Sulle soglie del mondo
Terre di ghiaccio, terre di fuoco, terre di vento
31 Marzo 2025 – Psyché, Depressione, Dolore, Emergenza, PsichiatriaTempo di lettura: 12 minuti
31 Marzo 2025
Psyché, Depressione, Dolore, Emergenza, Psichiatria
Tempo di lettura: 12 minuti
I giovani sono come psiconauti di terre ignote. Terre di avventura seducenti ma anche ammaliatrici, come le sirene per Ulisse. Giovani che stanno tra le Colonne d’Ercole e la nostalgia del ritorno ad Itaca. L’adolescenza è l’esperienza a volte meravigliosa e felice, altre dolorosa dell’inarrestabile “venire al mondo”.
L’adolescente appare così come una sorta di navigante dell’alba, incerto verso l’orizzonte e ancora catturato dalle ombre della notte ma anche sedotto dalle magie dei suoi sogni.
Come stare allora, come sostare in quello spazio fluttuante che lui abita a volte dolorosamente altre con arrogante spensieratezza? Come dialogare con i nostri figli che “surfano” sulle “terre liquide”, come le chiama Baumann? Terre che gli adolescenti abitano, come fossero sentinelle di un mondo già e non ancora.
Il giovane è posto oramai di fronte ad un mondo che privilegia più l’esperienza immediata e veloce che la storia, più il controllo che il progetto, più l’adattamento al presente, che la ricerca di un senso. Giovani illusi dalle mille possibilità ma sovente incapaci di vivere la delusione che la realtà impone. Giovani che scambiano la connessione alla rete per una vera relazione. Le scelte di stile sono allora strategie per far fronte al processo di smarrimento oppure segni di un tentativo di auto-rappresentazione seppur “debole” per fondare nel provvisorio la propria unicità? Il passaggio al mondo adulto sembra guidato sempre più dalle “tecniche sceniche” dell’apparenza create dall’immaginario virtuale, che fonda oramai la normalità. Gioco delle apparenze, “mimicry”, come lo chiama Caillois, in cui «il soggetto gioca a credere, a farsi credere o a far credere agli altri di essere un altro», questo lo scenario che va configurandosi.
Nel paesaggio del mimetismo e dell’adattamento consumistico, quale nuovo umanesimo si muove in filigrana nel mondo giovanile in una società per la quale la memoria del passato sembra evaporata e il futuro incerto?
Come abitare il mondo tecnologico contemporaneo? e insieme come abitare tecnologicamente il mondo?
Tra le modificazioni dell’esperienza percettivo-cognitiva, a cui la “Network Society”, di cui siamo permanenti attori e prigionieri allo stesso tempo, ci sottopone quotidianamente, quella che riguarda lo spazio merita una sosta. Come essere abitanti del “cyberspace”? Una delle qualità di questo nuovo spazio è quella dell’Ovunquità. Possiamo grazie alla tecnologia digitale, infatti, essere qui e là, prima e dopo, vicini e lontani allo stesso tempo. Accanto allo spazio, che cancella l’attesa e la lontananza, anche il tempo soccombe alla tirannia di un presente assoluto, così i corpi condannati alla loro immaterialità, così infine la realtà stessa parola dispersa nell’universo virtuale. Come allora ascoltare, accompagnare, proteggere i nostri figli camminando con loro e con noi stessi in questo nuovo mondo?
Io stesso sono divenuto domanda
«Quaestio mihi factus sum», «io stesso sono divenuto domanda», come dice S. Agostino, è la cifra esistenziale di tutti i tempi di passaggio della vita. Contiene insieme la “destin-erranza” (Derrida) dell’esistenza umana e la necessità di una con-versione che sgorghi dall’evidenza illuminate dell’attesa del nuovo. Così per il tempo adolescenziale. La crisi del tempo adolescenziale è, infatti, prima di ogni altra sua interpretazione psicologica o sociologica, una crisi dell’esistenza. Essa è – come scrive Henri Maldiney – «co-originairement une crise de soi et une crisi du monde». Una crisi “dell’essere-al-mondo e del poter-essere al mondo”.
Lungo questo itinerario che ci vede a volte come viaggiatori senza tempo e senza meta, si esploreranno con un sguardo psico-antropologico quattro assi fondamentali – quello dell’interdetto, dell’esperienza dell’ebbrezza, del bisogno di assoluto e della ricerca della verità – che descrivono una sorta di cartografia e di direzione di senso, che non si esaurisce con il passaggio d’età, ma che rimane come iscritta in tutta l’esistenza stessa, rischiosa e nello stesso tempo umanissima, tesa tra bisogno di libertà e solitudine. È di questo carrefour esistenziale che l’adolescenza è testimone a volte crudelmente. Una ricerca inesauribile poichè, come scriveva Platone nel Timeo, introducendo nel IV secolo uno degli elementi di rottura fondanti la storia dell’Occidente, «noi uomini non siamo come le piante della terra perché la nostra patria è il cielo, dove fu la prima origine dell’anima e dove Iddio, tenendo sospesa la nostra testa, ossia la nostra radice, tiene sospeso l’intero nostro corpo che perciò è eretto». L’uomo di tutti gli esseri che sono nel mondo è l’unico che pone domande sino alle estreme frontiere della vita, sino al crepuscolo della mente. «Egli è l’interrogante originario – ci ricorda il teologo Bruno Forte – che abbraccia col suo domandare non solo l’essere di tutte le cose, ma anche il suo stesso essere, fin nelle radici più profonde». Nelle passioni gioiose e tristi dell’adolescenza, nelle sue attese e nelle sue delusioni, proprio “là dove si fermano e ripartono i treni” e dove è facile smarrirsi, addormentarsi nella noia o ferirsi nella frenesia di un momento, vi è depositato il fragile e a volte terribile granello di quel tragico della vita, che la società banale vuole cancellare. Essi sono sentinelle del mattino che inconsapevolmente già sentono, usciti dai lidi spesso felici dell’infanzia, l’arrivare delle ombre del crepuscolo. Essi in questo viaggio hanno bisogno di fraternità, di genitorialità e di una società almeno “decente”, come scrive il filosofo Arishai Margalit nella sua La società decente (1998).
