Uno, nessuno e centomila
Luogo interiore senza tempo, in cui il detenuto e l’operatore sanitario condividono lo stesso scorcio di realtà
11 Novembre 2024 – Carcere, Arte, Comunicazione, Libertà, Medical HumanitiesTempo di lettura: 11 minuti
11 Novembre 2024
Carcere, Arte, Comunicazione, Libertà, Medical Humanities
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L’operatore sanitario, che sceglie di prestare il proprio servizio in ambito penitenziario, sceglie anche, nel medesimo tempo, di assecondare la pirandelliana condizione umana del ritrovarsi ad essere insieme UNO, NESSUNO E CENTOMILA, intercalando le tre vele a ritmo serrato o navigando con una di esse issata per molto tempo a seconda del bisogno che il vento dell’umanità altrui richiede.
L’operatore sanitario è UNO nel momento in cui mette a servizio dei detenuti non solo la propria professionalità, di per sé già singolare ed irripetibile, ma anche il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze personali che conservano in toto l’unicità e l’inclinazione umana individuale. Tuttavia, la sua identità, come quella del Moscarda protagonista del romanzo, non è univoca, ma frammentata e molteplice e come tale percepita in modi diversi dalle persone che lo circondano.
L’operatore sanitario in carcere è identificato dai detenuti come una figura di cura, dai colleghi come professionista della salute che opera in un ambiente difficile e per i collaboratori del penitenziario come parte di un sistema atto a mantenere e garantire l’ordine.
Il servizio di medicina penitenziaria oggi accoglie, da un punto di vista professionale, molte e diverse figure, ognuna con caratteristiche proprie, sebbene tutte protratte in un’unica direzione: il soddisfacimento del bisogno di salute (fisica e psichica) della persona durante il periodo di detenzione.
I sentieri attraverso i quali si snodano le attività sanitarie in carcere, condivisi e percorsi insieme agli agenti di custodia in primis e alle altre molteplici figure professionali, non sono stati da sempre tracciati e battuti.
Hanno vissuto il tempo della progettazione, dell’attesa, dell’aspettativa, del concreto lavoro di costruzione e finitura fino al momento in cui l’attività e l’organizzazione integrata sono diventate quotidianità. Percorrendo giorno dopo giorno questi sentieri è facile constatare come ognuno, in qualità di operatore sanitario in carcere, porti con sé una sfumatura di colore differente nell’intreccio di una trama che, per esistere, ha bisogno da una parte del contributo di ogni UNO e al tempo stesso la condivisione di TUTTI affinché gli obiettivi di salute a cui si tende siano mete reali.
E come ogni buon viaggiatore che sa cosa mettere in valigia a seconda della meta da raggiungere, l’operatore sanitario che lavora in carcere deve prevedere un piccolo bagaglio a mano, inseparabile, da avere sempre nella cappelliera, con dentro la rara capacità di essere NESSUNO.
Nell’istituto, all’interno del quale, sempre e comunque, viene garantito che la legge sia uguale per tutti, esiste un posto in cui anche il diritto alla salute è uguale per tutti. La differenza, rispetto ad un reparto ospedaliero in cui già l’insegna delimita le categorie di pazienti dei quali ci si prende cura, consiste nel fatto che in carcere non esistono categorie di pazienti. Piuttosto, per la società esistono categorie di detenuti, avendo il circuito giudiziario evidente necessità di denominare il reato in relazione allo sconto di una pena. Proprio in questo contesto nasce la necessità di essere capaci di essere NESSUNO: per quanto le informazioni di natura legale e giudiziaria siano altro rispetto alla necessità di sostenere la salute, tuttavia spesso queste prime determinano eventi e stati d’animo che influenzano il mantenimento della seconda.
In quale modo l’operatore è dunque tenuto ad essere NESSUNO? Nell’evidenza che il giudizio viene fornito dagli organi competenti e nell’astensione dal giudizio morale di fronte alla necessità di prendersi cura di un paziente, sia qualora la dimensione della salute richieda accertamenti di natura fisica, sia qualora l’attenzione sanitaria debba volgersi alla sfera psichica, considerando quindi la persona nella sua totalità ed interezza. La persona che ha infranto la legge e sta scontando una pena si pone, obbligatoriamente, nella condizione di dover colmare un divario tra se stesso e la società al fine di poterci rientrare da persona libera, idealmente con le facoltà adatte a non ricommettere reati.
