Il senso dimenticato di una zappa
Un racconto a puntate
“Il senso dimenticato di una zappa” è il quarto episodio di un racconto a puntate che esplora le tensioni e le possibilità di incontro tra economia e cura.
Il primo episodio, “La firma e il silenzio”, si trova qui.
Il secondo episodio, “Il latte e la polvere”, si trova qui.
Il terzo episodio, “Palliative care fore business”, si trova qui.
Con uno stile semplice ma denso di simboli, il racconto mette in scena le relazioni che si costruiscono (e si spezzano) attorno alla fiducia, al denaro, al linguaggio degli esperti, alla fragilità di chi si affida. Nel corso delle varie uscite – puntuali, ogni sabato mattina – seguiremo i personaggi e i loro gesti quotidiani per interrogarci su cosa significhi, oggi, prendersi cura in contesti apparentemente lontani dalla medicina.
10 Maggio 2025 – Economia, Medical Humanities, NarrazioniTempo di lettura: 5 minuti
10 Maggio 2025
Economia, Medical Humanities, Narrazioni
Tempo di lettura: 5 minuti
Colpo.
Stretta.
Colpo.
Affondo.
Colpo.
Silenzio.
L’anziano signore zappava la terra, nel piccolo orto della fabbrica dimenticata. Il sole si stava abbassando. Non era ancora estate; la fronte impregnata di sudore per la fatica, più che per il caldo. Si appoggiò alla zappa a guardare il terreno rimestato, come gli ultimi anni della sua vita, segnati dalla fatica – quella sempre presente, non solo nell’ultimo periodo – e da qualcosa di diverso, forse un rimpianto e anche un velo di preoccupazione. Fin da piccolo gli avevano insegnato il valore del lavoro, come qualcosa da rispettare e onorare. Non era scontato averlo e la concretezza di un mestiere aiutava nella vita, non tanto per i soldi in sé – quelli, certo, aiutavano a mangiare – ma per avere una ripetitività silenziosa, da maestro di meditazione quotidiana. Quello era il rimpianto, di non essere riuscito ad opporsi ad un cambiamento sociale che aveva svuotato il lavoro dal senso della banalità. Ora, si lavorava per essere qualcuno oppure per vivere, fare altro, riducendo al minimo possibile il tempo dedicato all’attività lavorativa. Narcisismo o nichilismo e il senso dimenticato di una zappa. E questo era il velo di preoccupazione. La separazione dei soldi dal lavoro non era solo una conseguenza della finanza, ma di un più radicale bisogno dell’uomo di trovare potere attraverso il lavoro. Non si lavorava più per lavorare, ma per status, soldi, sensi, possibilità e presunte libertà, per il dominio sull’esistenza insomma. Lo aveva capito, troppo tardi, passando da un mestiere all’altro e fallendo nel mondo degli investimenti. Ed ora era preoccupato e con qualche rimpianto, come poteva non esserlo? Si accese una sigaretta, sedendosi su una sedia bianca di plastica sotto una tettoia che proteggeva l’ingresso di quella fabbrica abbandonata. Tempo addietro apparteneva ad un imprenditore, che si era impiccato qualche trave più in là, dopo la crisi del 2008, come tanti avevano fatto in quella zona. D’altronde, quando il lavoro forgia la tua identità e ti viene portato via, non solo lasciandoti solo, ma anche umiliato, cosa resta da fare? Una fune lanciata al cielo, un nodo stretto, un affondo, un colpo e poi silenzio. Preoccupazione e rimpianto nel suono di un impiccato, fumo che entra ed esce dai polmoni.
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