La cura come ascolto dell’altro
L’insegnamento della psichiatria esistenziale di Ronald D. Laing
5 Giugno 2023 – Psichiatria, Medical HumanitiesTempo di lettura: 13 minuti
5 Giugno 2023
Psichiatria, Medical Humanities
Tempo di lettura: 13 minuti
Si è scritto e detto più volte che Ronald D. Laing (1927-1989), insieme a David Cooper, rappresenti una delle voci più autorevoli di quel movimento, articolato e complesso, diffusosi nella seconda metà del 1900 e riconosciuto con il nome di “anti-psichiatria”. Sebbene Laing stesso rifiutasse la categoria di “anti-psichiatra”, la sua opera, sia essa declinata in senso clinico sia in senso teorico, si discosta con veemenza (e qui è possibile comprendere il significato del suffisso “anti-”) dalle metodologie e dal linguaggio psichiatrico tradizionale e dalla cosiddetta psichiatria naturalista. Laing è senz’altro un contestatore che rompe con certune posizioni classiche che riducono l’essere umano a oggetto astratto, una sorta di entità a sé stante da misurare e calcolare. Al contempo, però, egli è in senso pieno un coraggioso innovatore interessato a ripensare la complessità della persona nella sua totalità e concretezza esistenziale.
Durante il suo periodo come psichiatra in ospedale e nella sua pratica privata, Laing lavora segnatamente con quei pazienti diagnosticati schizofrenici considerati perlopiù incurabili. Dal confronto con questi pazienti nasce la volontà di comprendere nel profondo il significato del comportamento schizofrenico e il complesso ambito delle malattie mentali. Così, le sue ricerche sono tutte alimentate dalla necessità di fornire agli individui un’alternativa al trattamento psichiatrico tradizionale e all’isolamento personale in reparti ospedalieri sovraffollati. Al fine di realizzare questo obiettivo, nel 1965 dà vita a Londra a un importante e desiderato progetto terapeutico, fondando una comunità demedicalizzata (Kingsley Hall) caratterizzata in primo luogo dall’eliminazione di tutte le barriere tra operatori terapeutici e pazienti, e dalla gestione del loro rapporto in modo orizzontale, senza l’imposizione di una terapia farmacologica invasiva. Kingsley Hall, nonostante il fallimento finale e la feroce critica da parte di certi ambienti scientifici tradizionali, rimane un importante esperimento terapeutico basato sull’idea generale secondo la quale nel processo di guarigione (o auto-guarigione) dalla “malattia” è assai decisivo lasciare gli individui liberi di vivere apertamente la propria follia e i propri traumi. A ciò si lega l’idea laingiana di “terapia” come momento esperienziale in cui è necessario dare spazio e ritmo ai soggetti psicotici, senza drasticamente interferire con loro.
Le sue esperienze con l’LSD, le esplorazioni delle pratiche religiose orientali e le sue ricerche circa la ridefinizione della personalità schizoide sono spesso controverse, ma tutte fondate su una critica nei confronti della visione della malattia mentale sostenuta dalla psichiatria tradizionale e, in generale, dalla pratica medica convenzionale occidentale. In tal guisa, Laing inizia a delineare un approccio tendente a rimodulare il carattere della psichiatria e a sviluppare un nuovo modo di osservare la malattia mentale come fenomeno esperienziale esistenziale complesso in cui è costantemente in gioco la dinamica relazionale discordante dell’io con gli altri e dell’io con se stesso. In quanto fenomeno esistenziale, la malattia mentale va inquadrata all’interno del determinato contesto sociale di riferimento, in quella sfera d’influenza sociale nella quale l’individuo è storicamente inserito. Nel processo di comprensione della malattia è dunque fondamentale per Laing considerare l’individuo quale «essere-nel-mondo» (Laing, 1991: 21). Ogni qualvolta abbiamo a che fare con una soggettività, allo stesso tempo dobbiamo fare i conti con l’ambiente generale entro cui suddetta soggettività è inserita. Questo ambiente altro non è che un intreccio di differenti tipologie di relazioni e correlazioni esperienziali, un sistema di rapporti portatore di significati. Afferma al riguardo Laing: «Le nostre menti celano sempre la tendenza, fuorviante, a pensare in termini della singola persona quando parliamo di schizofrenia, follia o sanità, e simili. […] Ossia l’errore di parlare d’un tratto della soggettività del tale come se non fosse intersoggettiva, come se la si potesse estrapolare dall’universo come un’essenza, come una cosa in sé» (Caretti-Laing, 1978: 109).
La ricerca laingiana conduce in concreto a una seria rielaborazione e problematizzazione del luogo nel processo di affermazione della malattia, che si traduce nella tesi della centralità dell’interferenza dell’ambiente nello sviluppo della patologia. Tutto ciò coerentemente si lega alla ridefinizione del soggetto paziente, il quale non è più compreso alla stregua di un “caso medico”, isolato dalla propria realtà sociale e culturale, da sedare e controllare grazie all’intervento di farmaci o psicofarmaci. Il paziente è invece concepito come un centro catalizzatore di esperienze e intrecci o nodi relazionali che deve essere ascoltato e “curato” attraverso il linguaggio. Qui il concetto di “cura” non ha più a che fare esclusivamente con la prescrizione farmacologica e con il raggiungimento di un qualche risultato finale. La cura non è affatto intesa nel senso dell’estirpazione della malattia. Essa non è quindi un “punto di arrivo” paragonabile, ad esempio, alla cura di un’infezione (quando l’infezione è stata eliminata e non c’è più traccia di essa). La cura è invece il processo terapeutico stesso in tutta la sua continuità, è un percorso di terapia da condividere, è l’ascolto dell’altro, è la capacità del terapeuta di riuscire a empatizzare con il soggetto e di abitare/sentire il suo stesso dramma. In questo senso, curare l’altro significa essenzialmente entrare in relazione con la persona che sta dinanzi: comunicare con l’altro.
