Il coinvolgimento dei famigliari
Tra autonomia, beneficenza e segreto professionale
13 Maggio 2024 – EOC, Comunicazione, Etica, LibertàTempo di lettura: 14 minuti
13 Maggio 2024
EOC, Comunicazione, Etica, Libertà
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Una delle sfide più avvincenti della pratica della medicina è quella di definire nella maniera più precisa possibile il percorso terapeutico di un paziente a seconda delle sue volontà di cura e delle sue risorse psico-fisiche. La medicina di precisione non consiste unicamente nell’integrazione nel trattamento del paziente di plurimi dati estremamente complessi, che spaziano dalla genomica alla farmacogenetica passando dall’analisi del microbioma (Torkamani et al. 2017), ma anche nell’allineare il percorso di cura del paziente ai suoi valori personali, alle sue preferenze di trattamento e ai suoi obbiettivi di vita.
Personalizzare al meglio la cura di un paziente implica molto spesso il coinvolgimento del famigliare come testimone privilegiato e unico del vissuto e delle volontà del paziente.
In un reparto di medicina, l’incontro con il famigliare avviene in due circostanze. Dapprima, fare il bene del paziente (riferendosi al principio di beneficenza, uno dei principi fondamentali dell’etica clinica) ci impone di tener conto della famiglia come uno dei valori più importanti per il paziente. In uno studio con 5284 pazienti affetti da un tumore polmonare o colo-rettale, la maggior parte dei pazienti prende la decisione di intraprendere un trattamento o meno coinvolgendo il famigliare (70%; 47,9% equally shared family decisions; 22,1 % some family input) (Hobbs et al. 2015). Inoltre, incontrare il famigliare ci permette di trasmettere in maniera più efficace delle informazioni riguardo alla situazione clinica, comprendere meglio le preferenze di trattamento del paziente, identificare e riconoscere le risorse del paziente e migliorare la trasparenza del nostro operato riducendo il sovraccarico emotivo del curante legato a certe scelte terapeutiche (Glajchen et al. 2022). In questa circostanza, incontriamo il paziente insieme alla famiglia consapevoli dell’importanza che il valore della famiglia assume nella nostra società.
La seconda circostanza in cui incontriamo il famigliare è legata alla necessità di sostenere al meglio l’autonomia del paziente qualora quest’ultimo si trovi in una situazione di incapacità di discernimento (secondo art. 16 CC: È capace di discernimento qualunque persona che non sia priva della capacità di agire ragionevolmente per effetto della sua età infantile o di disabilità mentale, turba psichica, ebbrezza o stato consimile). In questo caso incontriamo il famigliare per prendere delle scelte terapeutiche surrogate (termine anglofono surrogate utilizzato nella letteratura scientifica) al posto del paziente. La parola del famigliare diventa, quindi, il mezzo con cui si cerca di prendere delle decisioni che rispecchiano al meglio la volontà presunta del paziente ottimizzando il più possibile il principio di autonomia (una persona sovrana della sua sfera fisica e psichica che agisce liberamente secondo il piano che ha stabilito).
La teoria dell’etica clinica ha identificato 3 modi in cui si può sostituire la decisione del paziente: la pura autonomia (the pure autonomy standard), il giudizio sostitutivo (the substituted judgement standard) e il miglior interesse (the best interests standard) (Childress e Beauchamp, 2001). La pura autonomia è il modello con cui il medico prende una decisione solamente su una volontà chiaramente espressa in precedenza all’incapacità di discernimento da parte del paziente. Si tratta del modello che ottimizza al meglio il principio di autonomia perché si sceglie un percorso terapeutico su una reale autonomia. In questo caso il famigliare può essere il mezzo con cui viene trasmessa, con la parola o portando delle direttive anticipate, questa volontà di cura chiara e precisa. Questo modello risponde alla domanda: “cosa ha detto il paziente in passato rispetto a questa scelta?”. Il limite di questo modello è che è facile da applicare in quelle traiettorie di malattia ben definite (ad esempio, un paziente con una broncopneumopatia cronica ostruttiva che in caso di esacerbazione non desidera un trattamento di ventilazione meccanica invasiva) ma è difficile o impossibile da utilizzare quando si è confrontati con un evento acuto e inaspettato che causa l’incapacità di discernimento e in cui diverse scelte sono realizzabili e per le quali non si è mai discusso in precedenza con il paziente.
