Nelle “periferie” lontanissime del nostro “cuore”
Terre di ghiaccio, terre di fuoco, terre di vento
28 Aprile 2025 – Psyché, Arte, Dolore, Libertà, Medical HumanitiesTempo di lettura: 17 minuti
28 Aprile 2025
Psyché, Arte, Dolore, Libertà, Medical Humanities
Tempo di lettura: 17 minuti
Le pagine del recente libro di Lina Bertola, Per una vita autentica (Armando Dadò Editore, 2024), sembrano parlare agli Angeli, accompagnandoci nel cammino di una verità, che non sta solo nella presenza delle cose del mondo, ma abita la loro stessa essenza. Vi sono infatti parole che rimangono prigioniere della terra e della sua pesantezza, parole che misurano, pesano il mondo della vita senza mai guardare il cielo. Lina Bertola parla con tocco leggero all’anima. Le sue sono parole che nell’azzurro dei cieli divengono voci e poi scritture nell’eterno incanto. Parole in cui assaporiamo la presenza degli Angeli dalle ali bianchissime, cantori dell’infinito. Scritture che camminano incantate lungo giardini della Vita, che sono anche giardini della Cura.
Una Cura della nostra intimità, una Cura dell’Altro, dell’Altrui, dell’Altrove, dell’Altrimenti. Parole-sorgente di fronte a quell’A dell’Inizio pronte a spaesarsi. Parole a volte di dolore, altre di una possibile salvezza. Parole come invocazioni, evocazioni, preghiere rivolte all’infinito dei cieli. Il libro di Lina Bertola ci fa qui un prezioso dono, con cui incontrare nel sogno della vita proprio quegli Angeli, che ci hanno da sempre accompagnato, ma che abbiamo troppo velocemente dimenticato consegnandoci alla solitudine. Vi sono infatti, tra le righe del libro di Lina Bertola, parole che sanno volare nella brezza del vento, che sanno svelare in scintille d’intimità il mistero della vita vissuta, che sanno parlare al nostro cuore, aprendoci a quel sapere del cuore dove è deposta ancora vivente la perla della vita. Scintilla bellissima e armoniosa, quasi fosse musica dell’eternità degli azzurri profondissimi. Porsi al suo ascolto ci fa partecipare a quell’ordo amoris, evocato da Max Scheler, in cui le parole si bagnano in una sorta di misteriosa e mirabolante sacralità, che Lina Bertola percorre come fosse in un costante cammino dell’anima.
«Coltivare l’intimità con noi stessi e con il mondo», così sta sulla copertina del suo libro. Stare, so-stare, soggiornare, abitare per raggiungere nei territori e nelle locande dell’Oltre-Mondo, che parla lingue lontane e ospita tutti i battiti dei nostri cuori. Poniamoci all’ascolto delle parole-musica, del nostro cuore, che il libro svela e allo stesso tempo nasconde.
Quando all’imbrunire cerco di dare casa ai miei pensieri del giorno per disporli nella biblioteca della notte
e devo scegliere tra le pagine severe del Miserere e quelle dell’Inno alla Gioia (An die Freude) composte dal poeta tedesco Friedrich Schiller nel 1785 e messe in musica da Ludwig van Beethoven nella sua 9a Sinfonia nel 1824, non ho dubbi. Sceglierei quelle di Schiller, così come sceglierei le parole-musica che Lina Bertola chiama. Lo farei perché credo che per vivere abbiamo bisogno tutti di gioia e di fratellanza, lontani dalle ombre. «Gioia, bella scintilla divina,/ figlia degli Elisei,/ noi entriamo ebbri e frementi,/ celeste, nel tuo tempio. / La tua magia ricongiunge ciò che la moda ha rigidamente diviso,/ tutti gli uomini diventano fratelli,/ dove la tua ala soave freme» (Friedrich Schiller). Sto dalla parte della gioia, della sua aerea lievità, là dove ancora volteggiano gli Angeli dalle ali bianchissime, che ci espongono alla mirabilia. «Si può ritenere che la meraviglia della vita sia sempre a disposizione di ognuno in tutta la sua pienezza, anche se essa rimane nascosta, profonda, invisibile, decisamente lontana. Tuttavia, c’è, e non è né ostile né ribelle. Se la si chiama con la parola giusta, con il suo giusto nome, essa arriva. Questa è l’essenza dell’incantesimo, che non crea, bensì chiama». Così scrive Franz Kafka nei suoi Diari del 1921.
Essere chiamati, ascoltare i battiti del cuore, sentire il respiro a volte sottile, altre appassionato della nostra vo-cazione alla vita.
Questo il mistero che abita un’esistenza che sceglie di non essere qualcosa bensì qualcuno alla ricerca, sulla soglia di colui che cammina con te e ti fa vivere l’incantesimo di un improvviso e inatteso incontro.
Ascoltiamo i battiti del cuore, cerchiamo la voce degli Angeli nelle periferie dei cieli, a questo ci guidano le parole di Lina Bertola. Parole di preghiera, parole di Cura, Parole di gioia. La gioia che accompagna il sogno, forse l’utopia, di una vita più bella. Una vita in cui non siamo soli perché il divino non ha abbandonato i cieli e i fratelli sono ancora con noi. Parole di Cura che donano a noi tutti i frammenti di felicità.
