La malattia nelle narrazioni immaginifiche e dark

Intervista a Flavio Troisi, content creator e ghostwriter

Chi ormai mi conosce sa bene che la mia, per la Letteratura, non è soltanto una passione, ma una vera e propria ossessione. Gran parte di ciò che faccio alla Fondazione Sasso Corbaro si muove all’interno di questa disciplina umanistica (ci occupiamo di Medical Humanities, dopotutto!). Da tempo, indago e studio i legami tra la scrittura e le esperienze di salute e malattia, non solo dal punto di vista dei malati ma anche da quello dei curanti.  

Devo però ammettere che fino ad ora, il mio interesse si è rivolto soprattutto a quella narrativa che definiamo “non di genere” e che nel mondo anglosassone prende il nome di literary fiction (o di literary non-fiction quando racconta fatti realmente accaduti). 

Di recente, però, ho sentito il bisogno di alzare lo sguardo da quanto leggo quotidianamente, per capire come la malattia e la sofferenza del corpo e della mente vengano raccontate anche al di fuori dei confini della narrativa letteraria. In particolare, mi hanno attirato i mondi del fantastico, dell’horror, del weird, della fantascienza e del fantasy: generi che, nelle incursioni che fino adesso ho fatto al loro interno, tra libri e film, ho scoperto essere attraversati dai temi della malattia, del dolore e della morte con una frequenza sorprendente, quasi costante. 

Così, volendo iniziare un percorso di esplorazione di questi universi narrativi, per me oggi ancora un po’ distanti, ho chiesto a un esperto di accompagnarmi: Flavio Troisi, uno youtuber (andate a vistare ed iscrivetevi! al suo canale “Brokenstories”) che da tempo si occupa di narrazioni immaginifiche e dark. Flavio ha accettato di buon grado la sfida, e come primo passo di questo mio percorso si è prestato a rispondere a qualche domanda.  

Flavio, innanzi tutto vorrei ti presentassi e presentassi quello di cui ti occupi ai nostri lettori.  

Sono un ragazzo del 1972 e vivo in provincia di Torino, nella più piccola comunità montana d’Italia, dove scrivo libri da una decina d’anni in veste di ghostwriter e realizzo video intorno alla narrativa dark e immaginifica, come amo ripetere, ovvero quella che spazia dall’horror al fantasy alla fantascienza, passando per le lande incerte del weird, dove tutte le coordinate si confondono e lo spaesamento prevale. La narrativa di genere è stato il mio grande amore letterario fin dalla prima adolescenza, quando scoprii autori come Poe, Asimov, King, Lovecraft, Tolkien, Heinlein… un amore che non si è mai estinto e che sono incline per natura a condividere con chiunque abbia voglia di starmi a sentire ogni volta che una storia mi colpisce. YouTube, su cui opero da cinque anni circa, mi ha dato la possibilità di raggiungere una platea di lettori ferventi quanto me – perfino compulsivi, forse – creando una community in crescita di appassionati lettori, un’oasi di resistenza culturale. 

Arrivo subito al principale motivo per il quale sono venuto a bussare alla tua porta. Nei generi che segui da vicino, quanto spesso hai notato che la malattia – fisica o mentale – è presente? E quanto spesso diventa un motore narrativo e/o un tema centrale?  

Sono temi che percorrono l’esperienza umana e quindi la letteratura nella sua interezza, di cui quella fantastica non è un ramo, bensì tutt’al più il tronco da cui poi si è dipartita anche la letteratura mainstream che oggi associamo al “realismo”, e che in fin dei conti è a sua volta un genere.  

La narrativa aperta al Fantastico ha la possibilità di tradurre, se lo desidera, la questione della sofferenza e della malattia in chiave simbolica, e quindi di esplorarla attraverso il filtro dell’allegoria o della pura fantasia lanciata verso la stratosfera. In un racconto fantastico, un morbo causato da una maledizione o dall’esposizione a una misteriosa schiuma galleggiante sulla superficie del mare, può dare origine a un decorso che è il cuore della storia e che offre l’opportunità di addentrarsi negli stati d’animo come nelle percezioni fisiche e nelle conseguenze sociali di una malattia che è, sì, inventata ma anche posta al servizio di specifiche esigenze narrative. Così l’eventuale “messaggio” dell’autore (sempre che ce ne sia uno) arriva a destinazione più facilmente. 

