La nascita da surrogazione
Per una riflessione sulla GPA centrata sui figli
19 Marzo 2025 – Nascita, EticaTempo di lettura: 12 minuti
19 Marzo 2025
Nascita, Etica
Tempo di lettura: 12 minuti
La Gestazione per Altri (GPA) è una pratica procreativa che si avvale non solo della tecnica biomedica che negli ultimi decenni, in modo sempre più sofisticato, ha reso possibile l’assemblaggio di gameti fuori dal corpo, ma anche di donne disposte a essere preparate farmacologicamente per accogliere l’embrione da far maturare in sé fino alla nascita del feto: in quel momento il bambino o la bambina così generata viene ceduta alla coppia di cui almeno uno dei due è suo genitore biologico, in quanto gli/le ha fornito metà del patrimonio genetico.
Dato che l’embrione non è formato dall’ovulo della gestante, da un punto di vista tecnico la GPA non è diversa da una fecondazione eterologa; da un punto di vista relazionale, invece, ci sono alcune importanti differenze. La prima sta nel fatto che la donna, dopo aver cresciuto in sé un feto biologicamente non suo, rimane senza il bambino che ha partorito: la madre sociale del bambino non è quella che l’ha messo al mondo, ma quella che l’ha voluto a tal punto da accettare l’esternalizzazione della gravidanza e la partecipazione in un processo procreativo organizzato attraverso un’infrastruttura complessa di servizi ed esperti, tra i quali agenzie di reclutamento di surroganti, genetisti, consulenti legali, biobanche e cliniche per la fertilità. Nel caso in cui il processo sia innescato dalla volontà genitoriale di una coppia composta da due uomini, il bambino non ha alcuna madre sociale e nella costruzione della sua biografia non partecipano né colei che gli ha fornito metà del patrimonio genetico né colei che l’ha partorito.
In entrambi i casi, viene infranta una delle fondamentali certezze della convivenza umana:
come nota il sociologo Ulrich Beck nelle sue pagine dedicate alla metamorfosi del mondo (2017), con la surrogazione si inaugura una rottura nella storia dei cambiamenti della maternità, in quanto per la prima volta viene sovvertita la legge per cui l’unione biologica madre/figlio segna l’inizio della nuova vita; detta in altre parole, viene a mancare la sicurezza di essere figli di chi ci partorisce, ovvero la possibilità di identificare sempre con certezza la madre di una persona guardando all’evento del parto. Secondo il sociologo tedesco, non si tratta di un semplice mutamento sociale e nemmeno di un’evoluzione, in quanto vengono riconfigurate le basi antropologiche della nascita della vita e la novità introdotta non segue una legge di sviluppo o un principio di fondo preesistente. La metamorfosi comporta un’ondata di effetti collaterali: tra questi l’incapacità della legge e delle politiche di affrontare il tema, in parte dovuta all’assenza di precedenti e del permanere di un linguaggio che preserva certezze oramai divenute anacronistiche.
Da qui la necessità di ripensare le categorie concettuali del dibattito sulla GPA, che al momento non riesce a dare senso a tale metamorfosi perché piuttosto concentrato su una prospettiva adultocentrica e matricentrica del fenomeno in cui si contrappongono istanze abolizioniste per un divieto di legge totale e istanze riformiste atte a regolare la pratica in modo più o meno restrittivo a tutela di tutti i soggetti coinvolti (Bandelli, 2021).
Se fino agli anni Novanta il dibattito di opposizione a questa pratica si presentava perlopiù come una questione di indisponibilità della vita umana, oggi è formulato come un problema che riguarda le donne, il loro corpo e la loro autonomia sulle scelte procreative (Roman, 2012).
Il framework dominante utilizzato dal movimento abolizionista, e specialmente dalla sua anima femminista, è la mercificazione del corpo femminile e della sua capacità generativa, un’argomentazione che potrebbe rivelarsi obsoleta in un prossimo futuro di uteri artificiali, quando per creare bambini il corpo femminile sarà superfluo. Le istanze riformiste, invece, usano il lessico dei diritti riproduttivi, intesi come libertà delle donne di usare il proprio corpo a fini riproduttivi come meglio credono, anche per denaro, e come libertà di tutti ad accedere alle tecniche riproduttive, ai corpi e al materiale biologico disponibili e necessari per diventare padri e madri anche quando ciò non avviene naturalmente.
Non ha ancora acquisito centralità una riflessione seria sulle implicazioni sociali della metamorfosi descritta, che a livello micro di ogni singola GPA si esprime nella separazione della diade madre/figlio alla nascita.
Va ricordato che l’apprendimento a relazionarsi con le altre persone e lo spazio inizia prima della nascita, attraverso uno scambio bidirezionale di tipo biologico, fisiologico e sensoriale con la madre, e prosegue in un continuum fuori dal suo corpo (Nicolais, 2018). Nella GPA il bambino, una volta nato, prosegue il suo sviluppo in relazione ad altre persone che non conosce e sperimenta una rimozione repentina di tutti i punti di riferimento acquisiti durante la gravidanza: la voce del compagno della surrogante non sarà la voce di suo padre; le voce degli altri figli si perderanno perché questi non saranno i suoi fratelli e le sue sorelle; il battito cardiaco e il respiro che ha accompagnato la sua vita intra-uterina non sarà quello della persona che lo cullerà. Il filosofo svedese Marcus Agnafors (2014) fa notare che la frattura in questo processo di attaccamento e apprendimento non è cancellabile nemmeno se il bambino, grazie alle sue capacità adattive e all’amore della famiglia che l’ha desiderato, procederà in modo sano nel suo sviluppo. In altre parole, il lieto fine non cancella il taglio, che di per sé rappresenta un danno (harm) per il bambino, in quanto avviene in modo totale, repentino e prematuro rispetto al taglio necessario al processo di individuazione che invece avviene in modo graduale in fasi dello sviluppo successive.