Infatti, nella maggior parte dei casi si ricorre al giudizio sostitutivo che è il modello in cui si opera una scelta di cura in base ai valori personali del paziente. Si cerca di indossare il mantello mentale della persona incompetente (don the mental mantle of the incompetent). Questo modello risponde alla domanda: “cosa farebbe il paziente in questa circostanza?” e necessità una profonda conoscenza dei valori personali del paziente. Il famigliare è generalmente il miglior testimone in grado di ponderare una scelta sulla base della scala di valori del paziente. Nella letteratura questo modello è stato studiato a più riprese e si è dimostrato non infallibile con un sacrificio in termini di autonomia del paziente. Una revisione sistematica della letteratura che ha incluso 16 studi, con 151 scenari ipotetici (legati allo stato di malattia come un coma o una demenza o legati ad una possibile terapia come il tentativo di rianimazione cardio-polmonare o la ventilazione meccanica invasiva), per un totale di 2595 coppie paziente-persona surrogata (famigliare) e di 19256 decisioni prese in concomitanza ha dimostrato che la persona surrogata prende la stessa decisione del paziente circa nel 70 % dei casi (Shalowitz et al. 2006).
L’ultimo modello a cui si può ricorrere è il modello del miglior interesse (the best interests standard). In questo caso il famigliare prende una decisione valutando unicamente le conseguenze per il paziente su una bilancia rischi-benefici. Questo modello risponde alla domanda: “cosa ritieni più benefico per il paziente?”. Con questo modello si sacrifica il principio di autonomia in favore del principio di beneficenza/non maleficenza. Solitamente questo modello si applica nelle circostanze in cui il famigliare non ha mai discusso di valori personali e di scelte terapeutiche con il paziente o si trova nella situazione in cui il paziente non è mai stato capace di esprimere con chiarezza una scala di valori.
La teoria etica di come applicare al meglio in termini di autonomia delle scelte surrogate con i vari modelli è anche sostenuta dal diritto della Protezione dell’adulto in vigore dal 1° gennaio 2013. L’art. 377 sul Piano terapeutico e l’art. 378 sulle Persone con diritto di rappresentanza del Codice civile svizzero sostengono in primo luogo le decisioni chiare e incisive presenti su delle direttive anticipate (una reale, pura autonomia) e in secondo luogo designano come portavoce di valori personali e preferenze di trattamento del paziente incapace di discernimento, dapprima una persona da lui designata, poi un curatore e poi in seguito dei rappresentanti, famigliari che vivono con e condividono il vissuto del paziente (in ordine: coniuge, partner registrato, una compagna, figli, genitori, fratelli). Implicare il famigliare con il paziente come bene e valore determinante (circostanza 1) o includere il famigliare per sostenere delle scelte surrogate al fine di vegliare all’autonomia della persona (circostanza 2) sono le ragioni per cui nella maggior parte delle situazioni il coinvolgimento del famigliare è un imperativo medico, etico e giuridico.
Inoltre, il coinvolgimento del famigliare può esser immaginato su una scala da 0 a 100 in cui la situazione determina con un cursore quanto inglobiamo il famigliare nella presa a carico. Ad un estremo ritroviamo il non coinvolgimento del famigliare per rispetto della confidenzialità della relazione terapeutica medico-paziente (segreto professionale) e all’estremo opposto identifichiamo la circostanza in cui il medico fa prova del privilegio terapeutico.
