I valori dell’EOC: parte due

Uno sguardo alla storia recente 

Questa intervista segue e completa i punti di vista raccolti nel precedente contributo, consultabile qui. L’intervistato è Fabrizio Barazzoni, membro della Direzione Generale di EOC, Capo dell’Area Medica fino al 2017 e dell’Area Formazione Accademica, Ricerca e Innovazione fino al 2019. Presidente della COMEC dal 2003 al 2016. 

Tra le tante mansioni che hai ricoperto durante la tua lunga permanenza in EOC vi è anche quella di presidente della Commissione di Etica Clinica, di cui sei stato uno dei fondatori: alla luce della tua esperienza come leggi, a più di vent’anni di distanza, la nascita di un Codice deontologico? 

Eravamo all’inizio degli anni duemila quando—nell’ambito di una formazione continua per i medici quadro dell’EOC—affrontammo con l’aiuto del Prof. Marco Borghi e del Prof. Alberto Bondolfi il delicato tema concernente l’ordine di non rianimare, ovvero il cosiddetto “Do Not Resuscitate o DNR”; e, quindi, le premesse etico-cliniche e di comunicazione con il paziente, rispettivamente con i familiari, da rispettare per poter metterlo in atto in caso di necessità. In altre parole, occorreva elaborare un protocollo ufficiale e unico per gli ospedali dell’EOC. Ciò implicava disporre di un gremio competente e ufficialmente istituito all’interno dell’EOC che fungesse da organo di riferimento per il Consiglio di amministrazione, la Direzione generale e le Direzioni ospedaliere per le questioni di rilevanza etico-clinica. Questo evento rappresentò la scintilla che diede concretezza alla creazione della Commissione di Etica Clinica EOC (COMEC), che ebbi l’onore e il piacere di dirigere sin dall’inizio e per ben 10 anni (2003-2013). 

La nascita del Codice deontologico dell’EOC la leggo pertanto come lo sviluppo naturale e al passo con i tempi nel definire modalità di comportamento all’interno dell’EOC che non siano unicamente confinate a come affrontare, e possibilmente risolvere, dilemmi etici che insorgono tra il paziente e il curante o tra i familiari e i curanti. La complessità delle tematiche che oggi il personale dell’EOC è sempre più chiamato ad affrontare regolarmente—e in tutti i campi dell’agire dell’EOC—sono tali e diversificati da non potere più dare delle risposte individuali basate solo sul buon senso e sul principio del “noi abbiamo sempre fatto così”. 

Durante i tuoi ultimi anni presso la Direzione Generale hai ricoperto anche la funzione di Capo dell’Area Formazione Accademica, Ricerca e Innovazione. “Innovazione” è anche uno dei 5 valori che EOC ha deciso di fare suoi per il futuro. Che lettura dai di questa scelta? 

Leggevo recentemente sul Bollettino dei Medici Svizzeri che mentre nel 1950 l’umanità aveva impiegato 50 anni per raddoppiare le proprie conoscenze, nel 1980 ciò avveniva in 7 anni, nel 2010 in appena 4 anni ed è ora stimato in circa 70 giorni. Un altro esempio di recente pubblicazione è riferito allo sviluppo straordinariamente veloce ed importante del numero di nanoanticorpi avvenuto negli ultimi 5 anni. Questi due semplici esempi ci confermano in modo inequivocabile cheaccanto alla formazione continua del personaleoccorre che l’EOC non si limiti a reagire alle novità e alle nuove tendenze derivanti dall’innovazione, ma che sia proattivo ovvero in grado di anticiparle partecipando attivamenteladdove possibile e ragionevoleal loro sviluppo. In questo contesto riveste poi un’importanza centrale, a mio modo di vedere, il disporre all’interno dell’EOC di solide competenze che assicurino il cosiddetto Health Technology Assessment (HTA) ospedaliero. Infine, mi fa particolarmente piacere che l’innovazione sia anche uno dei cinque valori che l’EOC ha deciso di fare suoi per il futuro poichéquando a metà degli anni 2000 proposi la creazione dell’Area della Formazione accademica e della ricercavenne associata anche l’innovazione, anticipando in un certo senso quanto ora è elemento centrale dei valori del Codice deontologico.  

Il termine “innovazione” rinvia immediatamente a quello di “digitalizzazione”: quali opportunità e quali rischi intravedi nell’entrata del mondo digitale anche nella relazione “curante-paziente”? 

