“Io sono salute” e non solo…
Intervista allo scrittore e pittore Nicola Gardini
Ho conosciuto Nicola Gardini nel maggio di quest’anno in occasione di ChiassoLetteraria, festival di cui sono uno degli organizzatori. Per i più curiosi, qui trovate l’incontro allo Spazio Officina di Chiasso durante il quale Gardini ha dialogato con un’altra scrittrice che ho già intervistato in passato – molto passato… era il 2018! – Claudia Durastanti (quell’intervista, come tanto altro materiale a tema etica e umanesimo clinici, la potete trovare spulciando nell’archivio della Rivista per le Medical Humanities).
Devo essere onesto, sarebbe difficile e anche sciocco provare a “farvi conoscere” Nicola Gardini usando le mie parole, dato che quelle nella Home page del suo sito personale sono, senza ombra di dubbio – non si dice, ma lo dico – le più perfette. Le trovate qui. Mi permetto, però, di copiarne e incollarne qui alcune: «Le cose che più gli corrispondono: le onde marine, i fiori, gli uccelli, le superfici riflettenti, il latino, il canto, i malati, l’infanzia, le etimologie, le fotografie». Direi che rendono bene l’idea della quantità di “materia” che c’è nella sua ispirazione, non credete? E poi… beh, e poi… c’è quel «i malati», che ha indubbiamente stimolato oltremodo e più degli altri la mia curiosità di medico.
30 Luglio 2024 – Intervista, Arte, Medical HumanitiesTempo di lettura: 14 minuti
30 Luglio 2024
Intervista, Arte, Medical Humanities
Tempo di lettura: 14 minuti
… e allora Nicola, partirei proprio da qui: cosa significa che i malati ti corrispondono?
I malati sono artisti. Il dinamismo è la loro condizione – cioè un’acuta coscienza dell’instabilità, in base alla quale sentono assai più urgente dei cosiddetti sani la necessità di dare una forma a sé stessi e al mondo. Qualcosa è cambiato, qualcosa si è perso, ma qualcos’altro può trovarsi. Può esserci un guadagno, anche se non un recupero. La loro opera, anche quando sembra disperata, è la volontà di vita, che è la fonte di qualunque bellezza.
Hai scritto molto nella tua carriera: poesia, saggistica e narrativa… ormai si perde il conto. Hai vinto il premio Viareggio-Rèpaci nel 2012 con Le parole perdute di Amelia Lynd (Feltrinelli, 2012) e nel 2022 hai pubblicato il tuo ultimo romanzo, Nicolas (Garzanti, 2022), nel quale parli della ventennale relazione con il tuo compagno, scomparso a causa di un tumore raro. Vorrei però concentrarmi sul saggio Io sono salute – Quando la letteratura incontra la medicina pubblicato con Aboca sul finire del 2023. Mi dici perché, dopo Nicolas, hai scelto di continuare a parlare di scrittura e malattia? E che rapporto instaurano, quando – uso le tue parole – si incontrano, letteratura e medicina?
Nicolas è il ritratto di un uomo – Nicolas appunto –, che arriva alla morte per una malattia, un cancro intestinale, poco più che cinquantenne. Ho voluto rappresentare non un uomo che muore, ma un uomo che ha vissuto pienamente; un vero e proprio eroe, se nella figura dell’eroe riconosciamo un esempio di libertà e di forza morale. Nicolas, con il quale ho vissuto per vent’anni, mi ha insegnato che anche un malato ha una salute, cioè un progetto di vita, in cui ideali, intenzioni, indipendenza di giudizio possono essere vivi e vegeti fino all’ultimo respiro. La stessa morte, allora, diventa parte di quel progetto; e, quando arriva, arriva come una scelta, come un giusto esito. In Io sono salute ho fatto del caso di Nicolas, che il romanzo ha mostrato in forma narrativa, un discorso critico sul concetto stesso di salute. E ho contestato la tradizionale contrapposizione tra “salute” e “malattia”, affermando che la salute non è mai data, neppure quando si è sani, e dunque non è mai persa, bensì è sempre cercata, costruita, inventata. Una malattia ti toglie una certa salute, non la salute tout court. Un’altra potrà venire. Devono cambiare, perché questo riesca, i modi in cui noi percepiamo noi stessi, in cui parliamo di noi stessi. La salute è, infatti, in gran parte, costruzione linguistica. Il racconto va continuamente aggiornato. E non solo perché ci viene diagnosticato un cancro. La salute di una persona cambia secondo il momento della vita, i luoghi, i ricordi – anche quando si è sani… La letteratura è una grande sistema immunitario, se vogliamo. Ci mostra, con le sue storie, con le sue avventure, con il linguaggio, appunto, che la vita sia individuale sia collettiva è una inarrestabile ricerca della salute. Restituire importanza alle capacità linguistiche del malato, cioè crederlo capace di raccontarsi in un altro modo, e dunque di rinnovare la sua salute, aiuterà anche i medici a intervenire positivamente e costruttivamente sulla sua vita, perfino quando non c’è possibilità di guarigione, com’è stato per Nicolas.
Ti faccio una domanda un po’ provocatoria. Tu hai curato, per Bollati Boringhieri, uno dei saggi più rivoluzionari e più ambiziosi di Virginia Woolf: Sulla malattia. In questo testo Woolf ha scritto alcune righe piuttosto note, almeno tra coloro i quali si occupano di scrittura e malattia: «Considerato quanto sia comune la malattia, […] appare davvero strano che la malattia non figuri insieme all’amore, alle battaglie e alla gelosia tra i temi principali della letteratura». A quasi cento anni di distanza, la situazione è decisamente cambiata e di malattia si scrive, invece, tantissimo – forse troppo. Rimango spesso deluso da come in molta fiction e non-fiction letteraria a tema malattia prevalgano retorica e didascalismo e da come il fine di molti di questi testi sia unicamente quello di dare conforto al lettore, piuttosto che proporgli – come l’arte dovrebbe sempre fare – una profonda riflessione sull’umano, che comprenda le sue contraddizioni, le sue storture, le sue debolezze… insomma, non sempre e solo il bello, ma anche il brutto, di noi. Cosa ne pensi?
