I valori dell’EOC: parte tre
Uno sguardo da parte delle “giovani leve”
6 Marzo 2023 – EOC, Casi clinici, EticaTempo di lettura: 13 minuti
6 Marzo 2023
EOC, Casi clinici, Etica
Tempo di lettura: 13 minuti
Nello scorso contributo abbiamo chiesto ad alcuni ex collaboratori di EOC di condividere le loro riflessioni in merito ai valori dell’Ente. In questa edizione riprendiamo il tema coinvolgendo, però, le “giovani leve” della nostra istituzione. Qui di seguito i loro scritti.
Introduzione – Infermiera Clinica: 29 anni
Innovazione, inclusione, rispetto, responsabilità e professionalità. Questi sono i cinque valori del codice EOC. Non sono rivolti solo ai pazienti e ai famigliari, ma anche ai collaboratori stessi.
A mio avviso, rispetto, responsabilità e professionalità sono molto radicati nello spirito del personale curante, anche grazie ad un codice etico e deontologico ormai diffuso e condiviso dai professionisti della salute a livello internazionale. Quelli che mi hanno colpito di più sono però l’innovazione e l’inclusione.
L’innovazione perché l’EOC si dimostra continuamente al passo con la scienza e con la tecnologia, investendo tanto nella ricerca e nell’applicazione dei più moderni approcci (a 360°).
L’inclusione, invece, perché letteralmente significa introduzione di un elemento all’interno di un insieme, traducendosi nella pratica quotidiana come coinvolgimento di varie figure professionali in riflessioni che ruotano intorno al paziente, o nell’analisi di determinate situazioni cliniche. Mi sono sempre sentita attratta dal concetto di inclusione. Lo considero in un certo senso astratto, in un altro molto concreto e tangibile, in quanto in grado di scatenare un profondo senso di appartenenza e di accoglienza.
Essendo un ambiente lavorativo molto ampio e ricco, applicare i cinque valori risulta relativamente semplice: tramite chiamata, e-mail, o richiesta informatizzata si possono velocemente raggiungere tutti i collaboratori dell’EOC. Il confronto è all’ordine del giorno e questo permette di esercitare e vivere in prima persona ogni singolo valore quotidianamente.
Inoltre, trovo che nella mia realtà lavorativa questa percezione si traduca in un sentimento condiviso forte ed evidente: ogni occasione diventa infatti terreno fertile per includere figure e team specialistici, o per implementare progetti multidisciplinari.
Questo lavoro di squadra ha un duplice risultato: da un lato permette alla pratica clinica quotidiana di diventare più strutturata ed efficace, tramite l’analisi delle varie situazioni sotto più punti di vista, dall’altro permette ai collaboratori di arricchire il proprio bagaglio di esperienza giorno dopo giorno.
Rispetto – Medico assistente Ospedaliero: 35 anni
Il rapporto medico-paziente (o più in generale il rapporto tra professionista sanitario e paziente) è un rapporto asimmetrico dovuto alla discrepanza tra la vulnerabilità del paziente che porta nella relazione un “bisogno di salute” (dunque un problema fisico, psicologico, sociale o spirituale) e il potere del medico che porta nella relazione conoscenze e competenze con conseguente capacità decisionale.
Il punto di incontro in questa relazione asimmetrica è il rispetto (dal latino: respectus, da respicere guardare indietro, composto di re– indietro e spicio guardare): rispetto di diritti e doveri (morali e giuridici), nonché rispetto della dignità, dell’autonomia e dell’autodeterminazione del paziente.
Il rispetto nasce dalla consapevolezza del valore di qualcuno o di qualcosa. Il rispetto è un sentimento o un atteggiamento che come professionisti sanitari ci porta a “guardarci indietro” imparando dal passato e cercando ogni giorno di essere la miglior versione di noi stessi nella relazione non solo con i pazienti, ma anche con familiari, colleghi e collaboratori. Da qui l’importanza della comunicazione (intesa come attenzione al linguaggio verbale e non verbale) come strumento di terapia (to treat) e di cura (to care) per comprendere la malattia, intesa non solo come disease (il punto di vista del curante), ma anche come illness (il punto di vista del paziente, di chi convive ogni giorno con una malattia).
Il fine ultimo di questa relazione basata sul rispetto è ripristinare lo stato di salute: «la salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente» (A. Schopenhauer).
Responsabilità – Infermiere Capo reparto: 32 anni
Gli infermieri sono direttamente coinvolti nella cura diretta al paziente, che prendono a carico nella sua globalità. Come capi reparto abbiamo, invece, la responsabilità di verificare che questo avvenga nel miglior modo possibile assicurandoci che i nostri collaboratori possano svolgere il loro operato nelle condizioni migliori. Ci preoccupiamo di rendere il nostro luogo di lavoro accogliente e di promuovere un clima di lavoro sereno che possa permettere a tutti gli operatori sanitari di sentirsi accettati e parte integrante del sistema ospedaliero.
Rispettiamo gli impegni assunti con professionalità e in maniera determinante, conoscendo e accettando le conseguenze del nostro operato. Sappiamo che le nostre scelte possono condizionare i risultati delle cure, ma anche influire sui nostri collaboratori, per questo motivo cerchiamo sempre di mettere in pratica un atteggiamento equo e oggettivo nei confronti del personale.
Conosciamo il nostro lavoro e quello che svolgono i nostri collaboratori che ripongono fiducia nei nostri confronti ed è grazie al nostro impegno quotidiano che possiamo promuovere il senso di appartenenza che ci motiva ad essere leader di un’equipe. Sappiamo che abbiamo la responsabilità di essere d’esempio per il gruppo di persone che coordiniamo. Condividiamo con i nostri collaboratori idee, valori e feedback che ci portano a personalizzare la nostra esperienza di curanti.