In una vita più bella e giusta, in una società più gentile, anche il dolore della malattia, le ferite dell’anima, gli orrori del mondo potrebbero trovare un po’ di pace.
Così cantano le pagine del libro di Lina Bertola. La vita non è allora una valle di lacrime, ma una «valle del fare anima» come scrive John Keats (1815). “Valle” in cui camminare, leggerissimi e sognanti viaggiatori, esposti alla rugiada della bellezza del creato, in cui è possibile farsi ognuno con le sue piccole mani costruttori di felicità.
Ma come essere felici nel turbinio dei nostri dolori e delle nostre sofferenze? Ecco sorgere la forza delle pagine che stiamo leggendo. Una forza che apre al giardino etico del gesto di vita.
Quando sentiamo la terra sgretolarsi sotto i nostri piedi, quando non vi è più orizzonte e siamo in balia dei venti, quando le tempeste sferzano il nostro volto spaventato, allora abbiamo bisogno di casa, di intimità, di vicinanza, di un luogo ove sentirsi riconosciuti e protetti.
Ma esiste ancora un simile luogo? Contro la solitudine e il suo freddo anonimato, sogniamo le terre della calma, del saluto mattutino, del rapporto con la natura non artificiale o spettacolare, ma quotidiano, contro tutto ciò stanno le pagine che ci accompagnano. Sogniamo qualcosa che sia un vero luogo, non un non-luogo o un iper-luogo, un luogo (che può anche essere il quartiere o la strada di una grande città) in cui trovare, costruire, amare quella che potremmo chiamare la nostra casa dell’anima. Il libro di Lina Bertola è come una vera casa dell’anima posta alla periferia del cielo. Una vita senza quella casa è una vita condannata alla solitudine anche se vissuta nel mezzo della folla. Senza quella casa rimaniamo senza respiro in una vita in cui vi è un bisogno di sentirsi eccitati per sentirsi vivi, imprigionati in comportamenti di compra-vendita, che vediamo a volte tracimare, impazzire travolgendo crudelmente in atti senza senso la vita stessa.
Cerchiamo la voce degli Angeli contro l’abbandono, lo smarrimento, l’orizzonte fattosi oscurità. Cerchiamo parole luminose contro la disperazione delle parole iniziali della prima delle Elegie duinesi di Reiner Maria Rilke quando nel 1922 scriveva, «Ma chi, se gridassi, mi udrebbe, dalle schiere/ degli Angeli? e se anche un Angelo a un tratto/mi stringesse al suo cuore: la sua essenza più forte/ mi farebbe morire».
La nostra miseria si cela a volte proprio sotto la nostra ricchezza e il nostro generale benessere.
Basterebbe, tra molti altri indizi, pensare al dato preoccupante dei giovani che tentano di porre fine alla loro vita in un Paese, come il nostro, così organizzato e apparentemente tranquillo, per obbligarci a porre domande radicali e urgenti. «Dio non ascolta quelli come noi» così si trova scritto sui muri della città. Ma chi sono “quelli come noi”, chi sono questi invisibili? Forse coloro che non riescono a partecipare al benessere e alla felicità prêt à porter, gli sconfitti, le vite di scarto di cui parla il sociologo Bauman, che popolano come ombre doloranti i nostri spazi digitali? Ma saremmo ingenui ad iscrivere al solo nostro disorientato tempo invocazioni struggenti e disperanti come quella scritta sul muro. Vi è qualcosa che raggiunge la stessa condizione umana, oscillante da sempre tra l’inesauribile bisogno dell’Altro e l’angoscia della solitudine. Una solitudine che rimemora il grido contenuto nel dialogo di un suicida con il suo ba’, scritto nell’Egitto del 2190 c.C., in cui si leggono parole disperanti: «a chi parlerò oggi?» quando tutto sembra arido e gli uomini malvagi. Non vi è forse nella ripetizione di quel a chi parlerò oggi la stessa espressione di umanissimo smarrimento che leggiamo sui muri delle nostre strade?
Una via sdrucciolevole, che spinge molto spesso i più fragili nell’abbandono e nella solitudine, perché ogni uomo fondamentalmente non può bastare a se stesso. È nel riconoscerci reciprocamente dipendenti dagli altri fratelli che troviamo, ognuno a suo modo, anche un nostro Dio capace di ascoltarci. Come provare allora a rispondere alle parole scritte sui muri, se non evocando quelle del poeta e mistico tedesco Angelus Silesius nel suo Il pellegrino cherubinico del 1675: «Cammina dove non puoi. Guarda dove non vedi. Ascolta dove nulla risuona: sarai dove Dio parla». Ecco ritrovata la parola generativa di un tempo più felice, più aperto al sapere del cuore, capace di svelare la grammatica dell’Impossibile-Possibile di cui la vita è appassionata lettrice e di cui le parole di Lina Bertola sussurrano il mistero: là alle periferie del cielo.
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