Sulla bioetica e sulla disabilità

Il becco del pellicano 

L’etica si può dire in molti modi, ma importante dovrebbe essere lo stile della sua riflessione, perché gli oggetti e i metodi della morale necessitano una loro concettualizzazione. In particolare, è auspicabile saper discutere, per esempio, sulle parole che intendiamo adoperare, sulle linee argomentative, sulle conoscenze in nostro possesso, sui nostri valori, sulle responsabilità nella presa di decisione: significa pensare l’etica come spazio autonomo di passione progettuale, libero dagli assoggettamenti rassicuranti della cultura e del potere. Una formazione in etica ha l’obiettivo: (i) di proporre le necessarie conoscenze teoriche nell’ambito dei dilemmi morali; (ii) di esercitare la capacità di giudizio con un approccio razionale nelle situazioni concrete della pratica di cura, individuando il problema morale, valutando la propria preferenza per una determinata soluzione, confrontandola con quelle delle altre persone implicate e contribuendo ad abbozzare una soluzione; (iii) di promuovere una maggiore sensibilità per lo sviluppo delle proprie qualità umane e professionali soprattutto a favore di una comunicazione corretta. 

L’insegnamento della bioetica non ha certo la pretesa di insegnarci a vivere attraverso valori quali la dignità, la virtù o il dovere, ma di sensibilizzarci a una certa forma di pluralismo delle dottrine e dei metodi, attraverso intuizioni morali, relative a ciò che è bene o male, giusto o ingiusto e trattando i casi simili in modo simile. In ogni caso, saper affrontare correttamente i dilemmi etici che la medicina causa e sa mettere in risalto quando si cura in un ambiente di veridicità, non è soltanto un’opportunità di conoscenza, ma una vera necessità per il bene comune. 

Nella concezione deontologica, la presentazione dell’etica come un insieme ristretto di doveri e di principi, in analogia alle virtù cardinali (sapienza, giustizia, fortezza, temperanza), offre un quadro che, seppur semplificato, è utile alla riflessione morale, in un contesto basato sulla veridicità. Anche l’utilitarismo, che considera le conseguenze delle azioni valutandole nei termini di fedeltà e soddisfazione delle preferenze, è un metodo della morale riflessiva, proposto in contesti culturali concreti, che può fornire argomentazioni per procedere quando siamo in disaccordo, per esempio all’interno di una commissione di supporto etico: il metodo ci serve per avere una guida attraverso l’astrazione, permettendo così un cambiamento nella vita personale e sociale.  

Come scriveva Gilbert Hottois, di regola, le commissioni coltivano una metodologia del consenso, che va al di là di una semplice spiegazione delle diverse posizioni, per incoraggiare la discussione, il confronto dei diversi punti di vista per arricchire e far evolvere le rispettive posizioni. In tal senso, è molto importante evitare il dissenso pigro che si accontenta di esporre e di esplicitare i propri argomenti in modo pluralistico, ritenendo che in tal modo si rispettano le diversità. Si tratta di una metodologia “postmoderna”, individualista e “comunitaria” che si accontenta di rispettare la diversità delle culture e delle individualità in nome dell’autonomia e della differenza.  

All’inverso, la commissione non deve diventare un comitato morale. Quindi, occorre favorire la discussione con una predilezione al consenso, a ciò che è comune, a ciò che unisce e che permette la coesistenza sociale. Il pericolo opposto al dissenso pigro è il consenso forzato, soprattutto quando si tratta di questioni politiche. Una metodologia che favorisce la produzione di consenso è il pragmatismo, che si basa (i) sull’esclusione dal dibattito dei punti sui quali l’accordo sembra impossibile e (ii) sulla formulazione di consensi che non esigono l’accordo su tutte le ragioni che li giustificano, quando non sono convergenti. Il consenso pragmatico è molto prezioso nelle nostre società complesse se si vogliono realizzare delle direttive comuni, preservando la libertà di pensiero e la diversità dei comportamenti. 

La bioetica affronta l’esigenza di considerare le concezioni morali utilizzate nella pratica della Cura soprattutto all’inizio e alla fine della vita, ma anche nelle nuove forme della ricerca biotecnologica e dell’intelligenza artificiale: ad esempio, la robotica affettiva trasformerà profondamente il “prendersi cura” delle persone vulnerabili, come gli anziani con disabilità intellettiva non più in grado di autodeterminarsi con chiarezza.  

La disabilità non è una malattia certa, ma un percorso da esaminare rispetto alle attese cliniche dei soggetti e dei loro famigliari. Sguardi differenti creano diritti diversi: l’approccio dovrebbe essere quello delle humanities, cioè quello che sta sulla soglia fra cultura e medicina. Il modello clinico della disabilità deve essere correlato con quello sociale, come conseguenza di un ambiente e di una società che non sa riconoscere determinate mancanze in certe persone, che vengono quindi considerate disabili o diversamente abili. La disabilità non deve essere usata automaticamente per valutare lo stato di salute e la qualità di vita; inoltre, le cure mediche non devono tenere in considerazione il criterio dell’utilità sociale, nel senso del contributo individuale alla società. La politica, in particolare, dovrebbe evitare con grande attenzione che i diritti delle persone disabili siano regolarmente disattesi, favorendo invece la loro inclusione nell’elaborazione di direttive o consulenze, anche per garantirne un’equità riconoscibile. 

Un pensiero su “Sulla bioetica e sulla disabilità

  1. Gianangelo Palo dice:

    Articolo interessante e bello.Roberto è un amico e questo incide sulle parole che scriverò.Precisazione etica!
    Ho provato a fare una lettura etica di un testo sull’etica.Infatti anche questo testo ha una etica sottostante proprio mentre parla di etica.Quale?:
    Un’etica della trasparenza,del dialogo, della inclusione,del limite….,potrei proseguire.
    Si tratta di applicare un elemento metodologico inportante di ogni riflessione etica che non si ferma solo alle norme o ai valori ma che fa una operazione che gli etici di professione chiamano metaetica.
    Grazie Roberto

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