Siamo in grado di prendere decisioni, talvolta non facili, ma che ci permettono di svolgere la nostra professione in maniera completa, efficace e conforme ai valori di EOC.
Inclusione – Infermiera Specialista Clinica: 29 anni
Il tema dell’inclusione comprende diverse sfaccettature nella quotidianità di un’infermiera. Comprende, innanzitutto, la visione di se stessi, all’interno di un’equipe. Comprende anche la propria persona messa a confronto con i pazienti e i loro famigliari. Grazie al tema dell’inclusione posso riflettere su come le diversità che contraddistinguono ognuno di noi e le persone con le quali entriamo in contatto non debbano essere delle limitazioni. Al contrario, ci completano e ci danno l’opportunità di apprendere, di evolvere e di aver maggior consapevolezza delle nostre risorse ma anche dei nostri limiti. L’ambiente lavorativo che ho incontrato nel mio percorso è subito apparso accogliente. Questo ha permesso di sentirmi subito inclusa e attiva nel mio percorso di crescita personale e professionale, promuovendo e assicurandomi una formazione continua di qualità e comprendente tematiche sempre attuali. Il principio di equità sta alla base di una soddisfazione professionale, infatti all’interno del mio settore lavorativo, ogni individuo ha pari opportunità, senza tralasciare, però, l’unicità di ognuno.
Professionalità – Infermiera Specialista Clinica: 32 anni
Con il termine professionalità secondo me s’intende l’essere consapevole di ciò che si fa nel momento in cui lo si fa … chiaramente sempre avendo le competenze necessarie. Grazie al nostro lavoro, ci sono molte opportunità di crescita, vista l’ampia esistenza di corsi per mantenersi aggiornati; da qui si può anche dire che «manteniamo la professionalità con serietà continuamente aggiornata e attiva».
Con il termine professionalità si intende anche la qualità delle cure che si erogano al paziente che devono essere mirate e ben specifiche, mantenendo rispetto verso gli altri e verso se stessi.
Una volta, una paziente mi ha detto che per essere professionali bisogna soprattutto essere umani ricordandosi sempre che noi curanti abbiamo a che fare con persone fragili che si trovano fuori dal loro ambiente personale, fuori dalla propria zona di confort. Infatti, questa affermazione esplicitata dalla paziente conferma che attorno alla parola professionalità ci sta veramente un mondo.
La professionalità è anche intesa tra colleghi, tra le diverse figure professionali che collaborano giornalmente per il paziente.
Innovazione – Medico assistente: 29 anni
Dopo un’ora e mezza spesa davanti al computer a leggere i dossier dei pazienti comincia la visita mattutina. Paziente 1: polmonite, antibiotico, sta andando meglio. Paziente 2: esacerbazione non infettiva di BPCO, cortisone, i polmoni rimangono ostruiti, aumentiamo il dosaggio. Paziente 3: scompenso cardiaco, diuretico, perde peso e regrediscono gli edemi, continuiamo così. Paziente 4: infezione delle vie urinarie, antibiotico, dimissione domani. Paziente 5: lombalgia non deficitaria, analgesico, da scalare. Sono passate due ore, mi risiedo davanti al computer a scrivere decorsi, lettere, richiedere esami. Chiamo uno specialista per un consulto e mi chiede che lavoro fa il paziente. Non so rispondere.
Nel pomeriggio vengo chiamato per un lieve peggioramento respiratorio nel paziente 2. Tramite il fonendoscopio sento fischi espiratori diffusi e un’ipofonia bibasale, di quest’ultima non sono sicurissimo. Vado a prendere l’ecografo per esaminare la situazione polmonare. Attacco la presa alla corrente e aspetto che la macchina si accenda. Guardo il paziente, nei suoi occhi leggo inquietudine mischiata a determinazione. Gli chiedo di nuovo come sta, ma adesso ho tempo. Mi dice che è preoccupato, cerco di rassicurarlo. Intanto appoggio la testa dell’ecografo sul torace e guardo cosa sta succedendo nei suoi polmoni. Gli chiedo che lavoro ha fatto nella vita, mi racconta del suo apprendistato come operaio in Serbia e di come è migrato in Svizzera negli anni Settanta, inizialmente come lavoratore stagionale, poi con un permesso speciale. Sullo schermo si materializzano gli organi del paziente, vedo il diaframma che si appoggia sul rene e si interseca alla linea pleurica. Trovo quello che cercavo e che non dovrebbe esserci, del liquido nel recesso pleurico: l’ipotesi diagnostica è confermata, posso impostare la terapia. Continuo l’esame polmonare, sia per completezza, sia perché quello che sta raccontando il paziente mi interessa. Mi racconta della Serbia e di come viveva quando era ancora lì. Io intanto lo sento respirare, vedo come si guarda in giro, come muove le mani. Mi chiede di me, e io racconto. Stacco l’ecografo, condivido con lui quello che ho visto, e propongo la terapia. Stringo la mano al signor S.D., per la prima volta. Prendo l’ecografo e vado nella prossima stanza.
L’uso dell’ecografia clinica rappresenta, per me, un’innovazione. In questo caso, l’innovazione è lo sviluppo di una tecnologia che mi permette di affinare il mio senso diagnostico, di dare precisione alle cure che prescrivo; allo stesso tempo, con l’ecografia, mi confronto con una tecnologia che, anziché allontanare disumanizzando, crea un ponte avvicinandomi alla persona, permettendomi di conoscere il suo vissuto, di sentire le sue emozioni e di arricchire uno degli aspetti più importanti della mia professione: la relazione terapeutica medico-paziente.
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