Post Scriptum (2025) – Parte 3

Arrocco schizoparanoide o possibilità di fare il lutto 

La seconda parte di questo articolo è consultabile qui. 

Voglio ripetermi a proposito di Noè, figura chiave nella evoluzione del Super-Io: in Giordania mi sono imbattuto nella antichissima rappresentazione di un albero di mele capace di produrre anche grappoli di uva.

Ho evidentemente pensato che l’albero del contenzioso tra l’uomo e il Dio della Genesi non sia stato tanto quello della conoscenza, cioè il melo, quanto della conoscenza della natura di Dio, e questo potrebbe essere la vite.

Noè è confrontato con l’esperienza del diluvio mandato da Dio, che ha distrutto l’umanità intera, e Noè, come dicevo, non sopporta questa terribile visione di Dio e cerca conforto nel vino [1]. La natura ultima e fondamentale di questa versione di Dio mi sembra dunque giocarsi intorno alle caratteristiche ed alle conseguenze della sua onnipotenza, che ne fa una entità enigmatica ed imprevedibile in cui possiamo proiettare attraverso l’identificazione proiettiva la nostra delirante onnipotenza megalomanica e/o distruttiva, o in alternativa coglierne delle caratteristiche misteriose, diverse e benevole, di cui mi occuperò ampiamente più tardi, adombrate però già nella storia immediatamente successiva al diluvio nel pentimento di Dio.  

Insomma, la Bibbia potrebbe essere una lunga e formidabile riflessione dell’uomo relativa al concetto di Dio, una riflessione dotata di una potente ricchezza evolutiva, una riflessione fondamentalmente ancorata alla ricerca di senso e di ordine, cioè di armonia etica comprensiva di Dio stesso, come appare evidente per esempio nel libro di Giobbe, magistralmente indagato da Jung [2].

Che c’entra Dio con la sofferenza degli uomini ed il loro perenne dolore? Di questa ricerca sto cercando di fornire una personale interpretazione, alla luce del contributo della psicoanalisi.

Freud stesso rifletté a lungo sul carattere di Mosè, cogliendone magistralmente la natura evolutiva: accanto al condottiero comparve per scalzarlo il legislatore, il fondatore della stessa civilizzazione attraverso quella che giustamente si chiama legge mosaica. Non è più la violenza che sostiene il diritto, ma la sublimazione madre della giustizia che trova nella legge morale la sua declinazione. Sfortunatamente nel mondo ebraico la legge assumerà la sua fisionomia in centinaia di ossessivi precetti, che finiranno per oscurarne il cuore. Ma il nocciolo della legge mosaica ha trovato riscontro in tutte le culture degne di questo nome: ama e rispetta la verità, ama e rispetta il tuo prossimo, ama e rispetta l’autore misterioso dell’Universo e di tutte le sue creature. Questo Mosè lascia intravedere un compimento della sua opera nella spiritualità. Questo Mosè sarà ucciso dal suo stesso popolo incapace di sopportare il fardello di un compito civilizzatore che è possibile realizzare solo attraverso la spiritualità, cioè la prevalenza dello spirito, qualunque cosa esso sia, e la rinuncia istintuale in particolare ed il prevalere dell’intelletto, ed io aggiungerei della consapevolezza, nella forma di una sublimazione/neutralizzazione di libido e aggressività.  

È evidente che questa capacità di sviluppare un rapporto diacronico e critico con il concetto di Dio così inteso, che possa cioè essere un Dio della misericordia e della compassione, un Dio materno e paterno della Pietà, è sostanzialmente rimasto sospeso, incompiuto nel popolo ebraico in prima istanza, ma nell’Umanità intera destinataria del misterioso messaggio del Regno di Dio. Questo evento chiede ed attende una sua realizzazione nella Umanità nel suo complesso? Davvero sarebbe un evento catastrofico, come dice Bion, se dovesse fallire. Lo tocchiamo con mano ora che siamo tutti sospesi e trepidanti nell’attesa di una tregua a Gaza, e della fine della guerra in Ucraina. Moltissime persone appartenenti al popolo ebraico ed autentiche eredi del loro Dio spirituale, che è il Dio di tutti gli uomini di buona volontà, e Gentili eredi di una tradizione spirituale complementare, in realtà sono già consapevoli della necessità della Pietà, che praticano con consapevolezza nella propria vita quotidiana privata e pubblica, ma non basta.  

Il popolo ebraico non ha veramente rinunciato all’idea di una propria elezione, che potrebbe essere giustificata storicamente nel senso di una primogenitura spirituale, fin dai tempi di Mosè. Il popolo ebraico invece non ha saputo forse depurare coraggiosamente il concetto di Dio della sua acritica ed irragionevole onnipotenza destinata a sostenere cieche proiezioni schizoparanoidi, buone a giustificare azioni inaccettabili e a denegare colpe autentiche. Questo limite ha destinato gli Ebrei ad un isolazionismo talvolta pernicioso, ed il concetto stesso di Dio in avventure intellettuali, ed allora e ora storico-politiche francamente inaccettabili. Questa deriva poi la ritroviamo in altre religioni che hanno fatto del Gott mit Uns in varie declinazioni il loro minaccioso credo. Forse sono queste le aporie che hanno portato alla morte di Dio del nostro tempo. 

