Post Scriptum (2025) – Parte 1

Memoria e attualità 

Questo articolo sarà pubblicato in più parti nei prossimi mesi, per mantenere viva la memoria. 

Il Giorno della Memoria dell’Olocausto merita quest’anno una riflessione impegnativa e dolorosa,

ma il sussidio ed il conforto della Psicoanalisi mi inducono ad intraprendere con coraggio questa incerta e debole via nell’intento di potere anche poco contribuire ad alimentare una speranza o almeno una possibile traccia verso quella pacificazione cui molti uomini di buona volontà, dappertutto, aspirano incessantemente, invocandola per se stessi e per quella moltitudine immensa di innocenti che soffrono a causa della oscura distruttività umana [1]. 

Il governo attuale israeliano (non il popolo israeliano e tantomeno il popolo ebreo nel suo complesso) ha risposto ad un proditorio e micidiale attacco di un gruppo armato palestinese islamista lanciato contro cittadini israeliani pacifici, e che ha provocato centinaia di vittime e portato al sequestro tuttora in atto di centinaia di innocenti ostaggi, esposti a indicibili sofferenze ed alcuni ad una morte terribile. La risposta militare dell’attuale governo israeliano a questa catastrofe umanitaria e di civiltà ha prodotto una ancora più grande, in termini di numero di vittime e di sofferenza, catastrofe umanitaria che rischia di cancellare dalla faccia della terra il popolo e la nazione palestinese già provata da decenni di incredibili privazioni. 

La motivazione del governo israeliano alla propria azione militare è legata all’obiettivo esplicito della difesa, se non addirittura della sopravvivenza dello Stato di Israele, la cui distruzione – va ricordato – è l’obiettivo dichiarato di autentiche potenze mediorientali, coinvolte più o meno apertamente nel conflitto israelo-palestinese. In molte parti del mondo vi sono state manifestazioni di protesta teoricamente nei confronti del governo israeliano e a sostegno del popolo palestinese, che tuttavia hanno sovente assunto un carattere ideologico fino a rappresentare autentiche manifestazioni antisemite, e alimentando episodi di intolleranza antiebraiche che hanno implicato degne persone che hanno conosciuto l’orrore del lager nazifascista, miracolosamente scampandone. 

Il governo israeliano è stato accusato di eccesso di difesa, fino alla pesantissima imputazione di genocidio (nei confronti del popolo palestinese), proprio quella orribile vicenda di cui ci siamo apprestati a celebrare la memoria a perenne monito per l’umanità, affinché essa non percorra di nuovo questa strada, cosa che purtroppo è già di nuovo successa in troppe occasioni in varie parti del mondo. 

Ho cercato fin qui di riassumere le dolorosissime vicende di questi tempi per potere porre la domanda fondamentale per uno psicanalista: come queste vicende ci possono aiutare a capire e contenere la distruttività umana, sulla scia del carteggio Freud/Einstein dal titolo Warum Krieg? [2], e – come vedremo ancor più – delle opere “sociologiche” di Freud: Il Disagio della Civiltà, l’Avvenire di una Illusione, Psicologia delle Masse e Analisi dell’Io, e Mosè e la Religione Monoteistica. 

Utilizzerò naturalmente anche altri contributi di autori successivi a Freud, la cui importanza sarà evidentissima e mai abbastanza sottolineata, nel pieno rispetto della capacità profetica di Freud. Va subito detto chiaramente però che anche in questa circostanza storico-politica il popolo ebraico, erede dei martiri e dei sopravvissuti della Shoah, è di nuovo vittima sacrificale questa volta anche dello stesso governo israeliano, delle sue scelte, di cui cercherò di illustrare le ragioni profonde. 

Popolo ebraico e popolazione palestinese sono insieme vittime della distruttività,

nelle forme del governo israeliano e della cieca violenza distruttiva di coloro che vorrebbero essere difensori e vendicatori del popolo palestinese stesso. Storia e leggenda orribilmente e amaramente si ripetono, come tenterò di mostrare. 

Bibliografia

[1] Storr, A., (1978), La distruttività nell’uomo, Astrolabio. 

[2] Freud, S. ed Einstein, A., (1997), Perché la guerra?, Boringhieri. 

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