L’inizio della vita: alcuni dilemmi etici

La “maternità surrogata” e il “benessere” del bambino 

Nella “gestazione per altri” o “maternità surrogata” una donna gestisce la gravidanza per conto di un’altra coppia o di un genitore designato: mette a disposizione il suo utero per ospitare l’ovulo o lo sperma trasferito mediante “fecondazione in vitro” o “inseminazione intrauterina”. Un aspetto importante è il fatto che il nascituro non è geneticamente correlato con la “portatrice gestionale”. Le ragioni per cui uno o entrambi gli aspiranti genitori ricorrano a qualcuno che conduca per loro una gravidanza sono, di regola, un’impossibilità biologica (malformazioni uterine) o il fatto che una gravidanza possa mettere in pericolo la vita della futura madre o del suo bambino.  

La questione della “maternità surrogata” è molto complessa, anche perché si tratta di una pratica che comporta rischi non indifferenti di sfruttamento della gestante, violando così la sua dignità; probabilmente una giusta disciplina della pratica potrebbe relativizzarli, soprattutto se si garantisse alla gestante il diritto al ripensamento, e quindi la possibilità di riconoscere il nato come proprio figlio, oltre alla sua piena libertà di comportamento durante la gravidanza, e se l’intermediazione fosse affidata a servizi pubblici. A noi sembra che un aspetto delicato potrebbe essere l’interruzione della relazione che si crea fra una madre biologica e il nascituro e il rischio correlato di una possibile umiliazione della donna, ridotta a un corpo e a un mero contenitore di un feto: in altre parole uno sfruttamento del corpo femminile e delle donne più povere.  

In Svizzera, la “maternità surrogata” è vietata dalla Costituzione Federale dal 1° gennaio 2001, perché si ritiene difficile garantire la dignità della madre e del nascituro, sia nel caso in cui la “maternità surrogata” sia condotta a pagamento sia nel caso in cui avvenga a titolo gratuito. Le stesse perplessità sono state espresse anche dalla Commissione Nazionale d’Etica per la medicina umana (CNE) in un parere del 2013, proprio per la difficoltà di creare condizioni accettabili, capaci di assicurare la giusta protezione di tutte le persone coinvolte.  

A tal proposito, è interessante conoscere la posizione della Consulta di Bioetica, presieduta da Maurizio Mori, resa pubblica in un comunicato dello scorso marzo, che sottolinea quale sia il punto fondamentale da considerare: «nel far venire al mondo un nato, l’aspetto etico (e giuridico) centrale è la responsabilità per la sua vita, la sua crescita e il suo benessere, e non tanto le modalità con cui si incontrano i gameti (se “naturali”, “assistite”, etc.); il punto costitutivo della genitorialità non è l’aspetto “naturalistico” relativo alla condotta fisica che ha portato all’esistenza un nuovo nato, ma è l’assunzione di responsabilità per il miglior interesse del nato; la fecondazione assistita è moralmente (e giuridicamente) lecita perché favorisce l’assunzione di responsabilità genitoriale, e per la stessa ragione non si vede perché non debba esserlo anche la “gestazione per altri”; non è vero che essa di per sé comporti sempre la reificazione della donna o la mercificazione del figlio, perché può essere un modo per costruire nuove forme rispettose di relazione e parentela; certamente la pratica va regolamentata, ma non per impedirne l’attuazione o per demonizzarla, quanto piuttosto per evitare sfruttamenti ed eventuali altre incongruenze che possono crearsi, analogamente a quel che capita in altri ambiti, ad esempio quello dell’adozione».  

L’Unione Europea sta proponendo una norma valida in tutt’Europa che garantisca a tutti i nati l’uguaglianza di status: devono essere assicurati eguali diritti a prescindere dalla modalità di nascita e il miglior interesse di tutti i nati. Il benessere del bambino deve corrispondere al suo interesse superiore. Anche nella “Legge federale concernente la procreazione con assistenza medica” (FMedG) del 2001 si considera il benessere del bambino quale principio fondamentale e si esige una consulenza completa della coppia in cura, introducendo un obbligo d’autorizzazione. L’articolo 3 della FMedG regola i doveri e i diritti dei genitori secondo la “Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia” (CRC), in vigore anche nel nostro Paese dal 1997, ma l’applicazione pratica è legata a diverse difficoltà, perché, d’un lato, si riferisce a un bambino che non esiste ancora, d’altro lato riguarda la salute fisica e mentale dei futuri genitori, che potrebbe impedire il benessere del bambino.  

Ci si potrebbe chiedere, inoltre, se l’età stessa del papà o della mamma debba essere considerata un criterio di selezione: la CRC raccomanda «relazioni personali regolari con entrambi i genitori, sicurezza e condizioni di accoglienza stabili», ma resta comunque assai difficile definire una prognosi di vita e di salute a lungo termine. Il dilemma etico (e giuridico) non comporta soluzioni facili, anche politicamente e, forse, si dovrebbe pure considerare l’idea che non è possibile attribuire alle persone un diritto a divenire genitore: esiste solo il diritto-libertà di provarci in modi compatibili con il rispetto delle altre persone, vive o in divenire. 

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