Un ospedale per tutti

Il valore di spazi inclusivi nella cura e nel benessere 

Apre gli occhi. La luce accecante la costringe a strizzare le palpebre, mentre il suono dei bip e l’odore dell’ospedale la avvolgono in un senso di oppressione crescente. Le pareti arancioni, spente e anguste, sembrano farsi sempre più vicine, amplificando il dolore che la attraversa. 

Gli ultimi ricordi: una passeggiata spensierata con suo marito, poi un rumore forte dietro di lei, l’albero che si spezza e la colpisce. Non perde conoscenza fino all’arrivo in Pronto Soccorso. 

Prova a muoversi, ma il suo corpo non risponde. È come se fosse intrappolata in un corpo che non riconosce più. Non riesce a percepirlo. Il panico le stringe il petto, la nausea la fa sentire sopraffatta. 

Ma non è solo il dolore fisico a tormentarla. È lo spazio che la circonda. Le pareti soffocanti, la disposizione degli oggetti, l’assenza di colori che potrebbero dare conforto. Ogni dettaglio la fa sentire ancora più vulnerabile, come se l’ambiente stesso contribuisse ad amplificare la sua sofferenza. È in quel momento che comprende quanto l’ambiente in cui riceviamo le cure possa influenzare profondamente, non solo il corpo, ma anche la mente. 

Poi, d’improvviso, realizza: quella donna, quella paziente è proprio lei. Lei che per anni ha vissuto l’ospedale come luogo di lavoro. Corridoi da percorrere con passo deciso, decisioni rapide da prendere, emergenze da gestire. Le stanze impersonali, i monitor che scandivano il tempo: l’ospedale era un contenitore neutro, dove si svolgevano la sofferenza e la cura. 

Ma ora la situazione è diversa. Immobilizzata in un letto di terapia intensiva, il soffitto bianco e il bip incessante sono tutto ciò che vede. Lo spazio che la circonda non è più solo un contorno, ma una presenza opprimente. Un letto troppo alto, pareti spoglie, nulla che aiuti a orientarsi in questo stato di vulnerabilità.

L’ospedale, che fino a ieri sembrava un’organizzazione perfetta, oggi le appare come un luogo che amplifica il suo dolore e la sua solitudine.

La sua esperienza, adesso, si estende su più fronti: è infermiera in terapia intensiva, caporeparto in pronto soccorso, è paziente in un centro specializzato per mielolesi e parente accanto a un familiare in gravi condizioni. Ogni ruolo le ha mostrato quanto l’ambiente fisico influenzi il benessere psicologico e fisico, non solo per chi riceve le cure, ma anche per chi le presta e per chi è accanto a un malato. 

Da paziente, ha imparato quanto un ambiente ben progettato possa favorire il recupero. Nel centro per mielolesi, – quello che dopo la prima degenza in ospedale è stato, per tanto tempo, il luogo del suo recupero – gli ampi spazi, i colori accoglienti, le finestre che offrivano una vista rilassante sul verde e sull’acqua le hanno permesso di ridurre il senso di oppressione e favorire la resilienza emotiva. Tuttavia, questa esperienza positiva si contrappone alla realtà di molte altre strutture ospedaliere che ha vissuto, sia da infermiera che da paziente. 

Per le sue cure, si è trovata in stanze così anguste da non poter nemmeno raggiungere l’armadio con i suoi effetti personali, bloccata dal letto accanto. Ogni piccolo gesto diventava una fatica: la privacy dell’altro paziente limitava i suoi movimenti, il bagno era inaccessibile con la carrozzina, la doccia impraticabile. La difficoltà di accedere a ciò che le serviva trasformava le necessità quotidiane in ostacoli insormontabili. 

Le criticità strutturali degli ospedali sono ancora più evidenti per chi, come lei, si muove su una sedia a rotelle.

Spazi inadeguati limitano la libertà di movimento e la dignità della persona. Corridoi ingombri, ascensori minuscoli: ogni barriera diventa una frustrazione, una fatica in più. E anche per i familiari con difficoltà motorie, visitare un paziente diventa un’impresa. 

Ma non si tratta solo di chi è su una sedia a rotelle. Ogni paziente, con le sue specifiche esigenze legate alla patologia che sta affrontando, risente della qualità dell’ambiente in cui è curato. Un ospedale mal progettato rallenta il recupero e amplifica la vulnerabilità. Anche per il personale sanitario, lavorare in spazi inadeguati riduce l’efficacia delle cure, aumenta lo stress e il rischio di errore. 

