La doppia faccia della depressione

Quando il sorriso è una maschera 

Era il 14 dicembre 2019. Esattamente cinque anni fa al momento della scrittura di queste righe. Tornavo a casa mia a Verona dopo un weekend di divertimento: la sera prima ero stato al concerto dei Marillion a Padova. Una delle canzoni che hanno suonato quella sera fu Don’t hurt yourself dal loro bellissimo album Marbles del 2004. La canzone dice ad un certo punto:  

«La strada aperta è infinitamente speranzosa
Prendi tutti quei ricordi e gettali nel fuoco
E non ferirti, non ferirti, non ferirti mai più».  

Nel brano Steve Hogarth (autore dei testi e cantante della band di rock progressivo inglese) esorta l’interlocutore a non farsi del male rimestando il proprio vissuto ma a guardare avanti, mettendo ogni cosa nelle sue proporzioni. Questa canzone, che già conoscevo, mi aveva fatto venire in mente una mia vecchia amica di università, Stella (nome di fantasia, non ho il permesso della famiglia di rendere pubblica la sua storia).  

Stella era una mia compagna di università, era iscritta con me al primo anno della facoltà di farmacia quando entrambi avevamo cominciato gli studi. Stella era considerata da molti (e non a torto) una delle ragazze più belle dell’università ma, al di là di questo, era una persona decisamente brillante: superò con facilità i primi difficili esami in chimica generale e chimica organica mentre lavorava come baby sitter presso una ricca famiglia parmigiana e dava lezioni di danza hip hop nel tempo libero. Inoltre aveva molto carisma, uno spiccato senso dell’umorismo ed esercitava un certo magnetismo su chi le stava incontro. Era il 2007, io e Stella facevamo parte dello stesso gruppo di amici e capitava spesso che uscissimo o studiassimo insieme. L’anno seguente Stella, orfana di entrambi i genitori, si trasferì con i suoi zii in Inghilterra e fu così che ci perdemmo di vista quasi del tutto. Tuttavia è capitato di sentirsi e d’incontrarsi sporadicamente, quasi sempre per caso. Gli anni passavano, Stella diventava sempre più bella e simpatica sebbene non capivo come mai non riuscisse a trovare la sua strada e la sua collocazione del mondo. Aveva ripreso e lasciato gli studi più volte e mi parlò di non precisati progetti nel mondo della moda. Ci perdemmo di nuovo di vista. Ad aprile del 2019 , incontrai Stella casualmente a Parma, la città dei nostri studi. Ci ero andato a salutare degli amici. Stella stavolta appariva molto diversa. Andammo a prendere un caffè, sembrava molto dimessa, continuava a fissare il vuoto mentre mi parlava lasciando fluire una serie di idee e pensieri del tutto sconclusionati. Il suo viso appariva “scavato” da tutto il carico del mondo che portava sulle spalle e il suo corpo appesantito da almeno una decina di chili. Provai a chiederle cosa le stesse succedendo e l’unica cosa che fu in grado di rispondermi fu: «E’ difficile diventare grandi e non avere i genitori». Poi si alzò di scatto e mi disse che doveva raggiungere “un posto”. La accompagnai fino alla fermata dell’autobus in Via della Repubblica, ci salutammo con un abbraccio e le dissi che poteva chiamarmi quando voleva. Capii che c’era qualcosa che non andava. Chiamai una nostra amica in comune la quale mi disse che Stella stava curando una forma pesante di depressione e che l’anno prima provò a suicidarsi lanciandosi dal balcone di casa. Evidentemente un solo piano non era un’altezza sufficiente e si salvò. Nei mesi seguenti io e Stella ricominciammo a sentirci come tanti anni prima, mi ero promesso che non l’avrai lasciata da sola anche se, di fatto, non potevo fare molto se non qualche telefonata o messaggio di tanto in tanto. Finché, il giorno dopo del concerto dei Marillion venni a sapere che Stella era tornata in Inghilterra e che stavolta era riuscita nel suo intento di togliersi la vita, stavolta per non sbagliare era salita sul tetto di un grattacielo mentre era ospite di un’amica.  

Inutile dire che nella mia vita esiste un “prima” o un “dopo” questo evento. Ma la cosa che più di tutte mi ha lacerato è che negli anni precedenti nessuno di noi nel gruppo di amici aveva potuto capire quello che sarebbe successo di lì a poco tempo. Stella era la ragazza più allegra e solare che si potesse incontrare ed era sempre pronta a spendere buone parole per gli altri e tirare su il morale a chi ne aveva bisogno. Non era assolutamente il classico ritratto della depressione.  

La depressione, spesso associata a immagini di tristezza evidente e isolamento, ha molte facce. Alcune di esse sono così sottili da risultare invisibili agli occhi del mondo. C’è una forma di depressione che si nasconde dietro sorrisi smaglianti, battute ironiche e apparente vitalità. Come quella di Stella. È una depressione silenziosa, subdola e devastante, che colpisce persone che sembrano avere tutto sotto controllo. Robin Williams, uno degli attori più amati e carismatici di Hollywood, è forse l’esempio più iconico di questa “doppia faccia” della depressione. 

 

Il paradosso del sorriso 

Robin Williams aveva il dono di far ridere milioni di persone con le sue performance indimenticabili, da Mrs. Doubtfire a Good Morning, Vietnam. Dietro la sua energia contagiosa, tuttavia, si celava un’anima tormentata. Quando si tolse la vita nel 2014, il mondo rimase scioccato. Come poteva un uomo capace di portare così tanta gioia agli altri essere sopraffatto da una sofferenza così profonda? Questo paradosso evidenzia una realtà spesso trascurata:

la depressione non si manifesta sempre in modi evidenti. Può essere mascherata, minimizzata o persino nascosta dietro un comportamento apparentemente normale o persino euforico.

