Scendere ogni mattina

Un racconto a puntate

“Scendere ogni mattina” è l’ultimo episodio di un racconto a puntate che esplora le tensioni e le possibilità di incontro tra economia e cura. 

Il primo episodio, “La firma e il silenzio”, si trova qui.
Il secondo episodio, “Il latte e la polvere”, si trova qui.
Il terzo episodio, “Palliative care fore business”, si trova qui.
Il quarto episodio, “Il senso dimenticato di una zappa”, si trova qui.
Il quinto episodio, “La visione e la tequila”, si trova qui.
Il sesto episodio, “La fune e la porta”, si trova qui.
Il settimo episodio, “La cenere e il carbone”, si trova qui.

Con uno stile semplice ma denso di simboli, il racconto mette in scena le relazioni che si costruiscono (e si spezzano) attorno alla fiducia, al denaro, al linguaggio degli esperti, alla fragilità di chi si affida. Nel corso delle varie uscite – puntuali, ogni sabato mattina – seguiremo i personaggi e i loro gesti quotidiani per interrogarci su cosa significhi, oggi, prendersi cura in contesti apparentemente lontani dalla medicina.

Era andato a prenderlo. Aveva chiamato lui, chissà poi perché. Erano rimasti in contatto, dopo il crac di Parmalat, la crisi del 2008, la morte del padre del broker, i tentativi di quest’ultimo a trovarci un senso, in tutte quelle cadute, nei suoi fallimenti, nel suo ritrovarsi in mezzo a qualcosa di più grande di lui, di tutti noi. Si sentivano ogni tanto. Ciao come va? Tutto bene e tu? Vado ad un evento sulla crisi; mi racconterai. Mi dispiace per quella firma; anche a me; e di aver lasciato solo mio papà con tutto quel casino, in parte nato anche per colpa mia; non pensarci, cercavi di fare del bene, come un medico che prova a guarire ma non ci riesce. Si parlavano così, come un nonno con il nipote, fuori dal tempo.

E aveva chiamato lui, alla fine, per recuperarlo da quell’ospedale dimenticato chissà dove e riaccompagnarlo a casa, a morire. Lo aveva sfiorato quando era entrato nella stanza cenere e carbone. Gli aveva tolto la coperta e lo aveva aiutato a tirarsi su; non era ancora tempo per essere morti. Sorreggendolo, lo aveva portato fuori e poi in macchina. Faticava a respirare, l’acqua nei polmoni era diminuita ma era ancora presente, lo sarebbe stata per sempre. Stai comodo così? Un accenno con la testa. Aspetta che abbasso un po’ il sedile, così forse è più facile inspirare. Ecco, ti allaccio la cintura. Andiamo.

Non parlarono durante il viaggio, restarono in silenzio, l’uno in presenza dell’altro, in compagnia ognuno dei suoi pensieri e dei suoi dolori. Auto parcheggiata, cintura slacciata e ancora un sorreggere per arrivare a destinazione finale. Ecco, ci siamo quasi. Il polmone sibilava, il broker era sudato, l’anziano signore con gli occhi chiusi. Eccoci, a casa, sul divano. Preferisci nel letto? No. Ok, posso fare altro per te? Siediti. Ok. Ok. Silenzio e incrocio di sguardi mezzi chiusi. Ascoltami. Quella trave, non l’hai messa lì per tuo papà, ma qualcun altro, chi gestisce gli algoritmi e forse non lo sapevano neanche loro. Lo so, ne abbiamo parlato. Sì, ma devi capire che tu facevi firmare semplicemente la speranza, in un futuro migliore, in soldi magari semplici, ma facevi il tuo lavoro e basta, non devi pentirti di questo. Non dovrei sentirmi in colpa per aver tradito la fiducia di mio papà, di te e di chissà quante persone? No, facevi il lavoro al meglio delle tue possibilità e in coscienza, ti prendevi cura del tuo lavoro. Sono altri che devono porsi questioni etiche, chi ruba il lavoro, chi non lo rispetta, chi non se ne prende cura, ad esempio. Sai quante ne ho viste di persone che si nascondono, che rubano tempo e soldi, anche nel sociale, con la maschera del fare del bene e, invece, si siedono, prendono soldi e perdono tempo. Allora, non è anche questo un crac di Parmalat a suo modo? Non è anche questa una mancanza di cura? Della società, indirettamente. Un conto è se non puoi lavorare. Ma se tu puoi lavorare e te ne approfitti, non presti attenzione, te ne freghi; allora stai commettendo una vera ingiustizia. Perché non tutti possono essere curanti nel socio-sanitario, ma tutti possono prendersi cura di questa nostra società malata, attraverso l’impegno, il lavoro costante, serio, con dedizione. Perché mi dici questo? Per dirti che devi tornare a fare ciò che hai studiato per fare, impegnandoti perché non succeda più quanto è accaduto. Non devi avere rimpianti se farai il tuo lavoro con impegno, dedizione e con coscienza etica. Non me la sento, sai cosa mi è successo dopo la morte di mio papà. Certo, ma devi ripartire. Bisogna sempre farlo, non te l’ha insegnato alla fine tuo papà? Scendere ogni mattina, nonostante tutto. Allora, scendi. È l’unica risposta possibile davanti al nichilismo generato dal dolore. Scendi, con dedizione per te e per gli altri. Prendersi cura è più semplice da dirsi che da farsi e troppo spesso si dimentica che la cura non è solo una questione medica, ma sociale, che tutti noi siamo chiamati ad essa, attraverso le attività che portiamo avanti ogni giorno.

Prendi quella busta. Aprila. Cos’è? Un foglio. Ti lascio tutto quello che ho, per ripartire, per scendere domani mattina. Un foglio con una firma. È la stessa che avevi provato a darmi tu, quel giorno, nel tuo ufficio. Il silenzio delle possibilità.

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