Viviamo un’epoca di crisi economiche, conflitti sociali, guerre e catastrofi ambientali. Come si rapporta la narrativa immaginifica e dark con il nostro contemporaneo?  

Nelle più eterogenee possibilità espressive. La catastrofe ambientale permea moltissime opere di speculative fiction con visioni che variano dal più cupo pessimismo – nelle infinite distopie della fantascienza – alle multiformi epidemie che tingono di orrore tante storie ambientate in un futuro prossimo (ivi comprese le apocalissi zombi), fino ai sottili spiragli di speranza che illuminano le pagine del filone Solarpunk, dove si prefigura un futuro in cui sopravviviamo con una tecnologia e uno stile di vita ecocompatibili. 

La fantascienza ha presagito le enormi disparità economiche e lo strapotere delle corporazioni dagli anni Ottanta, quando un pugno di autori particolarmente interessati ai risvolti sociali della tecnologia ha descritto il mondo in cui viviamo attualmente. Erano i cyberpunk, araldi di un Medioevo high-tech che si è in gran parte realizzato. Quando raccontavano che il mondo reale sarebbe diventato un luogo inospitale e che ci saremmo rifugiati nei paradisi virtuali per trovarvi conforto, non stavano forse parlando dell’oggi? 

L’orrore della guerra? Tema cruciale dai tempi di Omero e quindi presenza costante anche nella narrativa fantastica. In moltissima narrativa fantasy, per esempio. Nelle sue espressioni più mature, il fantasy ci porta faccia a faccia con la tragedia del conflitto armato, raccontando vicende in cui uomini e donne comuni, soldati, cavalieri e perfino bambini sono costretti a fronteggiare eserciti invasori guidati da tiranni che non hanno niente da invidiare a svariati capi di stato odierni. Si pensi alle Cronache della Compagnia Nera di Glen Cook, un ritratto impietoso di un conflitto che ricorda Il Signore degli Anelli. Qui la guerra però è vista dalla prospettiva di una miserabile unità di mercenari, autentica carne da cannone. Nessuna traccia di gloria e onore, solo sacrificio e squallore. 

Come Glen Cook altri scrittori, dopo aver prestato servizio in conflitti reali, hanno deciso di raccontare il dramma e i traumi della guerra attraverso storie ambientate in mondi immaginari, o attraverso invasioni aliene, come in Guerra Eterna di Joe Haldeman, che restò gravemente ferito in Viet-nam. Il fatto che l’esperienza umana sia traslata in vicende dal forte contenuto fantastico non le rende meno coinvolgenti e significative. A contare, come sempre, è la qualità della scrittura e delle storie. 

Nel weird e nell’horror il corpo malato, deforme, mutilato e mutato appare di frequente. Per quale ragione, secondo te?  

Secondo il celeberrimo H.P. Lovecraft: «Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è la paura dell’ignoto». Stando invece all’autore inglese Clive Barker, il sostrato di pressoché tutte le conversazioni è la paura: di perdere il lavoro, l’amore, la casa, di soffrire la fame, della solitudine, di essere derubati, aggrediti… la nostra mente è occupata da terrori che teniamo a bada sforzandoci in ogni modo di erigere una roccaforte di punti fermi tutto intorno alla nostra connaturata insicurezza in merito al futuro: un impiego, una famiglia, una casa, una affiliazione politica, un impianto antifurto… ma c’è una paura che non si può liquidare in nessun modo, ovvero la perdita della salute, dell’integrità fisica. Che cosa c’è di più ignoto di una forza invisibile che ti torce e modifica a livello cellulare, di un virus che penetra le tue difese riducendoti ai minimi termini a prescindere da quali prevenzione tu abbia adottato? Malattia, deformità, mutazioni sono chiavi di accesso alla fonte primigenia della paura e stratagemmi narrativi infallibili per suscitarla e raccontarla. Inoltre, ci mettono dinanzi a una verità difficile da accettare: nessuno è al sicuro. C’è poi da aggiungere che la figura del medico suscita tante speranze quante paure. Quando siamo malati ci affidiamo a voi anima e corpo, indifesi come bambini e per questo segretamente atterriti. Ci possiamo fidare? 

