La relazione: abitarla poeticamente

Oltre l’atto tecnico, un’opportunità di trasformazione continua 

Questo contributo fa parte di una serie. Il primo articolo è consultabile qui, il secondo qui. 

«(…)
Sii dolce con me. 
Maneggiami con cura. 
Abbi la cautela dei cristalli
con me e anche con te.
Quello che siamo
È prezioso più dell’opera blindata nei sotterranei
e affettivo e fragile. La vita ha bisogno
di un corpo per essere e tu sii dolce
con ogni corpo. Tocca leggermente
e leggermente poggia il tuo piede
e abbi cura
(…)» 

– Mariangela Gualtieri – 

 

«Qual è il contenuto del sorriso e d’una stretta di mano?» (Szymborska, 1954). Abitare poeticamente la Cura significa essere consapevoli del modo in cui le parole, i gesti e le atmosfere plasmano l’esperienza di chi è vulnerabile.

Osservare il mondo educativo, guardare all’Altro con occhi poeticamente curanti trasforma la pratica educativa in un atto estetico oltre che etico.

Profondamente umano. Ciò non significa deprofessionalizzare gli interventi di Cura, ma renderli più morbidi, lenti e colmi di gratitudine. Per Sé, per l’Altro.  

Come possono coesistere i tecnicismi e gli atti concreti con la poesia, in un’epoca dove tutto è velocizzato e dove non vi è tempo per il pensiero lento? Possono coesistere attraverso lo sguardo. Osservare poeticamente ci permette di sentirci immediatamente più umani e più vicini al prossimo. Se io osservo i movimenti dei miei utenti con degli occhiali diversi, trarrò conclusioni meno giudicanti e più inclini ad un pensiero positivo.  

Cercare continuamente il senso delle cose significherebbe allora osservare con l’anima. Enzo Bianchi lo ha sottolineato: affermare di possedere un’anima equivale a riconoscere l’esistenza di una dimensione che trascende la nostra condizione umana, suggerendo un legame con qualcosa di più vasto e profondo (Bianchi, 2013). 

Il termine anima ha origine dal greco ánemos, che significa vento, evocando un’idea di movimento e vitalità. Allo stesso modo, psiche deriva da psychein, che significa respirare, sottolineando il legame tra la vita interiore e il soffio vitale che anima ogni essere (Galimberti, 2013). Magari fare poeticamente anima nel settore della Cura può significare respirare la relazione a pieni polmoni. Dunque vivere il quotidiano. Rendersi conto di ciò che accade, restando presenti. Rimanere nel Qui e Ora è, in fondo, competenza necessaria all’operatore della Cura. Essere presenti e riflessivi ci porta a vivere nel momento presente godendo anche della relazione con l’Altro. 

Christian Bobin, nel suo libro Abitare poeticamente il mondo, invita il lettore a riscoprire il senso profondo dell’esistenza.

Per me, è il libro più bello mai letto.

La sensibilità del suo approccio può essere applicato al settore della Cura, trasformando il tecnicismo in atti di vera ed autentica presenza verso il curato. Ciò significa accogliere con delicatezza, aprendo lo sguardo anche verso ciò che pare impercettibile, coltivare il silenzio nella relazione, gestire il tempo anche se si tratta di pochi minuti a disposizione, dare valore alle parole che vengono enunciate, costruire relazioni di rispetto, essere totalmente presenti di fronte all’Altro.  

Tutto ciò significa dunque che esiste qualcosa di più del mero tecnicismo: esistono atti di poesia terapeutica che rimangono, per quanto tali, professionali ed etici.

Esserci con consapevolezza significa dunque trasformare lo sguardo rendendolo più morbido ed accogliente. Per me, creare esperienze con un senso più profondo significa fare poesia nella Cura.  

Ma dunque, cosa significa fare poesia come strumento di osservazione del Sé e come questo può essere risorsa per l’operatore che lavora nella Cura? Significa, nella propria esperienza professionale, dare una forma a ciò che accade. Rifletterci, condividerla. Elaborare il proprio vissuto emotivo convogliando i vissuti nel linguaggio poetico. Ciò è permettere non solo di elaborare, ma anche di trasformare e incanalare per poter poi di seguito elaborare un pensiero riflessivo educativamente coeso e funzionale. Questa pratica permette di coltivare dunque una reale presenza che accolga nella relazione l’Altro e le sue necessità. Tutto ciò crea uno spazio di respiro dove poter decomprimere e coltivare così quella gratitudine che tende a scomparire sempre più dai contesti della Cura.  

Bibliografia

E. Bianchi, U. Galimberti, Cura dell’anima, ASMEPA Edizioni, Bentivoglio, 2013

C. Bobin, Abitare Poeticamente il mondo, AnimaMundi Edizioni, Otranto, 2019

W. Szymborska, Pytania zadawane sobie, Czytelnik, Varsavia, 1954

M. Gualtieri, Bello Mondo, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2024, p.46

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