Open Innovation e proprietà intellettuale

Patti chiari, collaborazioni proficue 

1. Introduzione 

A distanza di un anno dalla stesura dell’articoletto Patent first, publish later (Sentieri, 4 aprile 2024), i due autori questa volta si sono chinati sul tema dell’Open Innovation, tematica che offre spunti interessanti dal profilo legale e della proprietà intellettuale (PI), in un ambito in continua e sferzante evoluzione. 

Oltre a proporre uno sguardo furtivo e al trotto di come l’Open Innovation trovi applicazione in ambito biomedico, illustrando le iniziative europee (Eurostars) e quelle svizzere (Innosuisse), viene posto l’accento sulle principali questioni relative alla proprietà intellettuale e si evidenzia l’importanza di stilare accordi preliminari per prevenire conflitti, favorendo una cooperazione equilibrata tra settore accademico e i cosiddetti partner attuatori. 

 

2. Open Innovation 

L’Open Innovation, traducibile con “Innovazione Collaborativa”, è un modello strategico e culturale che promuove l’uso di idee, risorse e competenze sia interne che esterne ad un’organizzazione, per sviluppare innovazioni.

Introdotto dall’economista Henry Chesbrough nel 2003, il suo saggio The era of open innovation (2003) è un testo imperdibile per chi volesse approfondire il tema. Si contrappone al paradigma tradizionale di innovazione chiusa “Closed Innovation”, dove l’innovazione si sviluppa esclusivamente all’interno dell’azienda, con un controllo totale sui processi di ricerca, sviluppo e commercializzazione; incentivando al contrario la collaborazione tra imprese, atenei e altri attori del settore di riferimento. Questo approccio si basa su di un cambio di rotta basato sulla condivisione delle conoscenze e sulla collaborazione con attori esterni su due flussi principali: l’assorbimento di conoscenze esterne per arricchire le proprie capacità innovative e la condivisione di tecnologie e di proprietà intellettuale, come know-how e brevetti, per creare valore aggiunto. Collaborazione e condivisione come valore aggiunto, che rende più agevole il portare a compimento le cose, e come modo per sopperire ad eventuali carenze individuali. Ma pure come necessità, per poter ambire – insieme – al raggiungimento di obiettivi più ambiziosi (Richard Sennet, Insieme, Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli 2012, pag. 10). 

L’Open Innovation consente di accelerare lo sviluppo, ridurre i costi e migliorare la competitività in un contesto sempre più interconnesso. E far acquietare coloro che amano raccontare e dire: “Non è possibile”, dimenticando che «impossibile è la definizione di un avvenimento fino al momento prima che succeda» (Erri De Luca, Impossibile, Feltrinelli 2019). Trattasi di un approccio che, nell’attuale panorama – che spazia dall’altalenare delle economie all’incertezza geopolitica, dalla transizione ecologica alla questione demografica (che a sua volta alimenta la carenza di talenti) – può fungere da risorsa preziosa per le aziende attive nel settore. A questo si aggiungono la rapida evoluzione delle tecnologie digitali (Intelligenza Artificiale, Big Data, Internet of Things), l’innalzamento dei costi della ricerca (con la conseguente riduzione dei margini di profitto) e la vita media sempre più corta dei cicli di vita dei prodotti. 

Non deve dunque meravigliare che l’Open Innovation, si presti come volano virtuoso e vantaggioso, basato sulla collaborazione e sulla condivisione di competenze e risorse tra università, istituti di ricerca e aziende (partner attuatori) anche nel campo delle scienze mediche. A maggior ragione sapendo che l’innovazione applicata al campo medico ha la vitalità di incidere direttamente sulla qualità di vita delle persone e avendo notizia che per sviluppare terapie e dispositivi efficaci, i costi e la complessità della ricerca rimangono ragguardevoli. Da cui l’esigenza di far interagire processi che coinvolgono una pluralità di attori – ricercatori universitari e clinici ospedalieri, industria (farmaceutica, ma non solo) e ditte che commercializzano dispositivi medici – e favorire l’opportunità di condividere dati, tecnologie e know-how per sollecitare lo sviluppo di soluzioni efficaci, di pronto utilizzo. 

Collaborazione: in greco, Itaca – Foto: Marco Aschwanden
Collaborazione: in greco, Itaca – Foto: Marco Aschwanden

 

3. Due esempi “istituzionali” di Open Innovation 

3.1 Eurostars: la soluzione europea 

Per chi non è del ramo, si dica che EUREKA/Eurostars è un programma europeo che finanzia progetti di ricerca e sviluppo guidati da piccole-medio imprese (PMI) innovative, in partnership con centri di ricerca o università di più paesi. Obiettivo del programma Eurostar è di favorire la competitività delle PMI e incentivare la condivisione di conoscenze a livello transnazionale attraverso cofinanziamenti, servizi di supporto e una procedura di valutazione che mira a un rapido avvio dei progetti. 

