Il silenzio nel diritto (sanitario) – Parte II

Il consenso tacito del paziente e il privilegio terapeutico 

La prima parte del contributo è consultabile qui. 

Introduzione 

Dopo avere presentato, in termini generali, il silenzio nel diritto sanitario e l’aspetto del segreto ad esso correlato, vorremmo ora esporre, nel contesto della relazione terapeutica, il silenzio che si manifesta in ciascuno dei due poli di quel rapporto: il paziente, da un lato, e l’operatore sanitario, dall’altro. Analizzare il silenzio nella relazione sanitaria impone di trattare del consenso tacito – il silenzio del paziente – e del privilegio terapeutico – il silenzio del medico. 

Per contestualizzare questi due temi dal profilo giuridico, occorre innanzitutto esporre alcune brevi considerazioni su un obbligo concettualmente opposto al silenzio, ovvero la comunicazione attiva espressa per adempiere il dovere del curante di informare il paziente.  

 

Il dovere di informazione del curante 

L’obbligo, per il curante, di informare il proprio paziente è consacrato da numerose disposizioni legali. Sgorga innanzitutto dal diritto del paziente all’autodeterminazione in ambito medico: la libertà di decisione del paziente è garantita dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (Hirsig-Vouilloz, n. 595). Quale componente della libertà personale del paziente, tale dovere di informazione è tutelato anche dall’art. 10 della Costituzione federale. In diritto privato, lo si può ricondurre ai diritti della personalità consacrati all’art. 27 seg. del Codice civile (Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 596), ma è previsto anche in materia contrattuale. 

I contratti che hanno quale oggetto la prestazione di cure mediche al paziente sono qualificati, dal profilo giuridico, per lo più quali contratti di mandato (art. 394 segg. Codice delle obbligazioni [CO]). Tra gli obblighi che il CO pone in capo al mandatario (nel contesto che ci riguarda, del curante) nei confronti del mandante (il paziente), vi è in particolare l’obbligo di eseguire l’incarico affidato con fedeltà e diligenza (cfr. art. 398 cpv. 2 CO). Da questi obblighi deriva, tra gli altri, anche l’obbligo contrattuale del mandatario di informare il mandante (vedi p.es. DTF 124 III 155, consid. 3a). 

Nell’ambito medico, l’obbligo di informazione – che nel contesto di questo contributo vediamo in primo luogo come il contrario del silenzio – riveste un’importanza particolare.

Spetta al curante informare il paziente, nel modo più chiaro, intelligibile e completo possibile, sulla diagnosi, la terapia, la prognosi, le alternative al trattamento proposto, i rischi dell’operazione, le possibilità di guarigione, eventualmente sull’evoluzione spontanea della malattia nonché sulle questioni finanziarie, segnatamente assicurative (vedi DTF 133 III 121, consid. 4.1.2). Più l’intervento è delicato, dal profilo della sua esecuzione o delle sue eventuali conseguenze, più l’informazione deve essere chiara e completa (DTF 133 III 121, consid. 4.1.1). 

L’importanza dell’obbligo di informazione, dunque, della comunicazione per opposizione al silenzio, è presto detta: il paziente deve, in particolare, poter esprimere il proprio consenso informato alla prestazione medica, liberamente e con cognizione di causa (Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 595 e 629; Tercier/Bieri/Carron, 2016, n. 4746).

Il medico che esegue un’operazione senza ottenere il consenso informato del paziente commette un atto illecito, ovvero contrario al diritto.

Ciò, indipendentemente dalla questione a sapere se l’intervento sia stato eseguito – o no – rispettando le regole dell’arte (cfr. Tercier/Bieri/Carron, 2016, n. 4747).  

Il consenso informato del paziente configura tuttavia un motivo giuridico di giustificazione dell’operato del medico (quali altri motivi giustificativi si pensi, in particolare, allo stato di necessità per gli interventi urgenti, oppure a diverse disposizioni legali che autorizzano interventi medici anche contro la volontà del paziente, ad esempio i provvedimenti mirati a prevenire la diffusione di epidemie previste dall’art. 6 e 7 della Legge sulle epidemie, il prelievo del sangue per stabilire l’attitudine alla guida, previsto dall’art. 55 della Legge federale sulla circolazione stradale, il trattamento di persone ricoverate a scopo di assistenza in un istituto per il trattamento di una turba psichica, cfr. art. 434 CC; DTF 136 V 117, consid. 4.2.2.1). 

Pur rilevante, il dovere di informazione del paziente non rende insignificante il silenzio.

Vi sono, anzi, delle costellazioni in cui il silenzio può avere la meglio sulla comunicazione attiva. Ne parleremo qui sotto, trattando le due emanazioni del silenzio che costituiscono il consenso tacito – dal lato del paziente – e il privilegio terapeutico – dal lato del medico.

Segnaliamo che esistono altre situazioni in cui – a dipendenza delle circostanze – il silenzio può limitare o anche imporsi sull’obbligo di informazione in ambito sanitario.