Alla base di ogni relazione terapeutica ci sono dunque l’empatia, la condivisione e la comunicazione. Laing afferma così la preminenza del discorso e della comunicazione nella terapia. Il comportamento schizoide diviene l’espressione di un significato, il tentativo di comunicare angosce, apprensioni, lacerazioni, insofferenze e oppressioni. Cambia il modo di pensare e trattare il paziente; muta il modo di relazionarsi alla “cura” e alla malattia. È in generale nel tessuto urbano e sociale, e non semplicemente nel corpo e nella mente (nell’interiorità) del “malato”, che Laing individua l’origine dell’emergere dei disturbi mentali e delle diverse patologie a essi connessi; lo studio e l’analisi di diversi casi di pazienti psicotici cronici lo portano ad affermare come, il più delle volte, a contribuire alla formazione della loro malattia sono proprio i sistemi familiari. Il che significa, in altre parole, che la prospettiva sociale, rispetto alla tradizionale prospettiva clinica, assurge al ruolo di comprensione di quei segni e sintomi della psicosi che all’apparenza risultano insensati e privi di significato.
Nello sforzo di comprensione del comportamento delirante del paziente schizofrenico, l’interesse precipuo di Laing risulta essere quello di ripensare la relazione tra terapeuta e paziente e, di conseguenza, includere il paziente nel mondo e non escluderlo o imprigionarlo in un ospedale o in un centro residenziale psichiatrico specializzato. L’interconnessione di soggetto e mondo, e dunque la definizione dell’individuo quale “essere-nel-mondo”, induce Laing a osservare tanto l’ambito intrapsichico quanto il contesto delle relazioni interpersonali del paziente psicotico. Così, la contestualizzazione del paziente, l’attenzione posta alla sua storia e al linguaggio, la necessità da parte dell’operatore di comunicare empaticamente con lui e di rigettare la morale convenzionale in modo da mettere tangibilmente al centro la “persona” della quale prendersi cura, diventano tutte componenti imprescindibili che hanno contribuito e contribuiscono non poco alla diffusione di quel processo di riconquista della dignità umana da parte dei soggetti psicotici che ha permesso una maggiore riattualizzazione del fenomeno psicotico.
La psichiatria esistenziale laingiana diventa così la disciplina impegnata a porre l’accento sulla raffigurazione di tutte quelle relazioni interpersonali che sono allo stesso tempo connessioni e disconnessioni, grovigli, circoli viziosi, vincoli in cui l’identità di ciascun individuo è messa in discussione ed emerge continuamente nella dialettica tra svelamento e nascondimento, donazione e sottrazione. Risultato peculiare di questo modello di psichiatria è il superamento del principio di normalità/follia e della conseguente categorizzazione normale/folle alla quale è contrapposta la visione del fenomeno «come aspetto integrante dell’esperienza complessiva dell’uomo» (Caretti-Laing, 1978: 107). La follia non è più vista dal punto di vista della normalità; lo schizoide non è più analizzato e osservato dalla prospettiva del “nomale”. L’approccio metodologico e terapeutico proposto da Laing conduce dunque all’abbattimento delle categorie convenzionali e offre a noi tutti, ancora oggi, una lente nuova grazie alla quale osservare attentamente la complessità del mondo della malattia mentale – e dunque della nostra società.
Alla luce di quanto scritto, benché il tempo vissuto da Laing non sia più il nostro, fare i conti con il suo insegnamento risulta ancora decisivo. La sua fenomenologia sociale ha il merito di focalizzare l’attenzione sul tessuto sociale dell’individuo, osservando in maniera radicale e con uno sguardo più ampio il problema della malattia. Il che significa cogliere le radici della malattia non nella persona in sé, ma nella società stessa, in quella fitta intelaiatura di interazioni e connessioni che si inverano e sedimentano all’interno dei diversi sistemi sociali umani: non la singola persona, ma l’intera società è sofferente e malata. Da qui, infine, occorre ripartire per ripensare la cifra della terapia e della cura.
Bibliografia
Caretti & Laing, Intervista sul folle e il saggio, Laterza, Roma-Bari, 1979.
Laing, L’io diviso. Studio di psichiatria esistenziale, Einaudi, Torino 1991.
Approfondimenti
Burston, The Wing of Madness: The Life and Work of R.D. Laing, Harvard University Press, Cambridge, 1996.
Groth, “Laing’s Presence”, in Janus Head, 4, no. 1: 170-86.
Laing, Wisdom, Madness and Folly: The Making of a Psychiatrist 1927-1957, Macmillan, London, 1985.
Szasz, Il mito della malattia mentale. Fondamenti per una teoria del comportamento individuale, Il Saggiatore, Milano, 1962.
Cosa ne pensi?
Condividi le tue riflessioni
e partecipa al dialogo
Lascia un commento