Siamo tutti disabili

Come rispettare l’autonomia laddove la disabilità stessa comporterebbe l’assenza di autonomia? 

Alla fine di ogni Accademia si richiede alle partecipanti e ai partecipanti di elaborare un testo libero su un tema a scelta, sulla base delle riflessioni sviluppate nel percorso. Non ci sono regole “accademiche” da seguire, solo una, esistenzialista: scrivere su qualcosa che si sente nella mente e nel cuore, che possa essere un gesto di cura. Nel tag “Accademia” condividiamo alcuni di questi elaborati sviluppati nelle nostre Accademie. 

Premessa: la domanda non si risolverà con un breve e umile articolo. Spoiler: la domanda è mal posta e, forse, non ha nemmeno senso porla. 

Una volta, durante un corso di storia, un alunno chiese al suo professore quale fosse la prima prova materiale che dimostrasse la nascita della civiltà umana. Forse la cenere di un focolare, per scaldare e cucinare, o l’evidenza della lavorazione della pietra, per cacciare e raccogliere? Magari l’invenzione della ruota per trasportare carichi, o ancora, canali di irrigazione per aumentare la resa agricola, o, perché no, le prime tracce scritte, per tenere conto e tramandare? 

Il professore​ indicò invece un femore rotto, una frattura che poi si era rimarginata, come il primo segno della nascita della civiltà umana. Centinaia di migliaia di anni fa un gruppo di persone si era presa cura di un infermo, pulendo le ferite, dandogli da mangiare, tenendolo al caldo e trasportandolo da un punto all’altro.

Secondo questa prospettiva, non sono la tecnica o gli strumenti a distinguere l’essere umano da altre specie, ma la pratica quotidiana di cooperazione indirizzata al mutuo sostegno.

Uno dei primi esempi di assistenza a una persona affetta da disabilità risale a circa 530 mila anni fa. Si tratta di un giovane individuo di Homo heidelbergensis, scoperto nel sito paleolitico di Sima de los Huesos ad Atapuerca, in Spagna. Questo individuo, morto all’età di circa dieci anni, presentava una condizione nota come craniosinostosi, in cui una o più suture craniche si saldano prematuramente, limitando lo sviluppo cerebrale e le capacità cognitive. La sua sopravvivenza fino all’età di dieci anni è stata possibile grazie alle cure fornite dal suo gruppo sociale.  

Già solo il fatto in sé è esaltante: quasi mezzo milione di anni fa, una specie umana diversa dalla nostra, si adoperava collettivamente nel fornire quell’assistenza senza la quale un loro consimile non sarebbe sopravvissuto.

In altre parole, l’azione del gruppo colmava un vuoto causato da una forma di disabilità, sostenendo un individuo che non era autosufficiente e che non sarebbe stato in grado di sopravvivere autonomamente.

Non potendo badare a se stesso, il giovane uomo si trovava in una situazione di dipendenza nei confronti degli altri membri (non era indipendente).  

Questo esempio ci mostra che nell’ambito della disabilità il concetto di autonomia ricopre una dimensione centrale. Intuitivamente siamo portati a pensare che la disabilità comporti un’assenza di autonomia. A livello di etica delle cure la questione fondamentale diventa quindi:

come tutelare il diritto all’autonomia di una persona che, a prima vista, è sprovvista, almeno parzialmente, di autonomia?

Cosa si intende con disabilità? Il concetto ha subito una drastica e doverosa rielaborazione negli ultimi 30 anni. Si è passati cioè da una concezione medica a una sociale. La concezione medica vede la disabilità come una mancanza individuale, che va gestita dall’expertise medica. Si tratta di un processo di medicalizzazione e individualizzazione della disabilità. I disabilities studies hanno dimostrato che la disabilità è invece spesso “disabilitazione”, una costruzione sociale: l’ambiente fisico e sociale si impone sull’individuo con impedimenti rendendolo disabilitato. Il contesto sociale diventa un elemento chiave di valutazione poiché influisce direttamente sul funzionamento e sull’autonomia della persona. In sintesi, mentre la menomazione e la disabilità riguardano l’individuo stesso, la disabilitazione è legata all’interazione del soggetto con la società.

Risulta chiaro in questa prospettiva che una patologia diventa disabilità in un contesto sfavorevole, che l’autonomia di una persona dipende quindi dal contesto.