Nella Bibbia si legge delle molte infedeltà del popolo rispetto al suo Dio, ma la vera infedeltà mi sembra essere consistita in un sostanziale rifiuto dell’universalità del messaggio di Dio rivolto a tutta l’Umanità, in un ripiegamento narcisistico su di sé,

in una concretizzazione della legge avvilita in mille precetti cui prestare un magico significato senza coglierne appieno l’aspetto evolutivo di universale perfezionamento spirituale, nel diniego della colpa di uccidere i propri profeti per sottrarsi ad un compito profetico. In questo simili a Giona [3]. Queste riflessioni potrebbero aiutarci a capire il comportamento del governo israeliano che sembra scegliere il Dio degli eserciti, sostenuto dall’ultradestra, che agisce secondo criteri schizoparanoidi, incapace di avvicinare la posizione depressiva invocata stupendamente e tenerissimamente da Melanie Klein [4], la capacità cioè di fare il lutto della propria delirante onnipotenza, mutuata da un preteso Dio degli eserciti schierato al proprio servizio. Tramontando l’aspirazione alla onnipotenza si apre la porta alla condivisione ed alla umana solidarietà. Certo può apparire bizzarra l’idea di un Dio impotente. Lo vedremo. 

Il Male, dunque, è rappresentato da tutti i propri nemici reali o immaginari, e va distrutto con ogni mezzo in una ossessione simile a quella di Don Quichotte e a quella di Achab, quello naturalmente di Hermann Melville, in un evidente fantasma narcisistico di invulnerabilità e di ingiudicabilità. Don Quichotte vede il male, il nemico in tutti e in tutto, salvo non rendersi conto del proprio male, la propria paranoia, la propria visione del mondo popolato di giganti malevoli da abbattere ad ogni costo, salvo scoprire che si tratta di mulini a vento, creature realizzate proiettivamente a partire dai propri fantasmi persecutori. Il capitano Achab è ossessionato dal pesce che lo ha mutilato di una gamba, fuor di metafora non tollera i propri limiti e le proprie sconfitte che non può accettare. La vendetta e la distruzione del suo nemico, in verità espresso dal limite, è la sua sola ragione di vita, che lo porterà, come accennavo, ad inseguire fino all’estremo confine del mondo il suo odio paranoide per realizzare il suo vero obiettivo, la sua autodistruzione, il solo limite autogestito che Achab può riconoscere. Il rischio dello stato di Israele è ora quello di credere che la distruzione fisica di tutti (?) i suoi nemici lo porterà a salvezza in un mondo depurato di ogni male persecutorio, salvo non accorgersi delle proprie colpe omicide e del proprio peccato delirante di narcisistica onnipotenza che le innesca, le sostiene e le denega insieme. 

Arrocco schizoparanoide e incapacità di fare il lutto. Incapacità di fare il lutto della propria storia idealizzata, in cui figure come quella di Abramo non sono state mai elaborate, pur essendo caratterizzata da una sostanziale natura settaria e figlicida, se consideriamo non tanto o solo Isacco destinato al sacrificio richiesto da un Dio esoso e geloso, che solo in extremis ferma la mano del padre, ma ancor di più il vero primogenito Ismaele abbandonato nel deserto con la madre Agar, usata per procurarsi una discendenza, su istigazione della moglie Sara. Tale impulso figlicida sembra essere poi proiettato sulla figura di Dio, sempre pronto ad atteggiamenti pesantemente punitivi, ma che potrebbe lasciare intravedere in filigrana una sua ben diversa natura, mai tuttavia portata a maturazione. È il dilemma di Kierkegaard in Timore e Tremore [5] dove, seppure a fatica, si intravede un Dio amorevole ed amabile. 

Evidentemente mi sto occupando dell’evoluzione del concetto di Dio/Super-Io, quale si è venuto configurando nella cultura occidentale, ed in particolare della idea monoteistica di Dio, di cui il popolo ebraico è stato il nobile portatore.

Come sappiamo, l’idea ebraica monoteistica sarebbe stata una acquisizione derivata dal monoteismo egizio del faraone Akenaton. Questi avrebbe cancellato il politeismo del suo tempo rimpiazzandolo con un monoteismo spiritualista, ovviamente inviso alla classe sacerdotale che prosperava sui rituali politeistici della classica tradizione egizia. Akenaton potrebbe addirittura essere stato eliminato fisicamente dai suoi rivali, che avrebbero reinstaurato il precedente politeismo, sottoponendo Akenaton ed il suo ricordo ad una micidiale Damnatio memoriae che ne avrebbe cancellato ogni traccia, materiale e spirituale, come è tuttora possibile constatare in un toccante viaggio in Egitto. Sono queste le ipotesi di Freud in Mosè e la religione monoteistica [6], certamente discutibili sul piano rigoroso di una scienza storica, ma assolutamente plausibili nella sostanza e di grande utilità sul piano dinamico. 

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