Come possiamo verificare ogni giorno, la nostra società è totalmente immersa nel cosiddetto “digitale”, dal cellulare al computer, dalla robotica alla telemedicina, quest’ultima in fase di grandissimo e rapidissimo sviluppo innescato dalla pandemia da COVID-19.  Sorge, quindi, sempre più, rispetto ad un recente passato, il problema di come non perdere l’aspetto centrale nella presa in carico del paziente: la comunicazione o meglio la relazione tra curante-paziente. Aspetto questo che nella generazione dei curanti pre-digitalizzazione non era veramente un problema. Il Prof. Werner Bauer, già Presidente dell’Istituto Svizzero per la Formazione Medica (ISFM), in un recente editoriale illustrava come in occasione di un suo viaggio alcune persone gli avevano chiesto come mai i medici “non dovevano, non volevano o non potevano più toccare i loro pazienti”. Una risposta precisa non venne data, ma il Prof. Bauer sollevò, tra l’altro, il quesito di sapere quanto la digitalizzazione comportasse un “plus” di qualità nei processi clinici e quindi quando la relazione curante-paziente risultasse minacciata. Io ritengo che occorra mai dimenticare che, nella relazione curante-paziente, l’aspetto centrale affinché essa risulti essere l’elemento portante per affrontare le attività diagnostiche e terapeutiche di cui il paziente necessita sono sostanzialmente tre: l’empatia, il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale. Aspetti quest’ultimi cheaccanto alla capacità di eseguire una buona anamnesirappresentano i pilastri della formazione degli studenti del Master di medicina USI nello sviluppo delle loro competenze relative alla relazione medico-paziente. 

La responsabilità è un altro dei valori di EOC. Aldilà degli aspetti penali, civili e ammnistrativi esiste anche una responsabilità etica e sociale specifica all’esercizio della medicina e della cura in generale: come giudichi l’evoluzione avuta da questo concetto negli ultimi anni?

La domanda è complessa e certamente non esauribile in poche righe. E, quindi, cercherò di esporre solo qualche elemento di riflessione. Potremmo innanzitutto dire che la responsabilità può essere considerata come la coerenza dell’individuo con un impegno assunto, o con un comportamento da adottare, in quanto il suo non rispetto comporta l’accettazione di eventuali conseguenze perlomeno dal punto di vista della sanzione morale: assumersi, addossarsi, prendersi la responsabilità delle nostre azioni. Come curanticonsciamente o inconsciamenteesercitiamo sul posto di lavoro questa responsabilità in ogni momento della giornata. Lo siamo nei confronti del paziente quando gli proponiamo indagini diagnostiche o trattamenti terapeutici, dovendo assicurare ogni voltaattraverso l’indicazione clinicache il beneficio dell’atto previsto sia ragionevolmente superiore ai possibili rischi. E ciò con il contemporaneo aiuto nella decisione della medicina delle prove di efficacia (EBM). Ma pure nei confronti della società abbiamo una responsabilità nell’evitare pratiche cliniche costose non efficaci o addirittura dannose per il paziente, facendo quindi anche uso oculato ed appropriato delle risorse finanziarie messeci a disposizione dal cittadino-contribuente. Lo siamo nei confronti dell’ambiente evitando ad esempio un consumo di farmaci sproporzionato o inutile oppure di agenti terapeutici la cui produzione comporta costi ambientali significativi. Dal mio osservatorio ritengo che stiamo però sempre più percependo che la responsabilità etica del curante non si limiti più solo a garantire il risultato positivo per il paziente, ma che ogni nostra azione o decisione ha conseguenze anche per settori o attori della società che non sono direttamente o indirettamente coinvolti nella cura del paziente. 

La legislazione federale (LMal) e quella cantonale (LSan) impongono al medico la responsabilità di fare anche delle considerazioni relative all’economicità delle cure dispensate: questo aspetto è sempre conciliabile con la necessità di fare delle scelte eticamente valide? 

Credo che la risposta stia in due elementi che ritengo centrali. Il primo elemento è il desiderio, la volontà e la ragionevole aspettativa del paziente nei confronti dell’agire del curante. Elementi questi che nascono e si sviluppano attraverso la relazione curante-paziente e dalla capacità del primo nel riuscire ad arrivare a decisioni cliniche caratterizzate dal consenso “éclairé” condiviso con il paziente. 

Il secondo elemento, a mio giudizio, è rappresentato dalla capacità del curante di ponderare al meglio l’appropriatezza dell’indicazione diagnostica e terapeutica, aspetto questo che comporta ogni volta la necessità di valutare il beneficio per il paziente rispetto al potenziale rischio a cui verrebbe esposto. E in questo contesto appare evidente come la formazione continua unita all’esperienza clinica del curante, associata alla sua capacità di identificare le migliori prove di efficacia derivanti dalla letteratura medica e scientifica, rappresentino oggi le premesse indispensabili per erogare prestazioni sanitarie appropriate, efficaci ed economiche.   

Infine, mi piace ricordare come vi sia stato uno sviluppo molto positivo in questo contesto anche nell’EOC tramite l’adesione all’iniziativa Choosing Wisely – Smarter Medicine e alle attività realizzate a questo proposito. 

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