Nati in casa
Narrazioni di parti extra-ospedalieri fra stereotipi e realtà
16 Gennaio 2025 – Nascita, Casi clinici, EducazioneTempo di lettura: 13 minuti
16 Gennaio 2025
Nascita, Casi clinici, Educazione
Tempo di lettura: 13 minuti
In passato la nascita era considerata un ambito esclusivamente femminile dal quale gli uomini erano esclusi. Prima dell’entrata dei medici sulla scena del parto, le levatrici assistevano le donne in travaglio in totale autonomia. A partire dal Settecento, tuttavia, si assiste ad una progressiva medicalizzazione della nascita e allo spostamento dell’evento dall’ambiente domestico a quello ospedaliero. Di conseguenza, la professione dell’ostetrica è stata istituzionalizzata, controllata e regolamentata e le levatrici sono state sottoposte all’autorità medica anche nel caso di gravidanze fisiologiche (Rich, 1995; Filippini, 2017). Le donne sane sono state trasformate in pazienti, con tutti i rituali che questa nuova condizione comportava (Foucault, 1963; Kitzinger, 2006). A poco a poco, la gravidanza – definita ad alto o basso rischio – è stata patologizzata e medicalizzata. Il parto in ospedale è diventato una consuetudine poiché considerato l’opzione più sicura, normale e, talvolta, l’unica possibile.
Nel momento in cui il parto in ospedale è diventato una forma di monopolio e gli interventi medici la norma, alcuni medici, ostetriche e donne hanno iniziato a promuovere e a suggerire approcci e strumenti più naturali per affrontare il parto. Nonostante l’alto livello di soddisfazione riscontrato dalle madri che partoriscono secondo modalità oggi ritenute “alternative”,
il parto extra-ospedaliero costituisce ancora un’eccezione alle nostre latitudini, una scelta compiuta da una minoranza di persone, le quali devono spesso affrontare il giudizio e lo scetticismo di conoscenti, amici e medici che la considerano, a torto, come un’opzione rischiosa.
Per questo è una doppia notizia quella di Rémi, il primo nato nel 2025, partorito in casa. La singolarità dell’evento è stata segnalata anche dall’autrice e attivista Angela Notari – ideatrice del progetto Mamma.Nascita.Libertà – che al bambino ha dedicato una lettera aperta. La scelta del parto a domicilio, nonostante sia considerata sicura nel caso di gravidanze e parti fisiologici, è ancora stigmatizzata nella nostra società.
Sebbene l’atto della scrittura sia spesso usato per denunciare e superare esperienze traumatiche, le storie di nascita servono a condividere anche eventi positivi, mostrando che, quando le donne e le loro famiglie sono informate e sono trattate con rispetto dagli operatori sanitari, un’esperienza positiva è possibile. Per celebrare il parto extra-ospedaliero e il ruolo della levatrice sono di recente stati scritti due saggi autobiografici che stimolano un cambio di narrativa: Memorie di un parto cantato dell’autrice di origine croata Elena Skoko (2013) e Quello che ci unisce. Dalla levatrice Lucia al nostro e vostro parto di Angela Notari (2019). Elena Skoko, attivista e ricercatrice, ha vissuto a lungo in Italia e ha dato alla luce sua figlia a Yayasan Bumi Sehat a Bali, in Indonesia, assistita da Ibu Robin Lim. Angela Notari, invece, ha partorito i suoi figli presso la Casa Maternità e Nascita di Lugano.
La narrativa predominante ha un impatto sul modo in cui viene percepito il travaglio.