La giurisprudenza lo ha ammesso in casi molto circoscritti, ad esempio, per atti correnti che non presentano alcun particolare pericolo né comportano una lesione definitiva o durevole dell’integrità corporale (si pensi ai prelievi del sangue o alle analisi di laboratorio), per situazioni d’urgenza che configurano uno stato di necessità o se, nell’ambito di un’operazione in corso, si manifesta una necessità evidente di effettuarne un’altra o di estenderla (DTF 108 II 59, consid. 3). 

Va menzionata anche la situazione in cui sia il paziente a non desiderare di essere informato. Secondo la giurisprudenza, nonostante la volontà del paziente, una rinuncia totale all’informazione non può essere ammessa: per adempiere al proprio obbligo d’informazione, il medico non può rimanere silente. Deve, invece, inizialmente fornire al paziente un’informazione di base generale e oggettiva sulla patologia; in un secondo tempo, se il paziente rifiuta di ascoltare o non pone alcuna domanda, il medico terrà conto della rinuncia e potrà astenersi dal fornire più ampie informazioni (DTF 105 II 284, consid. 6c). 

 

Il consenso tacito del paziente 

In assenza di consenso informato del paziente, il medico viola il suo dovere di eseguire il mandato in maniera fedele e diligente. Tuttavia, in alcune circostanze, nonostante il silenzio del paziente, l’operato del medico può essere giuridicamente giustificato. Questo è in particolare il caso qualora possa essere stabilito un consenso ipotetico – dunque tacito – del paziente al trattamento medico.  

Vi è consenso ipotetico quando può essere stabilito che, anche se fosse stato debitamente informato, il paziente avrebbe accettato di eseguire l’operazione o l’atto medico cui è stato sottoposto.

In tale costellazione, nonostante il paziente non abbia espresso il suo consenso informato al trattamento medico, il comportamento del medico è di principio giuridicamente giustificato (Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 641; Tercier/Bieri/Carron, 2016, n. 4747). Il Tribunale federale ha trattato, per la prima volta il caso, in una decisione del 1991 (DTF 117 Ib 197). Questo concetto si ritrova all’art. 7 cpv. 3 LSan, in base al quale il consenso informato può essere espresso anche in modo tacito per atti concludenti nel caso di prestazioni sanitarie non invasive o che non comportano un rischio rilevante per il paziente o che non sono suscettibili di invadere la sua sfera intima. 

Nel valutare il comportamento del paziente per stabilire il suo eventuale consenso ipotetico, il Tribunale federale non si basa – in prima battuta – sul comportamento astratto che avrebbe adottato un paziente ragionevole, bensì sulla situazione personale e concreta del paziente in questione (cfr. p.es. DTF 133 III 121). È solo in assenza di motivi personali che avrebbero condotto il paziente a rifiutare l’intervento proposto che occorre esaminare la questione a sapere se fosse oggettivamente comprensibile, per un paziente assennato, opporsi all’operazione (cfr. Donzallaz, 2021, n. 4111; Guillod, 2021, pag. 311). In presenza di un intervento relativamente frequente, i cui rischi sono considerati rari, i tribunali tendono piuttosto ad ammettere che un paziente assennato e ragionevole vi avrebbe (ipoteticamente) acconsentito (cfr. Donzallaz, 2021, n. 4112; Guillod, 2021, pag. 311). 

Se, dunque, l’assenza di comunicazione, di informazione attiva del paziente, può in alcuni casi essere giustificata da un consenso ipotetico, dunque silenzioso, ve ne sono altri dove un tale possibilità di giustificazione è esclusa.

Secondo la giurisprudenza, in particolare, il consenso ipotetico del paziente non può entrare in considerazione qualora il genere e la gravità del rischio avrebbero richiesto un’informazione accresciuta.

In tali casi, se fosse stato informato in maniera completa, il paziente si sarebbe trovato confrontato a una decisione difficile, e avrebbe verosimilmente chiesto un periodo di riflessione (DTF 133 III 121, consid. 4.1.3). 

 

Il privilegio terapeutico 

Il privilegio terapeutico permette al medico, in una certa misura, di rimanere silente nei confronti del paziente, senza violare i propri obblighi. Il silenzio è questa volta riconducibile al medico.

Egli può tacere alcune informazioni a un paziente per il suo bene, qualora la vulnerabilità del malato lo renda troppo fragile per affrontare informazioni troppo traumatizzanti (Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 618),

che dunque danneggerebbero la sua salute o influirebbero negativamente sul buon esito del trattamento (Liang, 2018, n. 572; Donzallaz, 2021, n. 4050). Vengono spesso evocati, in questo contesto, gli effetti psicologici disastrosi di una diagnosi o di una prognosi grave (Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 618). 

