L’Ombra tra flussi e cristalli
Terre di ghiaccio, terre di fuoco e terre di vento
30 Settembre 2024 – PsychéTempo di lettura: 6 minuti
30 Settembre 2024
Psyché,
Tempo di lettura: 6 minuti
Apparteniamo e viviamo in un tempo fluido e scivoloso. Tempo dei flussi più che dei cristalli. Alla superficie tutto sembra orientato all’apertura, all’elogio del connecting people, alla velocità dei contatti, alla ricerca di facili e veloci viaggi in quegli Altrove, che assomigliano però sempre più a ciò che già conosciamo, in quella dimensione di spazio e di tempo uniforme ed omogeneo, ma anche di odori e di lingue, che caratterizza oramai quello che chiamo il tempo dell’aeroporto universale.
Se guardiamo però dietro le quinte un impalpabile paura collettiva sembra a volte oscurare il nostro cielo.
Cittadini dell’aeroporto universale, di luoghi di passaggio senza memoria, di terre oramai senza nome, arrischiamo tre sottili e silenziose malattie: quella dell’indifferenza emotiva (con il suo contraltare nello stordimento emozionale momentaneo che non solo i giovani a volte cercano), quella del neo-vagabondaggio, che ci vede viaggiatori senza meta e quella di una claustrofilia collettiva, ove tutto deve essere sotto controllo, in una forma di vera e propria paranoia sociale.
Tutto Aperto, sempre aperto sino a che tutto è uguale, tutto sotto controllo, ma poi Tutto Chiuso appena qualcosa di diverso e di estraneo si presenta alla nostra porta.
Mi viene alla mente una piccola storiella aeroportuale. Stavo all’aeroporto quando osservai un folto gruppo di turisti, che attendevano il loro volo per il Messico. Sfortunatamente il viaggio venne improvvisamente annullato a causa di un evento atmosferico avverso. Venne loro immediatamente offerta una soluzione alternativa. Perché non cambiare meta senza cambiare valigia, senza nemmeno ritirarla dall’imbarco appena eseguito e andare alle Maldive? Il gruppo accettò senza indugio, come se un luogo valesse l’altro, come se le coste messicane fossero la stessa cosa degli atolli maldiviani. Era più importante realizzare l’astratta idea di vacanza esotica, che il luogo in cui questa si sarebbe svolta. Lo spazio si era dissolto nella globalizzazione dell’Immaginario nella pura ovunquità. Il Messico era oramai uguale alle Maldive o ai Caraibi o se del caso a qualche isoletta remota del Pacifico.
Il rapporto con il mondo veniva così reso indifferente nel totale dominio dell’Eguale, come se la tana della nostra claustrofilia, in cui ripararsi, fosse illusoriamente il mondo stesso.
Il nostro mondo apparentemente tanto aperto arrischia così di divenire un’invisibile tana, come quella del racconto di Kafka, scritto con grande preveggenza negli anni Venti, così grande e complicata per sfuggire al pericolo da finire, infine, paradossalmente proprio incontro al pericolo stesso. Ma poi vi è il Fuori dalla tana, dove collochiamo facilmente le malattie, le epidemie, le pandemie ma anche le piccole e grandi guerre locali, insomma i luoghi dove non è più possibile o auspicabile andare.
Ma una tana per proteggerci da che cosa?
Non faccio qui un discorso geopolitico di cui non ho competenza e che complicherebbe di molte le questioni, ma cerco di capire come la tanto ricercata e costruita tranquillità della nostra società del controllo viene contaminata dall’inquietudine. Dove, infatti, gettiamo dentro il nostro spazio immaginario lo scarto della vita sociale, dove sta la poubelle della nostra inquieta quotidianità, in cui nascondiamo le nostre paure? Di fronte a tutto ciò i movimenti dell’anima individuale e collettiva producono un viaggiare immobile, un’erranza oramai senza passione. I pericoli sono ovviamente molti, ma il Nemico per eccellenza – diciamolo con gravità – abita non fuori ma dentro di noi, è la nostra stessa Ombra, che, come ci mostra Jung in Psicologia e alchimia del 1944, diviene segno sovrapersonale del Male.
Un Male che non possiamo lasciare soggiornare dentro di noi e che dobbiamo spostare altrove.
Questi altrove sono cambiati nella storia, ma il meccanismo rimane drammaticamente ieri come oggi lo stesso.
L’inquietudine della nostra intimità minacciata mette a rischio la nostra stessa identità. Nel momento in cui ci scordiamo di averne cura e smettiamo di dialogare intimamente con lei, rincorrendo soluzioni solo apparenti – in cui la politica può farsi impostura – tra chi vuole aprire senza attenzione alla sensibilità collettiva dei luoghi e chi vuole chiudere, sperando così di controllare e trattenere il contagio, l’Ombra spezzerà gli argini della tana trovandoci impreparati.
La tana e l’inquietudine dell’Ombra, dunque, le due figure oscure e risvegliate del nostro tempo.
Se la tana ci dava l’illusione di proteggerci, perché individuava l’oggetto della paura in grado di trovare una frontiera tra il luogo del pericolo e quello della sicurezza, l’inquietudine dell’Ombra, che oggi ci attraversa come l’aria che respiriamo, è pervasiva, senza frontiere. Il soffio dell’Ombra è ovunque e da nessuna parte. È qualcosa che si nutre della nostra stessa quotidianità. È come se, guardando fuori dalla nostra finestra, vivessimo una sorta di sottile stordimento, che oscilla tra la frenesia mass-mediatica che ci racconta gli orrori del mondo e l’indifferenza di qualcosa che sembra appartenere già all’inevitabile. Prima di sconfiggerci definitivamente (nella fatica psichica o nel rischio di sfarinamento del senso stesso della libertà) ci lascia psicologicamente e socialmente nudi e balbuzienti.
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Una risposta a “L’Ombra tra flussi e cristalli”
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Mi fa piacere aver letto lo scritto.
Proprio oggi pomeriggio, dal bus ho visto due signore ad una fermata, una piuttosto giovane portava una maglietta, con in bella vista la scritta “it’s not my problem” La mente mi è subito corsa allo scritto di don Milani “I care” del 2001.
L’altra signora nelle orecchie aveva i due minuscoli altoparlanti….
Tutto per dire….ognuno nella propria tana!
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