Come osserva Skoko, per molte donne nel mondo occidentale il parto in ospedale è l’unica opzione, non solo a livello pratico e legale, ma anche dal punto di vista narrativo (Skoko, 2015). In effetti, la fabula dominante rappresentata nei film, nelle serie tv e riprodotta nella cultura popolare è sempre la stessa:
Una donna incinta si rende conto improvvisamente che è ora di partorire quando le si rompono le acque. Contemporaneamente allo scorrere delle acque tra le sue gambe, un dolore forte e travolgente prende il sopravvento, generando panico dentro e attorno alla partoriente. Qualcuno la accompagna in macchina fino al reparto maternità dove gli assistenti della donna la consegnano al personale medico e ai tecnici dell’ospedale. Il personale medico la porta sulla sedia a rotelle in sala parto dove viene posizionata su un tavolo alto con le gambe divaricate e i talloni nelle staffe. Arriva un ostetrico-ginecologo con la sua assistente infermiera (o infermiera-ostetrica) che dà ordini alla partoriente indicandole come comportarsi e cosa fare. Il partner potrebbe essere presente, ma la sua passività e impotenza lo rendono del tutto trascurabile. Nella fabula è il medico a far partorire e a tirare fuori il bambino dalla madre che è agonizzante, completamente fuori di testa e di corpo, quindi incapace di usare la ragione e di prendere decisioni consapevoli. (Skoko, 2015, la traduzione dall’inglese è mia)
C’è un’altra storia, aggiunge Skoko, che, nei media, descrive un parto in casa o qualsiasi nascita fuori dall’ospedale. È l’anti-fabula. Nell’anti‐fabula la morte è inevitabile: la madre o il bambino muoiono tragicamente (Skoko, 2015). Per mostrare che esistono storie alternative a queste narrazioni stereotipate e per informare chi legge, Skoko e Notari decidono di raccontare la loro esperienza. Nonostante provengano da contesti culturali diversi e abbiano partorito in Paesi differenti, le due autrici presentano numerose somiglianze in termini di preferenze, esperienze, stile di scrittura e attivismo. Per entrambe, inoltre, la decisione di far nascere i propri bambini in una casa maternità, assistite da un’ostetrica di fiducia, non è stata né ovvia né impulsiva, ma attentamente ponderata.
Prima di esplorare le alternative, molte donne ignorano che il parto assistito da un’ostetrica in un contesto extra-ospedaliero sia un’opzione possibile e sicura. La necessità di fornire informazioni complete ed equilibrate è sottolineata da Notari, secondo la quale una presentazione oggettiva di entrambi i contesti – ospedaliero e domiciliare – senza elementi ideologici, è essenziale per consentire alle famiglie di prendere delle decisioni informate (Notari, 2019). La scelta delle autrici è stata influenzata dalla naturalezza offerta da una struttura che condivideva diverse caratteristiche con la propria casa: intimità, tranquillità e privacy. Altro punto a favore era costituito dalla presenza continua di un’ostetrica di fiducia che conoscevano e che consideravano esperta nell’assistere il parto fisiologico. Anche gli svantaggi solitamente riscontrabili negli ospedali hanno avuto un ruolo nella loro decisione: protocolli e linee guida rigidi (Notari, 2019), eccessiva medicalizzazione ed effetti iatrogeni diffusi (Skoko, 2011).
Notari scrive il suo libro nello spirito della sorellanza, per condividere la sua esperienza e sostenere altre donne nelle loro scelte, qualunque esse siano. Pertanto, non crede che partorire a casa sia necessariamente l’opzione migliore per tutte. Sua intenzione è piuttosto informare sulle possibili alternative e rompere un tabù su una scelta non convenzionale ancora stigmatizzata dalla società. Ricorda infatti che molte persone intorno a lei hanno espresso diffidenza nei confronti della sua decisione e riporta alcuni dei commenti sconcertanti che le furono rivolti, «bruttissime cose che credo una donna incinta non dovrebbe mai sentire» (Notari, 2019). Nonostante avesse stabilito un buon rapporto con la sua ginecologa, che l’ha supportata pienamente,
Notari è consapevole che la collaborazione tra medici e levatrici può essere difficile e che i pregiudizi sul parto in casa sono spesso trasmessi dai medici stessi.
Entrambi i libri riportano non solo esperienze autobiografiche di nascite positive, ma intendono celebrare anche il ruolo e l’importanza delle ostetriche durante gravidanza, parto e post-parto. Per questo motivo, il racconto di Notari è intervallato dagli aneddoti della vita di Lucia, un’ostetrica del Canton Ticino, nonché dal contributo delle altre levatrici che l’hanno assistita. Il suo intento è far luce sull’operato di persone abituate a lavorare nell’ombra (Notari, 2019) e celebrare una professione che non sempre gode del riconoscimento pubblico che meriterebbe. Similmente, Skoko rende omaggio alla propria ostetrica, Ibu Robin Lim, che, dal canto suo, è stata insignita del premio “Hero of the Year” della CNN nel 2011 (Skoko, 2013).