In molte opere, dalla narrativa gotica fino alle più recenti uscite, la malattia psichica è un tema costantemente presente. Vedi un’evoluzione di come la si tratta e la si racconta nelle storie di cui ti occupi?  

Mi pare che la narrativa gotica e vittoriana avessero un rapporto difficile con la deviazione dalla “normalità”; quindi, anche dalle linee di condotta socialmente approvate. È spesso una letteratura imbevuta di conformismo e moralismo, in cui i “buoni” difendono lo status quo dalla minaccia di forze esterne identificate con ogni forma di devianza, compresa la malattia mentale. Un intero filone della narrativa del terrore muove da questa prospettiva. Chiunque non rientri nella normalità (inclusi i malati di mente) è il pericolo da combattere. In questo solco ideologico si inseriscono tutti i devianti che spaventano, fino agli infiniti serial killer che infestano le storie a tinte cupe degli ultimi decenni. In parallelo a questo filone ne esiste un secondo che descrive i malati di mente con maggiore lungimiranza, senza per questo nascondere le problematiche. È un horror più progressista, in cui il malato non sempre è pericoloso, né lo è il mostro in quanto tale. Al contrario, in queste storie spesso i mostri sono gli individui perfettamente inquadrati, i “normali”. In tal caso la malattia mentale può essere letta in chiave salvifica, al netto della sofferenza che induce. Nelle storie di Philip Dick, per esempio, c’è spesso un protagonista che denuncia una sorta di crepa nella realtà, una dissonanza che sulle prime sembra il sintomo di un disturbo mentale. È pazzo o alle soglie di una scoperta sconvolgente? E se tutto ciò che diamo per assodato fosse un paravento? Se è così entriamo nel regno della paranoia, una paranoia che però è radicata nella verità. Il “pazzo” ha ragione, tutti gli altri torto. 

Epidemie e infezioni sono indubbiamente un topos della narrativa immaginifica e dark. Perché secondo te? E cosa provano a dirci queste storie anche alla luce della recente pandemia di Covid o di un’altra “nostra” pandemia – oggi colpevolmente quasi dimenticata – che è HIV-AIDS? 

Le storie di pandemie ci parlano soprattutto di quanto siano fragili i pilastri della società. Li consideriamo incrollabili ma è proprio così? Quando il tuo vicino di casa potrebbe contagiarti con un virus mortale o trasformarti in una creatura affamata di carne umana, ogni patto sociale viene meno e la violenza rischia di scatenarsi per un nonnulla. Sono spesso vicende imbevute di pessimismo su chi siamo davvero in quanto esseri umani. Se dentro ciascuno di noi sopravvive un cavernicolo disposto a tutto pur di sopravvivere, meglio tenere alta la guardia. Temo ne sappiano qualcosa tanti medici aggrediti da pazienti o parenti di pazienti in preda al panico o condizionati da folli teorie cospirazioniste. 

Se dovessi consigliare ai nostri lettori tre opere che parlano di malattia in modo particolarmente incisivo nei generi fantastico, fantascienza, horror, weird, quali sceglieresti e perché? 

Mi attengo alle prime che mi sorgono in mente consapevole che non si può individuare un terzetto definitivo. Nel fantasy ricordo la trilogia di Thomas Covenant l’Incredulo, di Stephen R. Donaldson. Covenant è un uomo malato di lebbra chiamato a salvare un intero mondo fantasy in stile Signore degli Anelli. Tutti lo considerano l’eletto ma le ripercussioni psicologiche del suo male lo rendono il meno credibile degli eroi, una figura tragica, perfino sgradevole, che non si considera all’altezza e non crede a nulla di ciò che vede. Pensa infatti di essere impazzito a causa della malattia. Non sempre chi soffre è nobile e temerario come ci piacerebbe pensare, ed è una lezione che questa saga non dimentica. 

Nella fantascienza ricordo Tre millimetri al giorno di Richard Matheson, in cui un uomo comune comincia a rimpicciolire nella misura indicata dal titolo. All’inizio il cambiamento è impercettibile ma poi corrompe ogni aspetto della sua esistenza, trasformandolo in un fenomeno da baraccone, un pariah. Il matrimonio, il lavoro… tutto è compromesso. L’uomo diventa sempre più piccolo, rimpicciolisce in termini fisici e sociali. È una malattia misteriosa e non c’è rimedio che i medici sappiano escogitare. Come andrà a finire? 

