La cenere e il carbone
“La cenere e il carbone” è il settimo episodio di un racconto a puntate che esplora le tensioni e le possibilità di incontro tra economia e cura.
Il primo episodio, “La firma e il silenzio”, si trova qui.
Il secondo episodio, “Il latte e la polvere”, si trova qui.
Il terzo episodio, “Palliative care fore business”, si trova qui.
Il quarto episodio, “Il senso dimenticato di una zappa”, si trova qui.
Il quinto episodio, “La visione e la tequila”, si trova qui.
Il sesto episodio, “La fune e la porta”, si trova qui.
Con uno stile semplice ma denso di simboli, il racconto mette in scena le relazioni che si costruiscono (e si spezzano) attorno alla fiducia, al denaro, al linguaggio degli esperti, alla fragilità di chi si affida. Nel corso delle varie uscite – puntuali, ogni sabato mattina – seguiremo i personaggi e i loro gesti quotidiani per interrogarci su cosa significhi, oggi, prendersi cura in contesti apparentemente lontani dalla medicina.
31 Maggio 2025 – Economia, Medical Humanities, NarrazioniTempo di lettura: 5 minuti
31 Maggio 2025
Economia, Medical Humanities, Narrazioni
Tempo di lettura: 5 minuti
L’anziano signore giaceva nella penombra di una stanza dimenticata dall’ospedale, nella zona di triage del pronto soccorso o forse in una specie di dépendance della camera mortuaria. C’era una fila di letti, tendine semi-aperte a cercare un po’ di intimità o a sottolinearne l’assenza, vecchi ammassati alla rinfusa su quei letti, uno riverbero soffuso, con poca energia, quasi triste. In fondo alla camera, una finestra, con la tapparella quasi abbassata del tutto, perché la luce non doveva entrare, anche se era notte, e l’aria non voleva uscire. Un soffitto basso, il corridoio stretto, strizzato dai letti da una parte e da una parete color cenere dall’altra. Silenzio, respiri morsicati da parte di qualcuno degli ospiti, altri mancati, dimenticati, persi. L’anziano signore era nell’ultimo letto, quello in fondo, vicino all’altra parete color pane al carbone. La finestra un po’ spostata, quasi ad angolo tra la cenere e il carbone. Era girato su un fianco, faticava a respirare, la coperta mezza avvolta su di lui, saliva e scendeva al ritmo del suo torace. C’era un sibilio ogni tanto, come di qualcosa che andava sgonfiandosi, in quella notte senza più tempo, orientamento, pentimento. Aveva vicino al letto degli occhiali, qualche foglio alla rinfusa, un caricatore senza cellulare attaccato. Niente di più. Gli occhi erano chiusi. La coperta puzzava di sentenza.
Era arrivato lì dopo un girovagare tra tre, quattro ospedali. In Lombardia, già prima della pandemia, c’era una carenza di posti letto, anche in primavera, quando le polmoniti e le influenze avevano scavalcato il loro picco. Certo, se te lo potevi permettere, c’erano le cliniche private, ma altrimenti faticavi a trovare un angolino, specialmente se eri vecchio, superato, senza speranza; come a dire che la dignità ha il prezzo del tempo e poi dei soldi. Aveva atteso a lungo, tra vari letti in corridoi di passaggio, sale d’attesa improvvisate, scantinati terapeutici. Alla fine, però, non c’era mai posto, un’altra urgenza, uno sfilacciare di posti come fili di una maglia che non tiene più. Lui aveva imparato nel lavoro, la pazienza dell’attesa, lo stare al suo posto, tra una firma, un foglio e un sogno. Ora, erano altri i documenti che gli facevano firmare: consensi informati, via libera al tour dei posti letto, scarico di responsabilità. Firmava con l’inchiostro e via a provare a cercare un posto, tra cenere e carbone, non dell’inferno ma nemmeno del purgatorio; semplice attesa, di qualcuno che andasse oltre quel firmare continuo, quel collocare e ricollocare estenuante, come se l’ambulanza fosse, alla fine, il posto giusto per lui, in movimento, in attesa, di un’attribuzione finale. E alla fine ci era arrivato, qualcuno che gli bucasse un polmone e gli ridonasse il senso del respiro. E poi lì, in quella camera, ancora ad aspettare, questa volta non si sa bene cosa. Forse qualcuno che giungesse, un po’ di luce in quella cenere e in quel carbone.
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