Va osservato che anche nello spazio sociale non mediato dalla biomedicina si verificano tagli o fratture simili: si pensi ai casi in cui la donna decide, autonomamente o sotto condizionamento, oppure viene obbligata perché ritenuta incapace, di dare il neonato in adozione; si ha anche nei casi in cui il bambino viene sottratto alla madre per essere venduto; madri e neonati sono stati sistematicamente separati in passato nell’ambito di politiche eugenetiche, e nel presente ciò può avvenire nei percorsi di “accoglienza” dei migranti. In questi casi la separazione della diade è sanzionata socialmente, ritenuta non desiderabile, oppure – nel caso dell’adozione – accettata come soluzione per dare una famiglia al bambino che altrimenti non l’avrebbe. In nessuno di questi esempi la separazione è legittimata dal desiderio genitoriale di altri o dall’autonomia femminile a disporre del proprio corpo.
Nonostante la separazione di gestante e bambino sia una condizione strutturale della GPA – ovvero non può essere elusa, ma al più può essere mitigata quando la surrogante resta in contatto con la famiglia e il bambino –,
manca una rappresentazione collettiva forte della nascita da surrogazione così come dei primi mesi vissuti dalla nuova famiglia e della memoria della nascita nelle biografie di tutte le persone coinvolte, in primis della persona messa al mondo.
Gli stessi termini con i quali qualifichiamo questo modo di mettere al mondo – “gestazione per altri”, “maternità surrogata”, o “utero in affitto” a dir si voglia – richiamano l’attenzione sul ruolo della donna surrogante nel processo procreativo, non sull’essere umano che attraverso questo processo viene generato. Se fosse il bambino il protagonista del nostro immaginario, allora useremmo termini come “nascita da surrogante” o “nascita da madre/gestante per altri”.
Mentre il dibattito pubblico sulla GPA rimane piuttosto schiacciato sulle implicazioni che questa pratica ha sull’autodeterminazione degli adulti e sulla dignità della donna, parallelamente nella cultura contemporanea della genitorialità si sta facendo largo la consapevolezza che la gravidanza costituisce una fase cruciale per lo sviluppo fisico, emotivo e relazionale dell’essere umano. Attraverso il discorso sui “primi mille giorni” si sta affermando l’idea che l’identità delle persone, le loro capacità e potenzialità, nonché la loro salute lungo tutto il corso della vita, non sono determinate unicamente dai geni ereditati dai genitori biologici, ma da un complesso intreccio tra questi e svariate condizioni ambientali o sociali che si dipana fin dal concepimento, prosegue nella gravidanza e nei primi anni dell’infanzia (Pentecost, Ross, 2019). Sempre in un’ottica di protezione e massimizzazione del benessere psico-fisico del bambino, nonché di umanizzazione della nascita, viene oggi raccomandata dalle principali autorità sanitarie e dalla letteratura ostetrica la pratica del pelle-a-pelle tra madre e bambino, non solo per i benefici sul sistema immunitario, ma anche per un buon avvio dell’allattamento e dell’adattamento alle nuove relazioni familiari (Swami, 2025). Sarà interessante osservare nel prossimo futuro le forme in cui queste tendenze sociali e sensibilità in mutamento, che interessano la medicalizzazione della vita, la procreazione e la genitorialità, si intersecheranno nel processo di legittimazione della GPA, e in che modo contribuiranno alla formulazione di categorie concettuali e di costruzioni di senso necessarie ad affrontare il processo di metamorfosi in corso nella nostra società.
Bibliografia
M. Agnafors, «The harm argument against surrogacy revisited: Two versions not to forget», Medicine, Health Care and Philosophy, vol. 17, no. 3, 2014, pp. 357-63.
D. Bandelli, Sociological Debates on Gestational Surrogacy: Between Legitimation and International Abolition, Springer, London, New York, 2021, disponibile in open access a https://www.springer.com/in/book/9783030803018
U. Beck, La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari, 2017.
G. Nicolais, Il bambino capovolto, San Paolo, Roma, 2018.
M. Pentecost, F. Ross, «The first thousand days: motherhood, scientific knowledge and local histories», Medical Anthropology, vol. 38, no. 8, 2019, pp. 747-761.
D. Roman, «La gestation pour autrui, un débat féministe?», Travail, Genre et Societé, vol. 2, n. 28, 2012, pp. 191-97.
Swami, V. Skin-to-skin contact is good for your baby and you – and not just straight after birth. [12 marzo 2025].
Cosa ne pensi?
Condividi le tue riflessioni
e partecipa al dialogo
Lascia un commento