Siamo sopravvissuti a una barzelletta
Il resoconto ironico di un uomo che racconta il suo prepararsi e venire al mondo come padre
9 Gennaio 2023 – NarrazioniTempo di lettura: 8 minuti
9 Gennaio 2023
Narrazioni,
Tempo di lettura: 8 minuti
In ospedale. Un giovane medico ha molta paura per il suo primo parto. Un collega più navigato lo tranquillizza: «Devi capire che nella nostra professione, si impara sempre. Si commette magari qualche errorino le prime volte, ma poi con l’esperienza si migliora». Il giorno del primo parto tutto va storto, decede il nascituro e la madre. Uscendo dalla sala operatoria, stizzito ed esausto, il giovane medico butta via il bisturi che arriva nell’occhio del padre uccidendolo sul colpo. I medici con più anni di servizio lo sostengono moralmente: «Vedrai, la prossima volta andrà meglio». Ed ecco che arriva il secondo parto. All’uscita dalla sala operatoria un collega subito si interessa: «Come è andata?». Assai sollevato il giovane medico risponde: «Avevate ragione! Molto meglio; il padre è ancora vivo!».
Fine della barzelletta scelta per iniziare. Nella prima stesura partivo con: “Così richiesto, e controvoglia, con l’unica condizione di non accettare l’eventuale premio, partorisco il mio contributo…”. Meglio la barzelletta. Forse. 5000 battute. Impossibile. Altro tentativo. Dato che si parla di parti, parto con i dati. Al mondo 140’000’000 nascite all’anno, circa 385’000 al giorno, ossia al minuto…
Devo discorrere non su questioni astratte, teoriche, dove è relativamente facile calare lezioni, ma pure su un tema personale, intimo e, scusatemi l’evidenza, di naturale pertinenza dell’altra metà del cielo.
Esistenza, partecipazione, impotenza, felicità. Se fosse PowerPoint, sarebbe già finito. Per via delle esigenze redazionali, vediamo di decomprimere. Esistenza: sebbene in secondo piano, malgrado biologicamente irrilevante dalla gravidanza in avanti, il marito, il compagno, il padre biologico esiste. Come acquirente di gelato, come trasportatore di pesi, come uomo di fatica, come assemblatore di lettini, come ammortizzatore dello stress. Esiste prima, esiste, se vuole e può, durante. Oltre ad esistere, vuole mostrarsi utile, ambisce a partecipare attivamente, ma insomma, si può andare dal benevolo e richiesto supporto psicologico al rischio di dare fastidio o essere inopportuni. Resta in ogni modo quella vaga e indefinita sensazione di avere qualche attinenza con questa situazione. Sebbene solo lei abbia l’onore e l’onere della gravidanza, sebbene solo lei abbia la fatica del parto, questo viaggio era partito in due, i futuri mamma e papà. Dunque, una volontà di condivisione, di partecipazione, il desiderio di essere utili, 24h/24h e 7d/7d, consapevoli di essere inutili. Magari stupidamente, magari in modo superfluo, perfino facendo involontariamente danni: oltre ad esistere e avere la consapevolezza, si tenta di partecipare.
Arriva poi quel momento letto sui libri, spiegato gentilmente ai corsi prémaman, sentito raccontare dagli amici, tramandato dalle generazioni. Le “doglie”. “Doglianze”. “Me ne dolgo, ma…”. Una parola che racchiude dolore, quel dolore già scritto nella bibbia e dovuto al raccolto di mele in spregio ai regolamenti. Ecco, in quel momento, la tua utilità è quella dell’autista. Può essere nobilitata dall’orario, le due del mattino, e da un temporale estivo che quasi blocca l’autostrada, ma sempre solo autista resta. Compito dell’autista: raggiungere la meta. La tranquillizzante constatazione che esistono questi stupendi edifici, gli ospedali, dove maghi e maghe in camici bianchi, verdi e azzurri compiono miracoli sanitari. Questa cosa, che in tempi remoti e forse neppure troppo remoti, doveva avvenire come un fatto naturale tra le mura domestiche con al massimo l’aiuto della levatrice del paese (e in molte parti del mondo sarà ancora così?), oggi è una procedura inconscia, automatica (presumo, salvo rare eccezioni) per il reparto ostetricia di un ospedale o di una clinica.
Torna alla memoria, racconto standard in famiglia, l’inossidabile aneddoto di Ignác Fülöp Semmelweis, il Salvatore delle Madri. Quante volte l’ho sentito? Di più o di meno della barzelletta? Un bravo medico che cambiò l’esito, spesso letale, dei parti, con il semplice insegnamento di lavarsi le mani. Tornato di moda con le misure anticovid – così ci proteggiamo. In ogni modo essere figlio di un medico e di un’infermiera, per la fiducia nelle strutture sanitarie, è una situazione ambivalente. Se senti certe barzellette da piccolo, c’è un motivo.
La Scienza Medica. La dedizione, l’esperienza, i mezzi moderni, le medicine, la chimica sul polo positivo. I possibili errori, la sfortuna o l’impossibilità sul polo negativo. In mezzo ogni tipo di circuito elettrico. Possibili cortocircuiti dall’esito spiacevole. Nei peggiori dei casi aumentano i suonatori di arpa sulle nuvole. Molte volte semplicemente la lampadina accesa.
La trasferta è finita. La moglie è nelle mani dei professionisti. Inizia la fase di impotenza. Essere solo spettatori, la mamma, il futuro bambino, medichesse, infermiere. Ti domandi se esserci o non esserci cambi qualcosa. Qualche “forza!” o tenere la mano.
Quanto dura. Oltre 15 ore. Quanto lei è una dura.
E poi arriva.
Tutta la fatica, la sofferenza, il sangue e voilà, il fagottino respira autonomamente.
Anche la moglie respira, stanca ma contenta. Una scena che si ripete miliardi di volte, speciale e indimenticabile quando è la tua volta.
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