L’influenza della pandemia sulle ammissioni in CPC

Breve considerazione sulla “domanda” in salute mentale

Nel mese di marzo 2020 in Ticino, come nel resto del mondo in momenti diversi, sono state applicate misure restrittive per contenere l’ondata pandemica legata al COVID 19. Queste misure, che con grado di severità diversa si sono susseguite nelle varie fasi della pandemia, hanno avuto un forte impatto sulle abitudini, sulle attività e sul vissuto dei cittadini. La pandemia stessa, nel suo invadere prepotentemente la vita quotidiana, ha avuto un impatto dirompente sugli individui. Tutte le persone, alcune forse per la prima volta, sono state confrontate con aspetti di vulnerabilità e fragilità che, nell’ambito psichiatrico, costituiscono la dimensione saliente della sofferenza psichica.

L’effetto della pandemia e delle misure applicate può essere studiato anche attraverso un osservatorio particolare come quello della Clinica Psichiatrica Cantonale. Pur non essendo questo il contesto per una disamina statistica, riteniamo che il numero di accessi in CPC e il loro legame con l’andamento pandemico e con la severità delle misure messe in atto dalle autorità, possa fornire un’indicazione e permettere una riflessione che non sarebbe stata possibile in una situazione meno eccezionale. Il nostro intento non è quello di limitarci al fenomeno del COVID 19, bensì di discutere brevemente gli effetti che le restrizioni delle libertà e il ruolo centrale dato a livello nazionale e internazionale alla salute e alla sua protezione assoluta, hanno comportato nell’ambito della salute mentale.

A livello statistico i dati rilevati in CPC dal 2019 al 2021 (Grafico 1) mostrano una diminuzione delle ammissioni nel periodo del primo lockdown e in generale nei periodi in cui l’ondata pandemica si delineava con più forza. Questa diminuzione, in particolare nei mesi di marzo-maggio 2020 è però da attribuire ad un calo importante del numero dei ricoveri disposti su ordine medico a scopo di assistenza e cura (ex ricovero coatto) (Grafico 2). Il numero di persone che volontariamente hanno fatto ricorso alla Clinica non ha subito in quel periodo un cambiamento significativo indipendentemente dalle condizioni in atto a livello sanitario e sociale.

Di seguito a scopo esplicativo mostriamo i grafici delle ammissioni in CPC nel 2019-2021 e nei mesi della prima ondata pandemica.

Grafico 1

Grafico 2

Per quel che riguarda il minor numero di ricoveri su ordine medico, una spiegazione può sicuramente essere trovata nell’accesso minore di persone che in quel periodo giungevano dai Pronto Soccorso (in particolare per abuso di sostanze ed alcool) date le restrizioni cantonali stabilite per gli ingressi nei PS. Il fatto che i ricoveri volontari, invece, non siano diminuiti merita una breve riflessione sul significato della sofferenza mentale anche di fronte ad un evento collettivo di portata eccezionale. 

 Nonostante le restrizioni sociali, i limiti ambientali, le pratiche di igiene da adottare, le distanze intersoggettive imposte, il timore di contagio, o forse proprio per questo, le domande di ricovero non sono diminuite. Sebbene possa sembrare ovvio che in un periodo di grande difficoltà collettiva le richieste di aiuto non siano diminuite, è opportuno sottolineare che questa richiesta di aiuto ha assunto la forma di una vera e propria ospedalizzazione in ambiente psichiatrico stazionario acuto, con tutto quello che ciò comporta sia a livello assistenziale che di trattamento. Il bisogno sottostante alle richieste di ricovero di quel periodo non era semplicemente di avere un aiuto nell’immediato, ma, come sempre in psichiatria, esso prendeva origine dal nucleo più profondo della fragilità umana, ossia il bisogno di cura, il bisogno dell’altro e del suo riconoscimento, di essere guardati, visti e accettati anche e soprattutto nella propria vulnerabilità.  

 Infatti, la domanda centrale nella sofferenza di una persona non conosce confini: essa si dispiega nell’esperienza dell’umano in tutta la sua abissale complessità. Anche se noi potessimo descrivere in termini epidemiologici le caratteristiche delle persone che sono state ricoverate in CPC, ciò che resta di base in questa esperienza è che la dinamica psichica delle persone sofferenti non trova mai una risposta definitiva. Essa richiede sempre una interlocuzione che necessita dell’incontro con l’altro. È proprio l’intersoggettività e il non mancare all’incontro con la malattia mentale che ha fatto sì che le persone cercassero risposte in psichiatria. Sono proprio i pazienti che, anche in periodo pandemico, chiedendo aiuto, hanno fatto emergere come la psichiatria sia il luogo in cui quotidianamente ci si pone quesiti prettamente etici. Resta dunque imprescindibile riconoscere che la psichiatria possa proteggere quello spazio del pensare condiviso con coloro che esprimono, attraverso il loro disagio, l’esistenza della domanda fondante l’umano. Una domanda che pone sempre il dubbio sul sé e sull’altro, sul significato del mondo interiore confrontato con la forza del reale. Il dubbio che la sofferenza mentale sia espressione sì di un disagio interiore personale, ma anche il segno di un vivere sociale odierno sincopato, accelerato e confuso nelle sue prospettive di futuro.

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