mente”, attraverso cui “medicare” l’Io, proteggerlo contro la sofferenza e il sentimento di perdita e di morte, che l’adolescente vive, senza nemmeno a volte saperlo, in se stesso attraverso i suoi comportamenti, il suo corpo, le fantasticherie della sua mente.  

Un “rifugio” contro le pulsioni troppo tumultuose e incontrollabili con il loro contenuto di rabbia, di distruttività e di dolore. Un “rifugio” contro la colpa e la vergogna. Se i “rifugi della mente” possono, dunque, divenire vere e proprie prigioni, percorsi ossessivi, coattivi e totalitari, dominando con le loro esigenze di isolamento onnipotente e di distorsione del senso della realtà e del Sé tutta la “scena” psichica e sociale del giovane; il più delle volte esse rappresentano dei vari e propri “salvavita”, degli utili strumenti di passaggio per andare oltre, per superare gli ostacoli.  

L’ascolto ripetitivo della musica può così divenire come le abitudini quotidiane, che noi tutti abbiamo per rilassarci, per calmare i nostri sovraccarichi emotivi e lavorativi giornalieri, riprendere energia e tranquillità, un efficace balsamo della vita. Qui sta forse una prima ragione di quel bisogno giovanile d’essere continuamente immersi in un mondo sonoro. Suoni in cui la sola presenza della frequenza ha preso il posto dell’armonia, della melodia.  

Scriveva a questo proposito il cantante Jovanotti: 

«con la musica da discoteca entra in gioco la frequenza, le frequenze alte e le frequenze basse, la frequenza intesa proprio come fatto fisico, come stimolo fisico, i bassi che ti muovono la pancia» 

Ciò che i giovani mettono in primo piano come esigenza esistenziale è proprio la centralità della sensorialità, la priorità del sentire sul pensare. La musica è il corpo che sente, che fa esperienza di Sé e che prende in modo più o meno esteso il posto della mente, che la sostituisce nei confronti del mondo, che fa diminuire il rischio di dolore, che la mente inevitabilmente anche contiene.  

Un’ultima breve notazione riguarda il tema della solitudine. L’adolescenza è tempo di grandi solitudini e di una forte tensione all’altro. Ma anche questo oscillare è sovente carico di ansietà e di incertezza. Ecco allora la musica, con i suoi ascolti pubblici ed intimi, con le sue ritualità, con i suoi idoli. Una musica capace di creare “presenze interiori” in grado, a volte, di coprire il rischio di una solitudine dolorosa e abbandonata, trasformandola in una più dolce e creativa solitudine accompagnata 

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