Uno degli aspetti importanti della relazione terapeutica medico-paziente è la confidenzialità. Le informazioni confidenziali sono tenute volontariamente riservate tra il medico e il paziente e sono alla base di una relazione terapeutica basata sulla fiducia. La confidenzialità delle informazioni è assicurata dalla deontologia e dal diritto con il concetto di segreto professionale. Includere una terza persona nella relazione medico-paziente necessita un sacrificio in termini di confidenzialità e non può avvenire senza il consenso del paziente. Il paziente può quindi limitare il coinvolgimento del famigliare per diverse ragioni (gravidanza indesiderata, malattia infettiva contagiosa, etc..).
All’altro opposto si trova il concetto di privilegio terapeutico che determina la possibilità di coinvolgere unicamente il famigliare negando l’informazione al paziente. Il privilegio terapeutico è la possibilità che il medico ha di negare determinate informazioni ad un paziente che, in circostanze particolari di distress psicologico, potrebbero nuocere ancora di più allo stato psico-fisico del malato. Visto l’importanza dell’informazione e delle regole del consenso informato, si tratta di una situazione eccezionale ancora permessa dal diritto ticinese (rif. Legge sanitaria ticinese, articolo 6).
Si tratta di una situazione ad alto interesse etico in cui il medico si chiede quale valore privilegiare: il dovere d’informazione, la sincerità, l’autodeterminazione del paziente o l’effetto ansiogeno, la maleficenza indotta da una cattiva notizia.
Infine, ci sono situazioni che rappresentano delle sfide medico-etiche sempre più difficili su come coinvolgere il famigliare e allo stesso tempo praticare una medicina che rispetti le regole dell’arte. Si tratta, per esempio, del fenomeno di micromanaging family (Wasson e Kuczewski, 2022). Il micromanager è il famigliare che vuol esser coinvolto in toto nelle decisioni medico-scientifiche come la diagnosi, il trattamento e la prognosi in tal modo da interferire con delle cure realmente corrette per il paziente. Un altro esempio è il famigliare che chiede delle cure inappropriate e non più consone all’arte della medicina scaturendo in un accanimento terapeutico (Bosslet et al. 2015). Queste situazioni sono sempre più frequenti in un reparto di medicina e necessitano abilità in comunicazione, un approccio coordinato del team curante e talvolta il ricorso ad una consulenza in etica clinica.
In conclusione, questo breve testo ha l’ambizione di essere un punto di partenza per una riflessione più ampia e profonda su come, quanto e in quale maniera coinvolgere il famigliare al fine di definire nella maniera più precisa possibile il percorso di cura del paziente.
Bibliografia
Beauchamp, T. L., & Childress, J. F. (2001). Principles of biomedical ethics. Oxford University Press, USA.
Bosslet, G. T., Pope, T. M., Rubenfeld, G. D., Lo, B., Truog, R. D., Rushton, C. H., … & White, D. B. (2015). An official ATS/AACN/ACCP/ESICM/SCCM policy statement: responding to requests for potentially inappropriate treatments in intensive care units. American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, 191(11), 1318-1330.
Glajchen, M., Goehring, A., Johns, H., & Portenoy, R. K. (2022). Family meetings in palliative care: benefits and barriers. Current Treatment Options in Oncology, 23(5), 658-667.
Hobbs, G. S., Landrum, M. B., Arora, N. K., Ganz, P. A., Van Ryn, M., Weeks, J. C., … & Keating, N. L. (2015). The role of families in decisions regarding cancer treatments. Cancer, 121(7), 1079-1087.
Shalowitz, D. I., Garrett-Mayer, E., & Wendler, D. (2006). The accuracy of surrogate decision makers: a systematic review. Archives of internal medicine, 166(5), 493-497.
Torkamani, A., Andersen, K. G., Steinhubl, S. R., & Topol, E. J. (2017). High-definition medicine. Cell, 170(5), 828-843.
Wasson, K., & Kuczewski, M. (Eds.). (2022). Thorny Issues in Clinical Ethics Consultation: North American and European Perspectives (Vol. 143). Springer Nature.
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