Ma dove porre queste domande? L’adolescenza le percorre nell’esperienza quotidiana sospesa tra il desiderio e realtà, tra la speranza e l’illusione, tra le vibrazioni di un’anima spesso tempestosa e un corpo che fa da ostacolo, tra ciò che è già avvenuto e ciò è già ma non ancora.
Ciò che rende la loro domanda a volte così difficile è in fondo l’incompiutezza della vita e del tempo, di fronte alla nuova esperienza del dolore e del limite e alla frustrazione data dello scarto fra compimento e attesa.
Lo scenario su cui si muovono le loro passioni, i loro smarrimenti, come i loro turbamenti, è quello di una società alle prese con la sua “coscienza infelice”, con una sorta di silenziosa “malattia psico-antropologica “, determinata da alcune fondamentali perdite : la perdita del senso del limite, del legame, della fine e del fine, delle differenze e infine dell’origine.
Su questo palcoscenico tra furore, ricerca dell’emozione-choc, apatia e desiderio di assentarsi dal mondo come nella sindrome di Hikikimori, gli adolescenti sono a volte e nello stesso tempo vittime e attori. Una malattia che riguarda allo stesso tempo i modi e le forme della esperienza, della padronanza, della disponibilità di sé e quelle della presenza del mondo e nel mondo. Malattie dell’anima, che non sono né fisiche, né psichiche, poiché «nessuna nevrosi, infatti, può spiegare il sentimento di esilio sulla terra, la disperazione dell’Ecclesiaste, la noia metafisica, il sentimento del vuoto…», come scrive il filosofo rumeno Costantin Noica?
La situazione epocale su cui ci muoviamo è certo quella della “mondanizzazione” della vita, nella quale però si avvertono sempre più delle controspinte di ri-sacralizzazione parziale, debole, soggettivistica, che si intrecciano con le forme variegate della dipendenza come elemento sintomatico di una sofferenza e di un bisogno della quotidianità, dalle forme simulacrali del sacro, alle nuove ritualizzazioni profane, alle forme di integralismo e di fanatismo religioso, sino alle esperienze del “new age” e delle sette, alla bulimia consumistica, sino alle forme più tragiche della patologia individuale, alla tossicodipendenza (che rimane metafora estrema di questo disagio dell’esistere e della esperienza della quotidianità, di quella, che amo chiamare, malattia dell’anima del mondo).
Quali le contraddizioni allora di una società che sembra occultare sotto i miti dell’estrema padronanza di sé e del mondo una altrettanto estrema docilità e bisogno di dipendenza? La cultura della dipendenza si nutre proprio di ciò che nega la stessa dipendenza necessaria a rispondere al fondamentale statuto “creaturale” (sul piano psicologico e ontologico) e quindi dipendente dell’uomo. La pretesa di sovranità assoluta conduce infatti alle forme più mortifere e distruttive della stessa dipendenza originaria. In questo la cultura occidentale ha fondato il suo destino e la sua traiettoria. È proprio, come ebbe a scrivere Perlini, il «disincantamento» della modernità a produrre una sorta di “incantamento paralizzante”, di cui alcuni adolescenti e molti adulti sono attori e vittime esemplari e di cui le forme della sacralità/ritualità profana (del potere come dello spettacolo) arrischiano di essere le manifestazioni collettive.
L’adolescente, dunque, come una sorta di “psiconauta” della modernità? Uno “psiconauta” sospeso come un acrobata tra ricerca della verità, necessità di trovare limiti al suo volo, seduzione dell’ebbrezza e dell’eccitazione-choc e l’angoscia del nulla. Uno “psiconauta” esposto nel suo processo di soggettivazione e in bilico tra le estasi del tempo, del corpo, dello spazio e del Sé.
Sulle piste di questo breve “camminare” in luoghi a volte sin troppo conosciuti e chiacchierati, altri ignoti e incerti, si apre la mia indiziaria riflessione, tra passione di normalità e ricerca dell’eccesso e della trasgressione, tra frenesia e dipendenza, tra l’angoscia del nulla e il bisogno di verità. Un percorso indiziario come tentativo di tracciare una sorta di “sismografo” della nostra stessa quotidianità, di cui gli adolescenti sono testimoni e nello stesso tempo esploratori.
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