E l’operatore, in assenza di giudizio, è tenuto ad essere parte attiva in questo percorso così tortuoso e difficile. Sperimentare l’essere NESSUNO, tuttavia, rischia di far emergere alienazione nel momento in cui l’infermiere saggia la necessità di dover mantenere un’adeguata distanza professionale dai detenuti che, unitamente alla distanza sociale, possono sviluppare un senso di isolamento in una professione tipicamente ed intrinsecamente legata all’empatia.
Infine, frutto della necessità, l’operatore sanitario in carcere oltre che UNO e NESSUNO, è chiamato anche ad essere CENTOMILA.
Sebbene l’architrave sanitario sia sempre solido e imprescindibile, tuttavia accade che per meglio comprendere il panorama umano che ci si ritrova d’innanzi, si debbano a volte cambiare le prospettive. Può succedere, non di rado, che per la stessa circostanza sanitaria da prendere a carico servano approcci diversi, essendo differenti le persone coinvolte e differente il tempo che il detenuto si trova a vivere.
Il rapporto di fiducia tra personale curante e detenuto, già per natura così difficile da costruire, specialmente in un contesto di estrema diffidenza verso “l’altro”, è uno strumento prezioso che può permettere anche nei momenti di maggiore difficoltà durante la detenzione, di gestire contesti emotivi altrimenti inesplorabili.
La capacità di essere CENTOMILA, dunque, si riflette nell’adattamento e nell’adattabilità del proprio contributo sanitario alla molteplicità e mutevolezza delle situazioni presenti, comprendendo fragilità, difficoltà relazionali, mancanza di fiducia, prossimità ad eventi giudiziari stressanti e interazioni personali/familiari complicate. Cercando di dare ad ognuno secondo le sue necessità e chiedendo ad ognuno secondo le proprie possibilità, l’obiettivo di sostenere la salute in tutte le sue accezioni diventa possibile.
L’identità dunque dell’operatore sanitario, in parallelo al romanzo di Pirandello, si delinea come molteplice, poiché percepita in modi diversi dalle persone che lo circondano e poiché percepita dall’operatore stesso mutevole in relazione alle circostanze.
La complessità del ruolo, la molteplicità dell’identità, la percezione dalle varie prospettive, il rischio dell’alienazione e l’esperienza della distanza possono creare un conflitto interiore nell’operatore sanitario, che deve saper ben bilanciare l’etica professionale con le regole dettate dalle istituzioni e le aspettative della popolazione carceraria. E se per un attimo ci fermiamo a pensare a quanto l’essere uno, nessuno, centomila si sia riproposto nelle pagine della nostra vita, forse possiamo meglio comprendere questo passaggio del famoso libro di Pirandello dal quale si è preso spunto per questa riflessione:
«Compiamo un atto. Crediamo in buona fede di essere tutti in quell’atto. Ci accorgiamo purtroppo che non è così, e che l’atto è invece sempre e solamente dell’uno dei tanti che siamo e che possiamo essere, quando, per un caso sciaguratissimo, vi restiamo come agganciati e sospesi: ci accorgiamo, voglio dire, di non essere tutti in quell’atto, e che dunque sarebbe un’atroce ingiustizia giudicarci da quello solo, tenerci agganciati e sospesi ad esso, alla gogna, per un’intera esistenza, come se questa fosse tutta assommata in quell’atto solo.
– Ma io sono anche questo, e quest’altro, e poi quest’ altro! – ci mettiamo a gridare.
Tanti, eh già; tanti che erano fuori dall’atto di quell’uno, e che non avevano nulla o ben poco da vedere con esso. Un altro, dieci altri, tutti quegli altri che noi siamo o possiamo essere, sorgono a uno a uno in noi a domandarci come abbiamo potuto far questo; e non ce lo sappiamo più spiegare».
Forse il detenuto può essere anche questo. Ma in fondo questa è tutta un’altra storia. O forse, esattamente la stessa.
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