Oggi, avendo vissuto l’ospedale da ogni prospettiva possibile, sa che l’ambiente non è mai solo un contorno. Uno spazio ben pensato può alleviare la sofferenza, restituire dignità, favorire il recupero. Un ambiente ostile, al contrario, amplifica il dolore e il senso di impotenza.

Il Design for All – l’idea che gli spazi debbano essere accessibili e confortevoli per tutti – non è un concetto astratto, ma una necessità che fa la differenza tra un’esperienza dignitosa e una che lascia cicatrici invisibili.

Chi si prende cura degli altri ha bisogno di un ambiente che faciliti il proprio lavoro. Chi affronta la malattia ha bisogno di uno spazio che non aggiunga ostacoli alla propria battaglia. E chi sta accanto a un familiare malato merita di sentirsi accolto, non respinto da barriere inutili. Perché un ospedale non è solo un luogo di cura. È un luogo di vita. E dovrebbe esserlo per tutti. 

(di Ilaria Perren) 

 

* * * *


Cosa può fare il progetto per il benessere della persona?

Il libero arbitrio, l’indipendenza e ancora di più l’autodeterminazione sono importanti fondamenti dello spirito e dell’etica umana. L’assenza o la privazione di uno di questi diritti è sempre percepita come un ostacolo alla propria felicità o, meglio, al raggiungimento dell’eudemonia. 

L’eudemonia è la condizione di piena realizzazione nella quale l’uomo, a dipendenza delle inclinazioni e rispetto ad una situazione personale, costruisce l’infrastruttura della propria felicità.  

Così l’individuo diventa architetto della sua esistenza e non semplice fruitore delle esperienze che spontaneamente si avvicendano. 

Seguendo il filo logico di queste brevi considerazioni – che ricalcano i grandi insegnamenti filosofici degli antichi pensatori – sembrerebbe che l’eudemonia sia da ricercare esclusivamente dentro di sé. Eppure, l’uomo vive di relazioni con le altre persone e vive in relazione con gli spazi naturali (l’ambiente) ed artificiali (luoghi progettati). È in questi stessi spazi che abita, studia, lavora e si cura; è nel rapporto con l’intorno che realizza il suo percorso di vita. Per questa ragione, il contesto – sociale, economico e spaziale – gioca un ruolo decisivo nel favorire o nell’ostacolare il raggiungimento della sua felicità. 

Che si tratti di obiettivi-guida elevati e protratti nel tempo (come coltivare i valori morali, ampliare le conoscenze etiche) o di obiettivi relativi a specifici momenti della vita dell’uomo (come l’adesione ad una formazione, l’accesso alla cultura, lo svolgimento di cure), l’organizzazione degli ambienti – e prima ancora la possibilità di accesso fisico al luogo dove si svolgono determinate attività – influiscono in modo determinate sul benessere dell’individuo e partecipano alla buona riuscita dei suoi scopi. 

Tale correlazione diventa ancora più forte quando la persona si trova in un momento di fragilità fisica e psichica; per esempio quando deve riscostruire la propria autonomia a causa di una difficile situazione di salute o quando, per le sue cure, deve frequentare quotidianamente luoghi dedicati al recupero.  

Da tempo ricercatori e professionisti nei settori della medicina, della psicologia e dell’architettura si occupano, in modo trasversale e complementare, di approfondire queste tematiche e di teorizzare nuovi approcci alla cura e alla progettazione di edifici sanitari. 

Nella piega di queste ricerche, si inserisce anche la disciplina del Design for All, del quale il Centro di Competenza Design for All [1] con sede a Bellinzona – Giubiasco ne rappresenta il primo referente in Svizzera.  

Il Design for All è un approccio metodologico al progetto di spazi, prodotti e servizi che ha come finalità l’inclusione sociale, l’uguaglianza e la parità di diritti (EIDD, Dichiarazione di Stoccolma, 2004).

Il coinvolgimento di diversi attori nel processo di progettazione – committenti, architetti, amministratori e fruitori finali – è uno dei cardini del Design for All, così come la ricerca di soluzioni estetiche di valore [2]. 

Il Design for All appartiene alle discipline riconducibili alla progettazione universale, ovvero alla progettazione attenta alla prospettiva degli utenti – reali non ideali – che assumono un ruolo attivo nel processo di design. La progettazione universale riconosce il valore della diversità umana e considera le esigenze e le aspirazioni degli utenti finali, con l’obiettivo di ottenere soluzioni a misura di tutti, persone con e senza disabilità. 