Per quanto concerne la proprietà intellettuale le regole ed i principi generali sono definiti dalla Commissione Europea e implementate in un modello di accordo standard (cosiddetto modello DESCA), che disciplina sia la Background IP (proprietà intellettuale e saperi preesistenti) sia la Foreground IP (proprietà intellettuale e risultati generati dal progetto). È possibile scegliere solo tra alcune opzioni, ma non è ammesso modificare lo spirito dell’accordo. Ogni parte rimane titolare della PI da essa sviluppata, la PI sviluppata da più parti insieme e a titolarità congiunta ed i partner(s) implementatori (aziende) ricevono degli Access Rights, diritti di sfruttamento che possono essere concessi a condizioni eque e ragionevoli. La possibilità di ottenere licenze esclusive, anche su possibili brevetti risultanti dal progetto, possono essere concesse solo se tutti i partner del consorzio sono d’accordo. 

In campo medico, Eurostars consente di aggregare competenze multidisciplinari (cliniche, ingegneristiche, farmaceutiche), riducendo costi e tempi di sviluppo, e garantendo, nel contempo, un minimo di garanzie sulla gestione della PI e sulla diffusione dei risultati.

Tutto sommato, una soluzione interessante, leggermente diversa da quella targata Helvetia, come si dirà appresso. 

 

3.2 Innosuisse: la soluzione elvetica 

In Svizzera, il pendant di Eurostars è costituito dall’agenzia per l’innovazione svizzera Innosuisse (www.innosuisse.ch), che sostiene, in maniera preponderante, progetti di innovazione basati sulla collaborazione tra un ente accademico (università, SUP, centro di ricerca) e un partner attuatore (azienda). Il modello è quello del co-finanziamento: le spese sono ripartite tra Confederazione e partner attuatore (azienda), stimolando un effetto leva sul capitale privato. 

Le regole relative alla distribuzione della proprietà intellettuale avvengono attraverso un apposito contratto (“Innosuisse Supplementary Agreement”), dove le parti fissano le regole di titolarità dei risultati, delle licenze e della possibilità di brevettare le scoperte fatte. Rispetto ai progetti Eurostars, Innosuisse non fornisce un modello di accordo standard. Spetta alle parti negoziare, di volta in volta, le condizioni contrattuali nel rispetto del quadro normativo di riferimento. Un approccio diverso, per così dire più liberale, ma che richiede adeguate competenze e conoscenze del contesto normativo e buone capacità negoziali. 

Open sea, Vulcano – Foto: Marco Aschwanden
Open sea, Vulcano – Foto: Marco Aschwanden

Dal nostro osservatorio privilegiato, caldeggiamo a coloro che intendono sfruttare la Open Innovation di porsi, ab initio, i giusti quesiti ed adottare le adeguate cautele. Perché si sa che non c’è cosa peggiore che le aspettative disattese, foriere di incomprensioni e di diatribe legali, pan per giuristi se non sufficientemente chiariti. 

 

4. Open Innovation e Proprietà Intellettuale: l’importanza di un term sheet

Nel contesto dell’Open Innovation, la proprietà intellettuale svolge un ruolo centrale, poiché determina chi può brevettare, utilizzare e sfruttare economicamente le scoperte.

In particolare, tra università e aziende non di rado si verifica un’asimmetria di interessi: mentre il mondo accademico mira alla pubblicazione e alla divulgazione dei risultati, il settore industriale ricerca un vantaggio competitivo e un ritorno sull’investimento. Da cui il suggerimento di definire il prima possibile un term sheet, in buona sostanza un accordo preliminare, che permette di allineare le aspettative e di chiarire sin dall’inizio, prima che il progetto venga sottomesso e possibilmente approvato, aumentando la pressione sulle parti, alcune essentialia: 

(i) Background IP: quali conoscenze o brevetti preesistenti vengono messi a disposizione da ciascuna parte per lo svolgimento del progetto ed eventualmente dopo.
(ii) Foreground IP: definizione della titolarità dei risultati futuri e delle relative licenze e, non da ultimo, le …
(iii) Pubblicazioni e Confidenzialità: in che modo e con quali tempistiche l’ente accademico può divulgare i risultati, tutelando al contempo la possibilità di depositare domande di brevetto, e quali informazioni devono restare confidenziali. 

Una volta negoziati tali punti, il progetto può essere sottomesso con maggior serenità, evitando che eventuali divergenze sulla PI e tempistiche di divulgazione detonino in conflitti al momento di negoziare e definire l’accordo vero e proprio (IP Supplementary Agreement), richiesto dall’ente finanziatore (Innosuisse per citarne uno). 