A partire dalla rivoluzione Kantiana in poi, perlomeno nel mondo occidentale, il concetto di autonomia è considerato quasi unanimemente un diritto fondamentale dell’essere umano. L’autonomia è uno dei quattro principi etici in ambito medico su cui basare le decisioni e le azioni in situazioni che comportano dei problemi morali. Ma cosa si intende con autonomia? Come detto, il concetto prende slancio nell’evo moderno a partire da Kant e viene definito da Isahia Berlin come una delle due dimensioni della libertà. La libertà  negativa consiste nell’assenza di impedimenti all’azione, la libertà positiva (autonomia) consiste nella capacità di prendere delle decisioni in maniera indipendente (auto-nomos è colui che legifera senza essere influenzato da altri).  

L’autonomia in gran parte costituisce l’essenza stessa dell’essere umano (razionale): non solo decidere e agire secondo ragione, ma anche essere in grado di giustificare le azioni in base alle proprie ragioni e motivazioni.

Per essere considerato autonomo, le intenzioni e i desideri che spingono un uomo ad agire dovrebbero derivare dalla sua volontà e dalle sue ragioni, in altre parole, la motivazione che porta alla decisione e poi all’azione deve essere autodeterminata. Questa concezione predominante, squisitamente individualista e individualizzante, porta a concepire le situazioni di disabilità, specialmente di grave disabilità mentale, come problematiche da un punto di vista del rispetto del principio di autonomia.

D’altronde com’è possibile rispettare l’autonomia dell’altro se non è possibile stabilire quali siano le sue intenzioni, o se non è possibile dimostrare che le sue intenzioni manifeste sono autodeterminate?

In realtà, come abbiamo visto, la disabilità è un fattore anche socialmente determinato. Lo stesso vale per il concetto di autonomia,

l’autonomia (e la libertà) può anche essere concepita come sociale.

La relazione tra individui gioca quindi un ruolo cruciale nella realizzazione sia della disabilità che dell’autonomia. In primis, l’azione degli altri può interferire sul mio agire (aiutando o ostacolando). In secundis, e più​ profondamente, siamo esseri sociali: ciò che costituisce la mia identità, e quindi i miei desideri e le mie ragioni, è anche definito dagli altri. Questa concezione di “libertà sociale”, di cui il tedesco Axel Honneth è uno dei principali teorici, si proietta oltre la semplice biforcazione individualista alla quale siamo abituati a pensare.  

La libertà sociale condivide con l’autonomia (e la cura) una caratteristica di base: vale a dire l’orientamento verso un fine. Ciò che differisce è che questo fine non è determinato individualmente, ma piuttosto richiede il coinvolgimento delle intenzioni degli altri. Inoltre, l’obiettivo ultimo è raggiungibile solo grazie all’azione coordinata di tutte le persone coinvolte, azione che non deve essere soggetta a imposizioni. Questa è la definizione ideale della relazione di cura o presa a carico: un curato e un curante intraprendono insieme un percorso il cui obiettivo ultimo è definito insieme. Parallelamente, la relazione di cura rappresenta una forma ideale di libertà sociale. L’elemento fondamentale è che si verifica nell’interazione tra soggetti, o individui. Infatti, parliamo di libertà sociale (cura​) quando le intenzioni e le preferenze si formano in un contesto di interazione reciproca, e quando la realizzazione di tali intenzioni è possibile solo se realizzata congiuntamente con gli altri, o se l’azione degli altri concorre alla realizzazione dell’intenzione. La cura (libertà sociale) ha quindi un elemento costitutivo, cioè è voluta e costruita insieme. Il problema però rimane, come assicurare che la libertà sociale sia rispettata se non è possibile determinare le intenzioni delle persone coinvolte? 

Per fare questo è necessario approfondire il concetto di riconoscimento. Come detto, gli individui sono immersi in un contesto sociale che definisce la loro identità, indicando loro quale sia la loro posizione, ruolo o status nella società o nel gruppo a cui sono associati. La teoria del riconoscimento è emersa principalmente nei dibattiti contemporanei per il ruolo che svolge nel legittimare movimenti politici e sociali. Gli attivisti a favore dell’inclusione e della disabilità chiedono il riconoscimento dei diritti per i loro membri; i singoli membri chiedono che la loro autonomia individuale – per esempio nell’affermare le proprie necessità e orientazioni sessuali – sia riconosciuta. 