È vero. Di malattia si parla di più. Ma forse non si dice ancora abbastanza che non è un’ingiustizia, un torto, una perversione. Né – tanto meno – è un castigo divino. Nessuno deve essere veramente consolato perché gli sia capitato un malanno. La malattia è vita; parte della vita, regista della vita. Chi non è malato prima o poi? E la vita è, appunto, come dichiari: contraddizione, ambivalenza, mistero… Bisogna capire molte cose, avere uno sguardo critico e vigile sulla complessità, quando si ha che fare con la malattia. O meglio, con i malati. Come dico in Io sono salute, io preferisco parlare di malati. La malattia è un’astrazione. Ognuno è malato in una sua maniera esclusiva, secondo la sua storia, la sua natura, la sua capacità di vedere nel suo problema una nuova occasione di salute.
Tra le pagine per me più belle di Io sono salute, ci sono quelle in cui parli del tuo rapporto con la scrittrice Pia Pera, scomparsa poco dopo che vi siete conosciuti a causa della Sclerosi Laterale Amiotrofica – la SLA. È la seconda volta che mi imbatto in Pia Pera, la prima è stata quando lessi Due vite dell’altro tuo collega Emanuele Trevi, anche lui suo grande amico.
Mi affascina molto quando gli artisti si stimano e “dialogano” tra di loro… pittori che ritraggono altri pittori, epistolari di scrittori con altri artisti, musicisti che ne cantano altri… vorrei allora chiederti, visto che in questo caso con Pia Pera c’era certamente sia una forte vicinanza artistica, sia l’aspetto della malattia che è così centrale nella tua opera, che cosa ti è rimasto di lei, o meglio, di voi?
Ho conosciuto Pia quand’era già molto malata. La nostra intensa amicizia è stata una specie di innamoramento. Ha disposto che fossi proprio io a officiare la cerimonia del suo seppellimento. Mi ha lasciato nel cuore l’esempio del suo coraggio e del suo anticonformismo. Mi ha lasciato nel cuore la frase: Anche questa è un’occasione. La disse con il poco respiro che le restava. Anche Nicolas è stato così, coraggioso e anticonvenzionale. Nessun lamento, nessuna autocommiserazione. Solo fuoco di intelligenza e di amore della verità.
Questa è una domanda che, più o meno in questa forma, faccio spesso quando ho a che fare con artisti poliedrici come te. Ho detto prima che affronti molte modalità di scrittura, compresa la poesia e già questo basterebbe per quanto sto per chiederti… ma tu sei anche un pittore. Vorrei sapere se, e nel caso come, queste forme d’arte così diverse si influenzano tra di loro nella tua produzione?
Tutto quello che un artista fa è tenuto insieme da un’unica forza gravitazionale, e da leggi di attrazione e repulsione che attirano questa forma verso quella. Un mio dipinto è anche un po’ una mia poesia (anche per affinità tematiche – una mia idea di airone è diventata sia dipinto sia poesia sia racconto); una mia pagina saggistica è anche un po’ una mia pagina di romanzo. Eppure, ogni forma ha una sua irriducibile originalità. Quel riflesso nella rappresentazione dell’acqua, quella rima in un componimento, quella simmetria tra metafore nelle pieghe di una storia non sono altro che sé stessi, nella loro unicità. Dunque, sì, esiste il sistema, ma esistono anche gli atomi indivisibili di esperienze uniche, assolute… Che alla fine non so proprio chi e quante siano le persone che agiscono attraverso me.
Mi gioco in conclusione un altro argomento che amo sempre indagare quando ne ho l’occasione, ovverosia la formazione. Ai “Prof.” (ricordo a chi legge che Nicola Gardini è professore di letteratura italiana all’università di Oxford) non manco mai di chiedere di parlarmi di questa loro attività.
Tocca quindi anche a te: in primis, perché hai scelto di insegnare, cosa ti dà a livello personale? E poi, tornado un po’ al tema cardine di questa intervista, volevo sapere se con i tuoi studenti ti capita mai di affrontare non solo l’argomento scrittura e malattia, ma anche le questioni di bioetica più dibattute attualmente – aborto, eutanasia, transizione di genere… ?
Io sono un insegnante studente. Mi piace insegnare perché, insegnando, mi costringo a riflettere e a immaginare. Io, a lezione, espongo quello che sto imparando insieme ai miei allievi. Insegno da molti anni, e naturalmente non sono sempre stato come sono oggi. Sto sempre migliorando, diciamo. Il mio interesse per l’insegnamento, comunque, ha sempre avuto la sua radice in un bisogno di chiarezza e di confronto, che ho fin da quando ero bambino.
Invece, per quanto riguarda la malattia, sì, certo, parlo di malattia in classe. Molta scrittura letteraria è sulla sofferenza dell’essere umano. Quanto alle altre questioni… Sono molto attuali e molto presenti a Oxford. Non c’è bisogno di trattarle esplicitamente a lezione, ma i discorsi che affronto partendo dai grandi testi letterari del rinascimento – genere sessuale, femminismo, morte, potere, creatività, società etc. –, aiutano il dibattito e forniscono ai miei allievi importanti argomenti in difesa dei diritti civili e della democrazia.
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