 

5. Il quadro normativo svizzero

In Svizzera, la Legge federale sulla promozione delle ricerca e dell’innovazione (LPRI, RS 420.1) e la relativa Ordinanza (O-LPRI, RS 420.11) disciplinano la promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione fondata sulla scienza, il sostegno dello sfruttamento e la valorizzazione dei risultati della ricerca, la collaborazione tra gli organi di ricerca, l’impiego adeguato ed efficace dei mezzi finanziari della Confederazione destinati alla ricerca scientifica e all’innovazione fondata sulla scienza. Vi sono dunque pure descritti i meccanismi di finanziamento pubblico e la cooperazione tra partner industriali e istituti di ricerca. Affinché l’innovazione non rimanga fine a sé stessa, ma sia orientata all’applicazione e alla valorizzazione dei suoi risultati (art. 2 lett. b LPRI). 

La O-LPRI stabilisce che, per progetti sostenuti con fondi pubblici, i diritti di protezione sui risultati vanno attribuiti in modo chiaro, tenendo conto degli interessi pubblici e di quelli dell’azienda. All’atto pratico, ciò significa definire anticipatamente chi è titolato a depositare brevetti sui risultati, specificare il campo d’uso in cui l’azienda potrà esercitare i diritti (field of use) come pure a garantire che alla parte pubblica sia data la possibilità di svolgere attività di ricerca e pubblicazione, nel rispetto di eventuali obblighi di segretezza temporanea. Per evitare che si realizzi l’adagio secondo cui «gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sono i nemici ad esserlo» (Arthur Schopenhauer, L’arte di insultare, pag. 28). Patti chiari, amicizie lunghe e collaborazioni proficue insomma. 

Un capitolo non trascurabile della Legge e dell’Ordinanza è dedicato alla regolamentazione relativa alla proprietà intellettuale e ai diritti di utilizzazione nei progetti di innovazione, in particolare all’art. 41 O-LPRI, secondo cui: 

  • Il partner attuatore acquisisce il diritto a una licenza non esclusiva gratuita sui risultati del progetto. In questo modo, l’azienda può sfruttare liberamente i risultati per la finalità industriale concordata, senza ulteriori costi (royalty free). 
  • l’azienda può negoziare con i partner l’esclusività sui risultati (anziché la sola licenza non esclusiva) se ciò è funzionale al raggiungimento degli obiettivi del progetto e all’effettiva implementazione industriale. 

Va precisato che, contrariamente a quanto si possa pensare, tale esclusività non è automatica, nella misura in cui (i) deve essere espressamente concordata tra le parti, (ii) richiede un adeguato compenso nei confronti dell’ente di ricerca o della Confederazione, poiché si tratta di una limitazione significativa dell’accesso al risultato e (iii) va comunque inquadrata nel rispetto dell’interesse pubblico, affinché non ostacoli la divulgazione scientifica essenziale e il trasferimento di conoscenze in altri ambiti (field of use). Si tratta di pochi, ma fondamentali concetti, che è buona cosa che tutti i partner coinvolti conoscano, per schivare sul nascere che sfavillino le più convulse teorie. 

 

6. Open Innovation e Medical Humanities: etica della cura e responsabilità

Basta gettare uno sguardo alle Leggi sanitarie federali (Legge federale sulla ricerca sull’essere umano, LRUm, RS 810.30, tanto per citarne una) e alla Legge sanitaria cantonale per capire quanto la ricerca e l’innovazione, specie in ambito clinico, non possano fare astrazione della dignità umana e di quella dei pazienti. 

Le Medical Humanities invitano a considerare la ricerca non come mera attività commerciale, ma come un servizio alla collettività, dove l’innovazione è tesa a favorire coloro che ne hanno bisogno (e non hanno necessariamente i mezzi per poterne beneficiare), evitando che brevetti o licenze restrittive risultino troppo ostative all’uso diffuso, ad esempio di terapie salvavita.

Inoltre, le collaborazioni non dovrebbero sfavorire né la parte accademica – in termini di libertà di ricerca e pubblicazione – né l’azienda, in termini di diritti di sfruttamento. Considerando e ribadendo la necessità di non trascurare la ricerca di patologie rare o neglette. 