Già nel 1979, in una causa in cui un paziente si doleva dell’informazione a suo avviso carente ricevuta dal proprio medico, il Tribunale federale ha giudicato che una prognosi grave o fatale – quale quella che in passato accompagnava una diagnosi di tubercolosi o che può essere oggi legata a quella di cancro – può essere taciuta al paziente (DTF 105 II 284, consid. 6c). Questa decisione è la prima in cui il Tribunale federale ha riconosciuto l’obbligo per il medico di raccogliere il consenso informato del paziente, ma il tribunale – per riprendere le parole di Guillod (2021, pag. 315) – «comme s’il était pris de vertige par sa propre audace», ha subito previsto questo privilegio per il medico. 

Il privilegio terapeutico è previsto anche da diverse disposizioni legali. Senza scopo di esaustività, si pensi all’art. 10 paragrafo 3 della Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina (RS 0.810.2), che prevede la possibilità di derogare all’obbligo di informazione nell’interesse del paziente. A livello cantonale ticinese, ad esempio, il privilegio terapeutico è evocato all’art. 6 LSan. Il privilegio terapeutico trova spazio anche all’art. 10 del Codice deontologico della FMH, laddove indica che il medico valuta accuratamente il modo con cui intende informare il paziente e quante informazioni il paziente è in grado di sopportare. Secondo il suo art. 13, il medico può rifiutare, limitare o sospendere il diritto del paziente di ricevere informazioni riguardo alla sua malattia qualora prevalgano interessi propri o di terzi. 

Il segreto del medico nei confronti del paziente è dunque tutelato, in una certa misura, anche in ambito medico, nelle costellazioni in cui occorre alla tutela del bene del paziente stesso.

Il privilegio terapeutico non può tuttavia annichilire completamente l’obbligo di informazione:

il medico può omettere di comunicare al paziente una prognosi grave o fatale, allo scopo di non inquietarlo inutilmente e di evitare di suscitare nel paziente uno stato d’ansia pregiudizievole al suo stato di salute, ma l’informazione deve allora essere di principio data ai suoi parenti (DTF 105 II 284, consid. 6c). È quanto prevede, a livello cantonale ticinese, l’art. 6 LSan, il quale – in deroga al dovere di informazione dell’operatore sanitario – prevede che nel caso in cui l’informazione possa essere suscettibile di portare grave pregiudizio allo stato psicofisico del paziente o compromettere l’esito della cura, l’informazione deve essere data ad una persona prossima. 

Nella dottrina giuridica, il privilegio terapeutico è controverso. Alcuni autori, in particolare, vi vedono un retaggio del paternalismo medico, e – non permettendo la raccolta di un consenso informato – una violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente (Guillod, 2021. pag. 316; Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 619 seg.). La giurisprudenza, tuttavia, lo ha confermato (p.es. DTF 133 III 121, consid. 4.1.2; DTF 122 I 53; sentenza del TF 6B_170/2017 del 19 ottobre 2017, consid. 3.2.2; Hirsig-Vouilloz, 2022, n. 618). Ciò nonostante, tenuto conto della presa di consapevolezza sempre maggiore dell’autodeterminazione del paziente e anche del cambio di paradigma della pratica medica, parte della dottrina giuridica dubita che il Tribunale federale applicherà ancora questa eccezione nei casi che sarà chiamato a giudicare in futuro (Guillod, 2021, pag. 317). 

 

Conclusione 

Il silenzio, come visto, è un elemento comunicativo non trascurabile, nemmeno nel diritto. Nelle due parti che compongono il presente contributo, la rilevanza del silenzio nel diritto sanitario è stata illustrata con l’aiuto di alcune delle sue emanazioni: il silenzio imposto al curante dall’obbligo di serbare il segreto professionale, il silenzio del medico per il bene del paziente – privilegio terapeutico –, ma anche il silenzio del paziente – che può tacitamente acconsentire ad alcuni atti medici. 

Il silenzio configura un comportamento passivo ma carico di conseguenze, che va adeguatamente considerato nella relazione sanitaria. Esso merita senz’altro una maggiore attenzione, non solo giuridica, ma anche etica e pratica – pensiamo per esempio ai silenzi in psichiatria –, per le importanti ripercussioni che porta con sé. 

Bibliografia

Donzallaz Yves, Traité de droit médical – Volume II: Le médecin et les soignants, Berna 2021. 

Guillod Olivier, Droit médical, avec la collaboration de Frédéric Erard, Basilea 2021. 

Hirsig-Vouilloz Madeleine, La responsabilité civile du fait du médicament en droit suisse – Etude en particulier de la responsabilité de l’entreprise pharmaceutique, du médecin, du pharmacien et de l’Etat, Berna 2022. 

Liang Shenbao, Einwilligung in medizinische Behandlungen – Eine rechtsvergleichende Analyse nach schweizerischem und chinesischem Privatrecht, Zurigo 2018. 

Tercier Pierre/Bieri Laurent/Carron Blaise, Les contrats spéciaux, 5° ed., Ginevra / Zurigo 2016. 

Cosa ne pensi?
Condividi le tue riflessioni
e partecipa al dialogo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Desideri essere aggiornato sulle ultime novità dei Sentieri nelle Medical Humanities o conoscere la data di pubblicazione del prossimo Quaderno? Iscriviti alla nostra Newsletter mensile!

Iscriviti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *