Il latte e la polvere

Un racconto a puntate

“Il latte e la polvere” è il secondo episodio di un racconto a puntate che esplora le tensioni e le possibilità di incontro tra economia e cura. Il primo episodio, “La firma e il silenzio”, si trova qui.
 
Con uno stile semplice ma denso di simboli, il racconto mette in scena le relazioni che si costruiscono (e si spezzano) attorno alla fiducia, al denaro, al linguaggio degli esperti, alla fragilità di chi si affida. Nel corso delle varie uscite – puntuali, ogni sabato mattina – seguiremo i personaggi e i loro gesti quotidiani per interrogarci su cosa significhi, oggi, prendersi cura in contesti apparentemente lontani dalla medicina.

Parmalat, 19 dicembre 2003. Perché un’azienda che dichiara miliardi di euro di liquidità si indebita continuamente per raccogliere fondi? L’anziano signore non aveva pensato a questa semplice domanda, quando aveva sottoscritto l’acquisto delle azioni del gruppo, con una firma, impegnando i risparmi di una vita. Non era il solo. Non ci aveva pensato nemmeno il broker, che aveva consigliato a tanti di investire lì, anche a suo padre, che lavorava il ferro e gli aveva pagato gli studi a furia di saldature. Come mai nessuno ci aveva pensato prima? Forse non avevano visto chiaramente in mezzo a tutti gli zero, i villaggi caraibici e le tornate elettorali? O magari, si sbagliavano i giornali, che quelli prima non vedono niente e poi urlano allo scandalo; un po’ di moderazione, insomma, che qui basta un titolo in prima pagina a far tremare banche, governi e vitelli. Quattordici miliardi di euro di buco, tutti in silenzio prima, quando Parmalat pagava calciatori, politici, operai, giornalisti e chissà chi altro; tutti a parlare dopo, quando è bastata una carta scoperta da 150 milioni di euro a far saltare il banco. 17 anni e 10 mesi di prigione ad uno, qualche anno a qualcun altro, immunità prescrizione oblio ai soliti ignoti. I grandi crolli finanziari hanno un qualcosa di tragicamente affascinante, come l’orchestra del Titanic che continua a suonare mentre la nave affonda e poi il silenzio della polvere quando tutto viene giù, sistemato, ripulito da farlo diventare bianco come il latte. E in mezzo a tutta quella polvere, a quel finimondo, in quel vuoto pneumatico che si crea tra l’apparente perfezione, la crepa di una domanda semplice, il crollo da cinema di Hollywood e il latte bianco, innocente, restano alla fine un broker con una penna in mano e un anziano signore con un foglio che non vale niente e lo dicono pure i tribunali, che il rischio di investimento si sapeva, c’era scritto e legalmente non si può fare niente. Un broker, una penna, un foglio, un anziano signore, un sacco di polvere, un silenzio assordante e quattordici miliardi di euro spariti, che è un po’ come il gioco della sedia, quando finisce la musica e due restano in piedi e si guardano per un momento, perché capiscono di essere rimasti fregati. Si guardano e si chiedono, solo a quel punto, ma come è possibile che un’azienda che dichiara miliardi di euro di liquidità diventi, tutto d’un tratto, il più grande fallimento di un’impresa privata della storia in Europa. Come è possibile? A questo pensava, il nostro broker-eroe, quando alzò il telefono.

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