Il caso di Robin Williams non è isolato. Attori come Heath Ledger, Anthony Bourdain, e più recentemente Twitch, il celebre ballerino di So You Think You Can Dance, hanno lasciato il mondo prematuramente, lasciandoci con domande profonde su cosa si nasconde dietro i sorrisi pubblici e le apparenze felici. 

 

Depressione “ad alto funzionamento” 

Il termine “depressione ad alto funzionamento” è usato per descrivere una condizione in cui le persone continuano a gestire le loro vite apparentemente senza difficoltà, nascondendo la loro sofferenza interiore. Queste persone spesso eccellono nel loro lavoro, mantengono relazioni sociali e riescono persino a far ridere gli altri, pur lottando con un dolore insopportabile. Questa forma di depressione è particolarmente pericolosa perché spesso passa inosservata. Gli individui coinvolti tendono a minimizzare i propri sentimenti, temendo di essere percepiti come deboli o di gravare sugli altri. Non è raro che chi soffre di depressione “ad alto funzionamento” utilizzi l’umorismo come meccanismo di difesa, proprio come faceva Robin Williams. Il sorriso diventa una maschera dietro cui nascondere il dolore, un modo per distogliere l’attenzione dagli occhi del mondo. 

 

La cultura del successo e il tabù della vulnerabilità 

La società moderna incoraggia una cultura del successo in cui la vulnerabilità è spesso vista come un segno di debolezza. Questo è particolarmente vero per chi opera in settori altamente competitivi, come l’industria dell’intrattenimento. Gli attori, gli artisti e i creativi sono costantemente sotto i riflettori, spinti a mantenere un’immagine pubblica impeccabile. Per molti di loro, ammettere di avere problemi di salute mentale può sembrare un fallimento personale e professionale. Jim Carrey, un altro comico di fama mondiale, ha parlato apertamente della sua lotta con la depressione, descrivendo come spesso si sentisse “profondamente infelice” nonostante il successo e la fama. Ha descritto il suo alter ego comico come una “performance continua” per nascondere il dolore. Questo fenomeno sottolinea come le pressioni sociali possano spingere le persone a reprimere i propri sentimenti invece di affrontarli. 

 

Il ruolo della salute mentale nella prevenzione 

Un aspetto chiave della lotta contro la depressione è aumentare la consapevolezza che il dolore emotivo non sempre si manifesta in modo evidente. La salute mentale deve essere trattata con la stessa serietà della salute fisica.

Perché se un sorriso può nascondere il dolore, un’assenza di sintomi visibili non significa che non ci sia sofferenza. Per aiutare chi soffre di questa forma di depressione, è fondamentale creare spazi sicuri dove le persone possano esprimersi senza timore di giudizio. Familiari, amici e colleghi possono svolgere un ruolo cruciale mostrando empatia, ascolto attivo e sensibilità verso segni meno evidenti, come stanchezza cronica, difficoltà a concentrarsi o cambiamenti nel comportamento. 

 

La necessità di parlare di depressione 

La morte di figure pubbliche come Robin Williams ha suscitato un’ondata di discussioni sulla salute mentale, ma c’è ancora molto da fare per eliminare lo stigma associato alla depressione. Quando personaggi pubblici come Lady Gaga, Dwayne “The Rock” Johnson e Demi Lovato condividono le loro esperienze di lotta con la depressione e l’ansia, contribuiscono a normalizzare queste conversazioni. È un passo importante, ma dobbiamo assicurarci che queste discussioni si traducano in azioni concrete. 

 

Come riconoscere i segnali nascosti 

Sebbene la depressione “ad alto funzionamento” possa essere difficile da individuare, ci sono segnali sottili a cui prestare attenzione: 

  • Eccessivo senso del dovere: la tendenza a spingersi oltre per adempiere alle aspettative. 
  • Battute autoironiche: l’umorismo che maschera sentimenti di inadeguatezza o disperazione. 
  • Isolamento emotivo: difficoltà a condividere i propri sentimenti o ad aprirsi. 
  • Cambiamenti nel comportamento: alterazioni nella routine o nel livello di energia. 

Essere attenti a questi segnali non significa diagnosticare, ma offrire supporto. A volte, un semplice “Come stai veramente?” può aprire una porta. 

 

Un mondo che ascolta 

Per combattere la depressione nascosta, dobbiamo costruire una società più empatica, dove la vulnerabilità non sia vista come una debolezza, ma come una parte naturale della condizione umana. I sorrisi non sempre raccontano tutta la storia, e talvolta coloro che sembrano portare la luce nelle vite altrui hanno bisogno che qualcuno accenda una luce per loro. La lezione più importante che possiamo imparare dalla vita e dalla morte di Robin Williams e di altre figure pubbliche è che la sofferenza non sempre è visibile. Dietro le risate, le battute e l’energia ci possono essere battaglie interiori che nessuno immagina.

Riconoscerlo è il primo passo verso un mondo più compassionevole, dove nessuno debba più sentirsi solo dietro una maschera di felicità.

Cosa ne pensi?
Condividi le tue riflessioni
e partecipa al dialogo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Desideri essere aggiornato sulle ultime novità dei Sentieri nelle Medical Humanities o conoscere la data di pubblicazione del prossimo Quaderno? Iscriviti alla nostra Newsletter mensile!

Iscriviti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *