Le direttive anticipate: un’opportunità mancata

Analisi e discussione di un caso clinico 

Le persone desiderano avere sempre più controllo sulla loro ultima fase della vita, avere voce sulle decisioni in merito ai trattamenti medici e relativi obiettivi. Spesso tuttavia, i pazienti in prossimità della morte diventano incapaci di prendere delle decisioni sui trattamenti, in seguito all’insorgenza di delirium o declino cognitivo (Brinkman, 2014).  

All’interno della relazione tra il paziente ed i suoi curanti, la comunicazione è un elemento indispensabile. Nell’assistenza sanitaria è stata da tempo riconosciuta all’interno del percorso formativo delle professioni sanitarie quale fondamento della gold of care. Gli studi sottolineano come sia fondamentale avere delle discussioni aperte ed oneste con i pazienti e con i loro cari, in particolare in prossimità di eventi critici. Nonostante questo, il 60-90% dei pazienti con una patologia potenzialmente letale riferisce di non aver mai discusso del fine vita con il proprio medico (Brighton, 2016).  

L’Advance Care Planning (ACP) rappresenta un processo formalizzato di comunicazione atto a definire gli obiettivi di cura, la valutazione diagnostica e i trattamenti medici. Tale discussione interdisciplinare coinvolge il paziente ed i familiari, oltre alle altre figure professionali coinvolte nel percorso di cura, con lo scopo di sviluppare un piano assistenziale in linea con gli obiettivi, i valori e le preferenze del paziente. Lo scopo dell’ACP è quello di rafforzare e promuovere l’autonomia del paziente, favorendo un’informazione chiara, esaustiva ed il raggiungimento di un’ottimale consapevolezza dello stato di salute, che si traducono in una maggiore partecipazione e aderenza terapeutica o compliance da parte del paziente nella ricerca del mantenimento della propria salute e del miglioramento della propria qualità di vita. All’interno delle ACP, sebbene a sé stante, trova spazio la stesura delle Direttive Anticipate (DA), con le quali il paziente ha la possibilità di potersi esprimere in merito ai trattamenti di sostegno vitale. 

Le DA rappresentano un documento importante nel percorso di cura, perché consentono al paziente di poter esplorare la sua biografia, i suoi valori ed esprimere la sua concezione di qualità della vita. Possono essere redatte in qualsiasi momento da una persona sana o malata capace di discernimento. Nella situazione ottimale la persona dovrebbe essere informata sullo stato di salute, sulla prognosi della malattia di cui eventualmente soffre e sui tipi di trattamento di sostegno vitale disponibili ed appropriati. Le DA possono rappresentare, come l’ACP, un importante strumento che consente alla persona di raggiungere un buon grado di consapevolezza del proprio stato di salute; in tal senso sono da intendersi come un processo che necessita del giusto tempo e spazio per poterle redigere. Nella pratica clinica non è infrequente che la discussione sulla redazione delle DA richieda anche diversi colloqui, perché impone al paziente di confrontarsi con il concetto di malattia, di morte e con l’assunzione di responsabilità su scelte sulla propria vita. Visto il carico emotivo che possono evocare, inoltre, sarebbe auspicabile che venissero discusse non in concomitanza di un ricovero ospedaliero per una acuzie della malattia di base, così da evitare che il paziente debba prendere decisioni in merito a trattamenti futuri in un momento di stress e di scompenso della malattia di base. In un’ottica di un modello di cura non più paternalistico, è determinante il nostro ruolo come sanitari nella promozione dell’autonomia e della consapevolezza del paziente, con lo scopo di costituire un’alleanza terapeutica. 

Pur essendo state in introdotte nel Diritto Federale nel gennaio 2013, a tutt’oggi la maggior parte dei pazienti con malattia cronica evolutiva in Ticino non stila le proprie DA. Di seguito riportiamo l’analisi di un caso clinico, emblematico per le circostanze e le problematiche legate alle scelte terapeutiche e alla presenza o meno di DA. Il caso è stato opportunamente anonimizzato e in alcune parti modificato a scopo pedagogico.  

Si tratta del caso di un paziente 60enne, che chiameremo Sig. Davide, affetto da un adenocarcinoma prostatico plurimetastatico sin dalla diagnosi e progrediente nonostante tre linee di trattamento. Il Sig. Davide è stato a lungo autonomo, residente da solo al domicilio, professionalmente ancora in attività e abituato a viaggiare sia per lavoro sia per piacere. A poco più di due anni dalla diagnosi, a fronte di una nuova progressione di malattia, il Sig. Davide viene ricoverato presso l’Unità di Cure Palliative per dolori non controllati sulle note localizzazioni metastatiche ossee, astenia e anemizzazione su mieloftisi. È la prima volta che incontra una equipe di cure palliative.  

Nel corso del suddetto ricovero ci siamo confrontati con un paziente affetto da una malattia oncologica determinante una prognosi infausta nel breve periodo e con una riduzione importante della sua autonomia nelle attività di vita quotidiana. Tra gli obbiettivi di cura prefissati abbiamo previsto anche la discussione delle DA, tematica per lui nuova non avendole mai compilate prima. 

