Io festeggio la tua intera vita

Mantenere, ricordarsi, rimembrarsi 

Nelle ultime settimane ho appreso di nuovo una cosa: è importante celebrare le persone quando sono in vita. 

Mentre scrivo queste parole sono su un treno per Lecce, penso alle rime in vita e a quelle in morte di Laura, a chi oggi non c’è più, poi penso alla margherita in giardino che da settimane resiste al freddo e poi la vicina del posto 8D, vicino al finestrino, comincia a parlarci del fatto che era a Milano per dei controlli. E mentre me lo dice, immagino già la parola che mi sta per dire: oncologo.

Mentre me lo dice è come se si aprisse una voragine.

Ci guardiamo negli occhi. Io non dico nulla, lei comincia a raccontare. 

Mentre l’ascolto penso alle cose che che si possono dire in questi casi e a quello che si può fare, soprattutto quando le persone sono in vita. Ecco che tornano le rime in vita e quelle in morte. Per noi, che siamo persone del tutto terrene, cosa è veramente importante in queste oscillazioni della vita? Dove trova pace il nostro cuore? 

Me lo sono chiesta spesso in questo periodo: trovare pace.

Come si può trovare, la pace? In queste settimane mi sono interrogata molto sul dolore di chi va e non su quello di chi resta, perché quello è qualcosa di più conosciuto, perché si percepisce l’assenza in ogni cosa, il vuoto nei corridoi, nel rumore dei passi o nel tocco della sua mano immaginata sulla spalla. Le immagini sono ancora nitide per un po’ di tempo, così come la voce, che risuona in alcuni modi di dire degli altri, nei loro gesti… 

Questa è una dimensione che si conosce e poi c’è quella che racconta più l’ignoto: non conoscere l’altro fino in fondo. Cosa c’è nel cuore di chi soffre? 

Nell’ambito delle Medical Humanities, spesso si lavora col personale curante, con delle famiglie, con delle diagnosi. Ma fuori dall’ambito più diagnostico, in che modo si può essere d’aiuto? Il primo articolo che ho scritto per questa rivista si chiamava Cercare la luce. Poesia per le mie ferite, e per le ferite degli altri qual è la cura? Perché, io, non sempre riconosco le ferite degli altri? Perché, io, non ho visto la tua ferita? 

Oggi cerco di ricordarmi, a mo’ di monito, di festeggiare le vite intere delle persone, di celebrarle in vita e non solo in morte. Anche a questo penso ora, mentre in questi giorni passano le notizie di tante morti di sconosciuti e di sconosciuti illustri, di cui spesso ci si ricorda solo quando sono morti. Oggi voglio ribellarmi a questa legge delle “bonanime”, alla legge del dolore di chi resta, a quella che ci obbliga alla pornografia del dolore e a mostrare la sofferenza altrui per mostrare la sofferenza nostra per far empatizzare gli altri col nostro dolore. Qui si aprirebbe un altro, lunghissimo capitolo, ma forse ne parleremo un’altra volta. 

Intanto, non posso non concludere con le parole che danno il titolo alla mia riflessione di oggi, quelle che Giorgio Caproni dedicò all’amico e collega Mario Luzi nel giorno del suo compleanno:

«Io festeggio la tua intera vita!»…

Questo è l’unico pensiero che riesco a far nascere oggi, quello che maturo da sempre: che l’unica cosa che conta è il mantenere, il ricordarsi, il rimembrarsi: che sono un tenere per mano, un riportare al cuore e alle membra, anche quando la scienza e il ricambio dei tessuti dirà “io non ti ho mai conosciuto” e continuare a festeggiare sempre, tutta la vita che è stata, quella che, in altro modo, sarà. 

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