Nell’ambito della riqualifica o della costruzione di nuove strutture sanitarie, il Design for All – il cui scopo è generare ambienti fruibili ove la persona possa sentirsi bene e curarsi del proprio benessere – fornisce prospettive, un processo di lavoro [3] e strumenti concreti per ottenere soluzioni inclusive. Il tema, d’altronde, non è nuovo e la volontà di realizzare luoghi – anche di cura – costruiti intorno alla figura umana e alle sue esigenze è alla base del mestiere dell’architetto [4].  

Senza pretendere di racchiudere in poche righe gli esiti delle attuali ricerche in questo specifico settore, si riportano, di seguito, alcuni esempi virtuosi che rappresentano la punta dell’iceberg delle innumerevoli indagini incentrate sul tema dell’architettura inclusiva in ambito sanitario. 

Il concetto di partenza, che accomuna tutti gli studi in essere, è certamente quello del patient-centered, approccio di cura che adotta come prospettiva privilegiata quella dell’utente; al fine di ottenere una configurazione ideale degli spazi.

L’obiettivo è la realizzazione di healing environments, ovvero ambienti caratterizzati dallo sfruttamento ottimale della luce naturale, dal diretto rapporto con il paesaggio e con il contesto sociale di inserimento.

È ormai dimostrato, infatti, che la realizzazione di uno spazio fisico e una cultura organizzativa a supporto dei pazienti, delle famiglie e dei lavoratori agisce sulla diminuzione dello stress imposto dalla malattia, dal ricovero ospedaliero e dalle visite mediche. Ciò era già noto all’epoca di Florence Nightingale, madre dell’infermieristica moderna, convinta che l’ambiente sanitario fisico avesse un’influenza positiva sulla rapidità di guarigione o di adattamento del paziente alla sua condizione acuta e cronica.  

Numerose sono le organizzazioni che, nel mondo, si occupano di mettere in pratica i principi dell’healing environment. Tra queste si cita The Center for Health Design, no profit americana con sede in California che focalizza il suo interesse sui rapporti tra design e salute e sul miglioramento delle qualità delle cure attraverso la progettazione dell’ambiente costruito. Interessante, a questo proposito, è l’Interactive Design Diagrams, applicativo per la pianificazione degli spazi di cura incentrati sul benessere del paziente e del personale sanitario. 

Sempre negli Stati Uniti, la Harvard T. H. Chan School of Public Health, attraverso l’Healthy Buildings Program [5], ha teorizzato 9 Foundations ovvero 9 cardini di riferimento per la costruzione di immobili sani, siano questi in ambito di cura che non. 

È evidente che nei prossimi anni, in Ticino come nel resto della Svizzera, importanti sfide inerenti la gestione sanitaria attendono di essere affrontate;

ciò presuppone anche l’edificazione ed il rinnovo di strutture di ricovero o la messa in campo di sistemi di cura aggiornati, che richiedono già da ora di individuare nuove filosofie di progettazione. 

È questa, dunque, l’occasione giusta per far propri concetti innovativi e per sviluppare approcci alternativi, come quelli proposti dalla progettazione universale e, più specificatemene, dal Design for All. 

(di Caterina Cavo) 

Note

[1] Il Centro di Competenza Design for All Svizzera è stato fondato nel 2021 da inclusione andicap ticino, associazione senza scopo di lucro che da altre cinquant’anni tutela i diritti delle persone con disabilità in Canton Ticino. Il Centro di Competenza è affiliato a EIDD – Design for All Europe, network che tiene in rete gli enti che si occupano di progettazione universale.  
Per maggiori dettagli: www.designforall.ch  

[2] Principio 1 del ©Manifesto Design for All Svizzera. Il documento è sottoscrivibile simbolicamente da tutti gli interessati. Per maggiori informazioni: www.designforall.ch/it/manifesto-design-for-all  

[3] Il Processo Design for All Svizzera – Linee guida per la progettazione universale è stato sviluppato dal Centro di Competenza Design for All grazie al sostegno dell’Ufficio federale delle pari opportunità per le persone con disabilità UFPD, che ne ha riconosciuto il carattere innovativo. I risultati di tale progetto saranno divulgati nel primo semestre del 2025.  

[4] Esempi iconici del Moderno, che creano un fil rouge con le ricerche progettuali attuali, sono: il Sanatorio di Paimio di Alvar Aalto (Finlandia) che, con la sua organica complessità, offre un luogo dove il sole, l’uso del colore, l’economia dei serramenti e perfino l’arredo partecipano alla guarigione del paziente. Alle nostre latitudini, il Dispensario antitubercolare di Ignazio Gardella (Italia), luogo di diagnosi e prevenzione che reinterpreta l’architettura della tradizione in chiave razionalista.  

[5] https://healthybuildings.hsph.harvard.edu/about/9-foundations-of-a-healthy-building/  

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