Nel “tempio dei sogni”
per vedere, tra cielo e mare, l’infinito
29 Luglio 2024 – PsychéTempo di lettura: 6 minuti
29 Luglio 2024
Psyché,
Tempo di lettura: 6 minuti
«Quando si varca l’arco di ingresso al tempio dei sogni, lì, proprio lì, c’è il mare» – Luis Sepúlveda.
Se alziamo gli occhi al cielo e ascoltiamo il battito delle onde del mare, incontriamo l’infinito. Nelle tante notti della nostra fuggente vita ci appaiono a volte, se alziamo gli occhi al cielo e ci sporgiamo nel suo grande blu, stelle così luminose e seducenti da lasciarci catturare dalla meraviglia.
Giocare con le nuvole del cielo o con le onde del mare è come avvicinarsi a quelle presenze misteriose, in cui dimora la vita e in cui è forse ancora possibile trovare tracce di infinito.
Un infinito che sembra lontano, mentre appartiene vicinissimo ai nostri sogni e al nostro immaginario più intimo.
Ho sognato il cielo tante volte da bambino senza mai poterlo veramente abitare, fuggente e fuggitivo al mio sguardo, anche se provare ad abitare “il tempio del sogno” me lo avvicinava. Il cielo apparteneva ad uno di quei sogni irraggiungibili, ma anche meravigliosamente capace di costruire vere e proprie battaglie tra anime che continuano ad abitare l’eterno. Il mio cielo interiore incontrava a volte il mare, si specchiava dentro di lui, per trovare, in quel suo orizzonte azzurrissimo, in quella palla rossa di sole, che cadeva al tramonto dietro la linea dell’orizzonte, le tracce di infinito, che stavo cercando.
Il cielo e il mare come luoghi in cui toccare e assaporare il cielo e il mare, infinitamente infiniti, già dimora degli dèi, che ora sembrano fuggiti, degli antichi eroi, dei guerrieri, che combattevano le loro ultime battaglie, divenute poi racconti e favole. Quanto sarebbe bello ritrovare lo sguardo affascinato e stupito del bambino, che rimemorava proprio quelle antiche battaglie dei cieli e dei mari con uno sguardo, capace di svelarne l’incognito, l’avventuroso, l’imprevisto di quel diverso tempo della vita, quando si era accarezzati dalle sue brezze o dalle melodie ventose generate dalle montagne, che nascondevano boschi incantati. Quanto sarebbe bello sfuggire all’abitudine, al tempo veloce, a volte persino violento, agli spazi quotidiani del lavoro e della casa, per ritrovare un po’ di quella nostra infanzia lontana e spesso dimenticata. L’attesa di quei viaggi immaginari conteneva già tutta la gioia di quello che avremmo poi vissuto o incontrato, quando sentivamo veramente il tempo dilatarsi, quasi a non finire mai, quando gli orizzonti si facevano tanto ampi da dipingere paesaggi incantatati, quando il nostro corpo si liberava come se stessimo danzando come libellule, quando si poteva cenare al chiarore della luna, perché domani era tutto per noi.
Il tempo dell’incontro tra mare e cielo ha una relazione intima con l’amore e con la passione, che dà fuoco ai nostri desideri.
È il tempo per alcuni di viaggiare nel silenzio colorato della propria intimità e per altri di vivere nell’eccitazione di quello che potrebbe accadere, come accade all’incontro dei primi amori. È il tempo del volto felice della nostra nostalgia. Sono, infatti, i bambini i maestri di questo tempo, perché ne sanno ascoltare e sentire i ritmi, le atmosfere, le melodie. Non tempo liberato dunque, ma tempo solo libero. Educare all’Altrove e quell’Altra Temporalità ha così lo stesso valore esistenziale dell’educare al lavoro o per i giovani allo studio. È, infatti, nella famiglia, quando si ha la fortuna straordinaria di averla, anche se quasi sempre imperfetta, ma comunque viva, che possono, contro tutte le intemperie della vita, essere costruiti e nutriti i nostri sogni e le nostre utopie. Senza questo condiviso nutrimento tutto arrischia di divenire sterilmente funzionale, privo di quel fascino di cui abbiamo tutti tanto bisogno come fossimo assetati in cerca dell’acqua.
Comunità troppo chiuse su se stesse o troppo aperte al mondo esterno e troppo vittime dei miraggi effimeri, di cui la società ci nutre e a volte ci intossica quotidianamente, hanno oramai molta difficoltà a coltivare ad avere cura del “tempio dei sogni”. Il “tempo del mare” come quello delle “montano”, che evita la pianura, non é un tempo marginale, anche se piacevole. Non è un tempo che attende solo il momento di riprendere le occupazioni quotidiane, al giungere delle prime piogge agostane o al termine delle due settimane in cui é ridotta l’antica villeggiatura.
È temporalità essenziale, quella dei mari e dei cieli, indicatori “sismologici” della qualità dell’esistenza individuale e collettiva.
Una temporalità che contiene, infatti, le virtù inattuali della distrazione, del piacere del dettaglio, delle sfumature, dell’ascolto dei ritmi del giorno e della notte, del corpo liberato, al di là dei luoghi di lavoro, dei banchi di scuola. Liberare i corpi, dilatare tempi, aprire gli spazi, questo il cuore più vero della “rivoluzione interiore”, che gli sguardi gioiosi e avventurosi dei bambini sanno prefigurare. Basta, come lo sanno fare loro, alzare gli occhi al cielo ed ascoltare il battito delle onde.
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