Notari e Skoko hanno vissuto esperienze positive perché si sono sentite protagoniste del loro parto. Inoltre, hanno giudicato positivamente la flessibilità, l’assistenza discreta e il comfort forniti dalle loro ostetriche in un ambiente rilassato dove potevano comportarsi come desideravano e non erano costrette a seguire rigidi protocolli. Secondo Angela “la semplice presenza di una levatrice – quando c’è sintonia e ascolto, assume un ruolo cruciale” (Notari, 2019). Ha inoltre apprezzato di non aver dovuto condividere lo spazio, il tempo o l’attenzione degli operatori sanitari con altre persone (Notari, 2019). In definitiva, ritiene che la nascita del suo bambino sia stata rapida proprio grazie a «quest’atmosfera ovattata, che [li] ha fatti sentire al sicuro, come un morbido e accogliente bozzolo» (Notari, 2019). In maniera simile, Skoko ricorda l’atmosfera calma e rilassata, e il supporto ricevuto dall’ostetrica e dal suo compagno durante la nascita di sua figlia:
Per due ore la mia ostetrica è rimasta seduta davanti a me su uno sgabello, guardandomi serena mentre chiacchieravamo come se fossimo davanti a un caffè. Era lì davanti a me, presente con il suo corpo e con la sua anima, incoraggiando i miei sforzi con amorevole cura. Roberto era al mio fianco, sussurrandomi nell’orecchio la nostra canzone. Era calmo e tranquillo, esattamente come lo volevo. Era il mio albero dalle radici ben piantate in terra (Skoko, 2013).
Nella nostra società le levatrici sono spesso erroneamente considerate come subordinate ai ginecologi e le loro competenze specifiche non sono sempre riconosciute (Brailey, 2017). Dalle esperienze di Skoko e Notari emergono invece le loro qualità nell’offrire un supporto continuo e nell’assistere in maniera efficace, empatica e sicura le donne in travaglio. Se nella cultura del rischio, che caratterizza l’attuale mondo della nascita, gli ospedali e i medici godono di maggiore autorevolezza rispetto alle case maternità e alle cure offerte dalle ostetriche indipendenti (Notari, 2019), questi saggi autobiografici contribuiscono a cambiare la narrativa, celebrando la professionalità delle levatrici nell’assistere in maniera autonoma i parti fisiologici.
Nell’ambito del ciclo dedicato ai tabù della maternità abbiamo discusso di parto extra-ospedaliero con l’autrice Angela Notari e con Anna Fossati, levatrice indipendente. L’incontro può essere recuperato sul Canale YouTube della Fondazione Sasso Corbaro.
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2 risposte a “Nati in casa”
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Buongiorno, ho partorito tre figlie, ora di 35, 33 e 23 anni per scelta all’Ospedale Beata Vergine di Mendrisio. Per tutte le gravidanze, ho lavorato fino all’ultimo e anche durante il parto in ospedale non ho avuto problemi, parti normali e naturali senza l’uso di medicamenti o altro.
Ostetriche, ginecologo e infermiere pediatriche molto carine e tranquille.
Anche dopo parto ho dei ricordi bellissimi della mia permanenza in ospedale, dove il personale dava anche brevi corsi su ad es. montata lattea, allattamento, possibili sensazioni emotive..
Ho scelto l’ospedale in quanto il mio lavoro in un istituto per persone disabili mi ha reso sensibile e attenta ai possibili problemi che possono sorgere anche all’ultimo momento…gli interventi in quei casi devono essere tempestivi. -
Carissima Mariella,
Grazie per aver condiviso la sua esperienza!
Mi fa moltissimo piacere che tutti e tre i suoi parti siano stati vissuti positivamente. Essere accolti e ascoltati con empatia e professionalità in qualsiasi contesto si scelga di partorire è importantissimo. E altrettanto importante è sentirsi al sicuro. Per alcune donne la scelta del parto in casa può essere quella giusta, mentre altre preferiscono la clinica o l’ospedale. È fondamentale che queste opzioni esistano e che ogni donna e ogni famiglia riceva informazioni complete e accurate, così da poter scegliere liberamente, con consapevolezza e senza giudizio il contesto e l’assistenza più adatti alle sue esigenze e preferenze.
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