Nell’horror ricordo L’esorcista di William Peter Blatty. Nel romanzo, come nel film, alcune delle scene più angoscianti sono quelle in cui la piccola Regan viene sottoposta a una quantità di esami senza esito positivo. I medici non sanno trovare una risposta, nessuno sa spiegare quello che le sta succedendo e questo essere indifesi di fronte a una presunta malattia è spaventoso tanto quanto la possessione demoniaca conclamata, secondo me. 

Ritieni che questi generi riescano a dire qualcosa che la cosiddetta literary fiction non è in grado di dire sul tema della malattia? 

Attenersi alla realtà fenomenica per raccontare una storia è una scelta né migliore né peggiore che adottare elementi fantastici. La differenza è nelle singole opere, non nella corrente di appartenenza, come troppo spesso si tende a pensare. La literary fiction è un genere tanto quanto gli altri, sicché non vedo perché dovrebbe essere differente nella sua totalità. 

Nella tua vita ti sarà capitato di avere a che fare, direttamente o indirettamente (attraverso un lutto, o la sofferenza di persone a te care, famigliari…), con la malattia. Sei una di quelle persone che tendono a evitare, in certi momenti, opere che potrebbero toccare “nervi scoperti”, oppure ti capita di affrontarle comunque o persino di ricercarle apposta? Pensi che certi racconti possano aiutare o che, al contrario, sarebbe meglio evitarli per non rendere ancora più difficile l’elaborazione del trauma? 

Ho avuto la mia parte di tragedie legate alla malattia, come tutti. E come tutti ho faticato a riemergere dal trauma della perdita. Quello con la paura e l’angoscia causata da certe storie è un rapporto ambivalente, per me. Ci sono periodi in cui fatico a leggere storie cupe e soprattutto a guardare film spaventosi e grandguignoleschi. Altre volte quel genere di storie ha un effetto catartico, reca sollievo. Non credo che esistano formule standardizzate e universali. Per alcuni è catartico ciò che per altri è tossico, ed entrambe le sensibilità dovrebbero essere rispettate. Io, per esempio, rimango traumatizzato ogni volta che intravedo un programma trash seguito da milioni di persone nelle tv generaliste. Quel degrado culturale mi angoscia profondamente.  

Quando si tratta di storie lugubri, mi piace comunque che i protagonisti non subiscano passivamente il male, preferisco che lo combattano. Che vincano o perdano, ammiro i personaggi capaci di trovare in sé il coraggio di reagire. Ma non ci sono regole e credo che vada condannata nella maniera più assoluta ogni generalizzazione bacchettona contro le narrazioni a tinte cupe. 

Sono abbastanza convinto che, in futuro, la narrativa di cui ti occupi continuerà a interrogarsi sulla malattia, forse sempre più in connessione con le biotecnologie, l’intelligenza artificiale e il transumanesimo. Vorrei, però, chiudere chiedendoti un tuo parere sullo stato di salute dei tuoi universi: come in altri ambiti, anche la narrativa immaginifica sta perdendo in qualità e diventando più superficiale, oppure continuano a emergere opere profonde e di valore? 

La narrativa di cui mi occupo è in buona salute, ma bisogna sapere dove cercarla. Negli ultimi anni il fantasy, più che l’horror e la fantascienza, sta conoscendo un forte impulso commerciale, cosa che non sempre si associa alla qualità. È bellissimo che tanti giovani si rivolgano ai mondi immaginari, ma proprio per questo c’è da augurarsi che autori e editori si impegnino a fornire storie e personaggi di alto profilo letterario. Non di rado le major editoriali puntano ciecamente sui fenomeni di richiamo immediato, sui generi di moda come anche sui “fenomeni del web”, e senza andare tanto per il sottile. 

Nella media e piccola editoria, al contrario, si compiono spesso scelte coraggiose, si va in cerca di autori nuovi e promettenti, che offrono letture più stratificate e stimolanti. Detto questo, escono ottimi libri anche presso i grandi marchi, che dispongono di un catalogo sterminato. Ben vengano le ristampe dei “classici” moderni della narrativa di genere. Bisogna orientarsi con attenzione, ed è anche per questo che realizzo i miei video, sperando di fornire una bussola, con mezzi ovviamente circoscritti. 

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