 

7. Cinque conditio sine qua non di una collaborazione efficace

Come esposto, la ricerca e l’innovazione biomedica sono confrontate con sfide sempre più complesse, che richiedono sforzi congiunti e un approccio collettivo e aperto. Al netto dei nobili intenti di cooperazione, trattasi di un bisogno reale, senza il quale molti progetti non vedrebbero la luce. L’Open Innovation, promossa da programmi come Eurostars e Innosuisse, costituisce pertanto una buona risposta a tali esigenze, ad alcune condizioni che ci permettiamo di riassumere nei cinque punti seguenti: 

a) Definizione chiara di obiettivi e aspettative dei vari attori coinvolti. Ad esempio attraverso la redazione di un term sheet preliminare, alfine di contenere il rischio di fraintendimenti, forieri di immancabili conflitti e brutture relazionali. 

b) Adozione di un contesto normativo solido, che sia pure praticabile, per evitare che la loro interpretazione rimanga (solo) pan per azzeccagarbugli. In Svizzera, l’art. 41 O-LPRI chiarisce piuttosto bene la gestione della proprietà intellettuale per questo tipo di progetti, garantendo una licenza non esclusiva gratuita per l’azienda e definendo le condizioni per l’eventuale esclusività e la necessità di compensazione. Unico neo: l’ignoranza della legge non protegge chi non la conosce e tende a favorire i furbi e gli scaltri. 

c) Rispetto dell’equilibrio tra protezione industriale e divulgazione. La PI va tutelata, ma non a scapito dell’interesse pubblico e della libera ricerca scientifica. 

d) Trasparenza e dialogo costanti. Le collaborazioni aperte richiedono una comunicazione assidua, in grado di anticipare possibili divergenze e di gestire evoluzioni in corso d’opera. Da cui la necessità di dotarsi di figure con capacità comunicative, oltre che tecniche. 

e) Adozione di una visione etico-umanistica. Le Medical Humanities ci ricordano che la ricerca medica e l’innovazione non possono prescindere da valori come equità, dignità e responsabilità verso l’utenza finale. 

Insomma: patti chiari e conoscenza del contesto normativo, accordi equilibrati tra i vari attori protagonisti, collaborazioni proficue e una sana sensibilità etica. Sono questi gli ingredienti minimi per una innovation veramente aperta (open), trasparente, garante dell’integrità scientifica e sostenibile anche dal profilo etico.

Non foss’altro per ricordare che «la medicina è un’arte scientifica imbevuta nell’etica» (Vittorio Lingiardi, Corpo, umane, Einaudi 2024, pag. 245). E per allontanare l’idea che la promozione della ricerca si riduca al raggiungimento di meri scopi commerciali, come ben rammenta l’art. 9 cpv. 2 LPRI, e per ribadire che i risultati derivanti dalla stessa siano resi «accessibili alla comunità scientifica» (art. 9 cpv. 5 lett. c LPRI).  

Open (water) innovation, Lefkada - Foto: Marco Aschwanden
Open (water) innovation, Lefkada – Foto: Marco Aschwanden

 

O per riassumerla in termini marinareschi e per quanto il paragone possa apparire avventato,

lo svolgimento di un progetto di Open Innovation non è molto dissimile dal fare una lunga gita in barca con gli amici per trascorrere del tempo insieme, con delle finalità (si spera) comuni.

Si tratta di scegliere in maniera possibilmente accurata il gruppo di affiatati partecipanti (i partners del progetto), scegliere il tipo di barca e il percorso (il progetto di ricerca) e definire, laddove possibile, i rispettivi ruoli e le modalità di cooperazione (il contratto di collaborazione), che dipendono dalle condizioni di contorno e dagli imprevisti di percorso. E non da ultimo, definire con precisione gli ambiti di utilizzo (field of use) della proprietà intellettuale, chiarendo le competenze e il contributo di know-how di ciascuna parte coinvolta. Questo permette di stimare con buona approssimazione il rischio dell’impresa garantendo una gestione consapevole del progetto. Il tutto, possibilmente prima di salpare e lasciare le acque chete del porto, ben sapendo che le navi sono più sicure nel porto, ma non è per questo che sono state costruite (aforisma attribuito a John A. Shedd). Insieme, per nuovi e possibilmente prosperi orizzonti, preferibilmente sulla base di un accordo di massima concertato, condividendo il più, dissentendo sul meno. 

Del resto si narra che «chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita; si torna diversi», solitamente arricchiti (Carlo e Renzo Piano, Atlantide, Viaggio alla ricerca della bellezza, Feltrinelli 2019, pag. 229). Se non in termini pecuniari, perlomeno in esperienza. 

Bibliografia

Chesbrough, H. (2003). Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology. Harvard Business Press. 

DESCA (2020). Model Consortium Agreement. Commissione Europea. 

Legge e Ordinanza sulla legge federale sulla promozione della ricerca e dell’innovazione (LRPRI e O-LPRI) 

Sito ufficiale Innosuisse: www.innosuisse.ch 

Sito ufficiale Eurostars: www.eurostars-eureka.eu 

Carlo e Renzo PIANO, Atlantide, Viaggio alla ricerca della bellezza, Feltrinelli 2019 

Richard SENNET, Insieme, Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli 2012 

Erri DE LUCA, Impossibile, Feltrinelli 2019 

Vittorio LINGIARDI, Corpo, umane, Einaudi 2024 

Arthur SCHOPENHAUER, L’arte di insultare 

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