Alla base del riconoscimento si trovano due concetti, uno derivante dalla tradizione anglosassone e uno da quella tedesca. L’empatia (empathy) e il rispetto (Achtung). La scuola inglese (Hume, Smith, Mill) si chiede come l’individuo formula giudizi morali, come assegna valore alle altre persone. Questo avviene attraverso la simpatia. Smith, secondo l’interpretazione di Honneth, definisce la simpatia come un fenomeno reciproco: l’individuo ha la capacità di percepire le passioni degli altri e chiede anche agli altri di avere la stessa capacità nei suoi confronti. La generalizzazione del sentimento di empatia di ciascuno costruisce la posizione morale di un gruppo sociale. Il rispetto è introdotto da Kant. Per consentire la realizzazione dei progetti individuali, la realizzazione dell’autonomia, è necessario che gli individui rispettino quella degli altri.

Il rispetto è il motivo della ragione pratica, attraverso il rispetto per gli altri, vediamo in noi stessi la stessa volontà di autodeterminazione.

La definizione di riconoscimento è infine prodotta dall’impianto teorico (e squisitamente dialettico) di Hegel il quale trova una realizzazione pratica del concetto di riconoscimento nel rapporto d’amore, dove ci si limita per l’altro, e insieme si giunge a concepire le determinazioni le quali sono al tempo stesso auto-determinate e co-determinate.

I due amanti si riconoscono reciprocamente e sinceramente come esseri liberi. Le auto-limitazioni non sono imposte, ma volute, perché riconoscono nell’altro un essere autonomo, lo rispettano e si comportano in modo tale da vedere le sue determinazioni realizzate.

Abbiamo chiuso il cerchio. Il nocciolo fondamentale della civiltà umana sembrerebbe risiedere in questo: nell’assistenza mutuale, nella reciprocità, nella costruzione sociale. Questa è anche la definizione minimale di etica: un’istituzione sociale che consente e favorisce il coordinamento del gruppo, permettendo, infine, di rispettare quella “responsabilità morale” che anche Darwin ha indicato come una delle chiavi per assicurare la continuità della specie.  

Il rispetto dell’autonomia non è impossibile laddove l’autonomia è assente, perché l’autonomia non è solo una questione individuale. Praticamente siamo tutti disabili, tutti siamo deficienti, perché tutti abbiamo carenza di autonomia in diverse gradazioni e chiunque si appoggia all’altro, in un modo o nell’altro e tutti, curando, siamo curati.

L’incapacità di tutelare l’autonomia è dovuta alla mancanza di strumenti che permettono di cogliere la volontà e le necessità altrui.

Questi strumenti sono più facilmente utilizzabili e identificabili in alcune relazioni, magari quando le persone sono in grado di manifestare apertamente (comunicare) le loro volontà. Il meccanismo però è lo stesso, e consiste nell’entrare in una dimensione relazionale, nel costruire uno scambio rispettoso ed empatico, in altre parole, nel praticare il riconoscimento.  

Bibliografia

Berlin, Isaiah, Henry Hardy, and Ian Harris, 2002, Liberty: Incorporating Four Essays on Liberty. Oxford: Oxford University Press. 

Hegel, Georg Willhelm Friedrich, 1975 (reprint), Natural Law, trans. T. M. Knox, Philadelphia: University of Pennsylvania Press. 

Honneth, Axel, 2016, L’idea di socialismo, trans Marco Solinas, Feltrinelli: Milano. 

Honneth, Axel, 2015, ‘On the Poverty of Our Freedom. Relevance and Limits of the Hegelian Ethical System’, In: Dumouchel, Paul, and Reiko Gotoh, (Eds.), Social Bonds as Freedom: Revisiting the Dichotomy of the Universal and the Particular. 1st ed., New York: Berghahn Books, pp. 109-124.  

Honneth, Axel, 2017, ‘Three, Not Two, Concepts of Liberty: A Proposal to Enlarge Our Moral Self-Understanding’. In R. Zuckert & J. Kreines (Eds.), Hegel on Philosophy in History, Cambridge: Cambridge University Press, pp. 177-192. 

Immanuel Kant, 2004, Scritti di etica, a cura di Piero Giordanetti, Firenze, La Nuova Italia. 

Mill, John Stuart, 2017, Sulla Libertà, ed. Giovanni Mollica, Milano: Bompiani: testi a fronte.  

Smith, Adam, 2010, The theory of moral sentiments, London: Penguin Books.  

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