Dalla lettura delle sue DA emerge un quadro di consapevolezza dello stato di malattia, non altrettanto adeguato rispetto alla sua traiettoria di malattia e alla prognosi. In merito alla descrizione del concetto di qualità della vita, emerge una persona attaccata alla vita, solo se quest’ultima è associata ad un buon stato di salute e di autonomia. Il Sig. Davide morirà meno di un mese dopo la stesura delle DA, senza mai poter rientrare al suo domicilio.  

La discussione delle DA in questo caso merita alcune riflessioni importanti.  

Una prima problematica che emerge è la tempistica in cui le DA vengono discusse e poi redatte. La discussione avviene tardivamente rispetto alla sua traiettoria di malattia, giacché effettuata ad appena un mese dal suo decesso. Inoltre la discussione avviene simultaneamente al riscontro della ulteriore progressione al trattamento eziologico, alla comunicazione dell’assenza di ulteriori linee proponibili e di una prognosi infausta inferiore a 3 mesi.  

Come qualsiasi atto medico, le DA necessitano di un consenso informato per una corretta stesura ed i criteri per considerarsi tale sono sia la corretta informazione del paziente in merito allo stato di salute presente ed alla prognosi stimabile sia la libertà del paziente di decidere per sé stesso.  

Nel caso del Sig. Davide, il consenso era informato, avendo ricevuto tutte le informazioni in merito alla malattia, alla prognosi, all’assenza di trattamento eziologico, alle possibili complicanze e ai trattamenti di sostegno vitale. Quanto, invece, tale consenso possa essere considerato libero, come previsto dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo, è fonte di ulteriore riflessione critica, vista la tempistica tra le ultime informazioni ricevute e la stesura delle DA. Sulla base della mia esperienza clinica, la libertà del paziente va intesa come una scelta consapevole in merito ai trattamenti di sostegno vitale e al fine vita, per quanto possibile scevra dalla spinta emotiva indotta dalla comunicazione di una prognosi infausta e dall’attualità di un peggioramento della malattia di base. 

Un ultimo elemento da considerare è poi la scelta del luogo di morte. Il paziente è, infatti, deceduto in ospedale. Quali erano, tuttavia, i desideri del paziente? Avrebbe preferito come luogo di morte il suo domicilio, ambiente a lui familiare, nonostante abitasse da solo? Confrontati con una prognosi relativamente breve, si sarebbe potuto valutare l’introduzione di aiuti specifici atti a permettere un rientro ed un decesso al domiclio? Per la contingenza dei fatti e la rapidità dell’evoluzione clinica non è stato possibile esplorare con lui questo aspetto. Nell’ottica dell’ACP e non solo limitatamente alle DA, infatti, si sarebbe potuto affiancare al percorso di cura anche un supporto che favorisse, per tempo, una discussione sui desideri del paziente in merito al suo fine vita. 

Le modalità e la tempistica della stesura delle DA sono spesso elementi critici, come nel caso clinico sopra esposto. A fronte di un aumento dell’età media e dell’incidenza di malattie croniche-evolutive, sono molto pochi i pazienti che sono a conoscenza della possibilità di stilare delle DA e ancor meno quelli che poi le compilano. Come evidenziato anche dallo studio di Vilpert et all. (Vilpert, 2022) diversi sono i fattori che sono alla base della mancata conoscenza delle DA e delle ACP; tra questi vi sono oltre al grado di istruzione, anche le differenze culturali, con una percentuale più alta di DA discusse tra i pazienti residenti nella Svizzera tedesca rispetto a quella francofona e italiana. 

L’importanza della discussione delle DA non risiede soltanto nella possibilità per il paziente di potersi esprimere in merito ai trattamenti invasivi di sostegno vitale, ma, soprattutto, nel processo di consapevolezza del proprio stato di salute e dell’espressione del concetto, del tutto personale, di qualità di vita. Allo stesso modo una discussione precoce delle ACP, in caso di una malattia cronico-evolutiva, consente di includere negli obiettivi di cura anche aspetti inerenti alla dimensione psicologica, spirituale e sociale, oltre a quella biologica. Pur riconoscendo la difficoltà nell’affrontare queste tematiche, che inevitabilmente pongono il personale sanitario di fronte ai dilemmi anche personali legati alla morte e al morire, sono ancora molti i passi necessari per migliorare la consapevolezza dei pazienti in merito alle possibilità di esprimere le loro preferenze nel campo della salute, della malattia e del fine vita.

Bibliografia

Arianne Brinkman-Stoppelenburg, Judith AC Rietjens and Agnes van der Heide. «The effects of advance care planning on end-of-life: A systematic review.» Palliative Medicine 2014; 28(8): 1000-1025. 

Lisa Jane Brighton, Katherine Bristowe. «Communication in palliative care: talking about the end of life, before the end of life.» Postgrade med j 2016; 92: 466-470. 

Sarah Vilpert, Gian Domenico Borasio and Jürgen Maurer. «Knowledge Gaps in End-of-Life Care and Planning Options Amog Older Adults in Switzerland.» International Journal of Public Health August 2022; 67. 

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