Urgenza di fermarsi a raccontare

Il Pronto Soccorso e la dimensione narrativa 

Negli ultimi decenni si è lavorato molto in Europa per costruire un’identità della Medicina di Urgenza. Nei Pronto Soccorso di Europa sono stati tracciati i profili di missioni e competenze, sono state condivise conoscenze, sono stati disegnati percorsi di diagnosi e cura, al fine di essere servizi sempre più preparati a rispondere alle molteplici esigenze di un numero crescente di pazienti. Lo sviluppo degli aspetti scientifici ed organizzativi del lavoro in urgenza ha messo in evidenza le numerose difficoltà, ma anche il fascino, di una disciplina trasversale, sempre più stimolante all’applicazione e all’apprendimento per medici ed infermieri. La medicina di urgenza è andata via via perdendo il carattere di impiego “pro tempore” che aveva nei decenni precedenti per la maggior parte degli operatori.  

Tutto questo è ed è stato ampiamente comunicato dalle società scientifiche, da alcuni media e dalle trasmissioni di settore, con grande impegno dei dirigenti che vogliono disegnare il nuovo profilo della medicina di urgenza e far conoscere una moderna e attiva realtà lavorativa, dinamica, efficace, ricca di stimoli. Tutto vero! Tutto ha ripreso energia attorno alla luccicante della “buona vecchia” insegna rossa “Pronto Soccorso”, sempre accesa e ben visibile di giorno e di notte!

L’insegna che abbiamo imparato a conoscere anche attraverso una fiorente produzione televisiva, che, “ante litteram”, ha messo in scena un lavoro dinamico ed emozionante ma non privo di una dimensione narrativa.

La narrazione in un Pronto Soccorso… Il termine narrazione evoca l’assunzione di un tempo per raccontare… se chiudiamo gli occhi la narrazione sembra aver poco a che fare con i tempi rapidi e le emergenze… Apparentemente un ossimoro nella rappresentazione mentale di molto Pronto Soccorso!

Molte volte, al di fuori dell’ Ospedale, ci si imbatte in domande che tendono a soddisfare la curiosità di un lavoro scandito dalla fretta e dalla necessità di esaurire in un respiro il rapporto con il paziente.

Accanto a ciò, esiste una dimensione assolutamente ricca di contenuti, che, fortunatamente, sta acquisendo sempre più importanza anche in ambito formativo per medici ed infermieri ed altri operatori del pronto Soccorso. In quindici anni di lavoro esclusivo in Pronto Soccorso condiviso con molta gente, mi è più volte capitato di interrogare i colleghi sulle ragioni della scelta di un lavoro tanto particolare, amato o odiato.  

Che cosa ti piace del Pronto Soccorso? (Piccolo sondaggio in cucina-settembre 2024) 

Il ritmo… è la risposta che un moderno questionario telematico vedrebbe svettare tra le tante possibili risposte; veloce, netta, quasi dicotomica, un po’ tagliente… colorata! Che cosa intendi con “ritmo”? Un rapido scorrere di pazienti, fogli, terapie, domande, soluzioni e problemi… ma anche… il susseguirsi di emozioni ed azioni a varia intensità. Nel ritmo ricade un po’ tutto… la “non noia”… il rumore familiare del monitor… del tempo che scorre in sala di attesa… la passione di imparare… le tante attività infermieristiche, le discussioni inevitabili in situazioni di tensione… il susseguirsi di giorno-notte-giorno-notte, avvicendarsi di medici e infermieri… consegne… 

A me però viene alla mente anche… (io… davanti alla porta di un Pronto Soccorso) 

La porta… spesso scorrevole… che si apre: la porta, sempre pronta ad aprirsi, illuminata dall’insegna di un colore rosso vivo; entrare, uscire, fogli tra le mani… rassicurazione su alcuni volti, apprensione su altri… sorrisi, delusione e… «grazie dottore/dottoressa… infermieri… signori dell’accettazione… come siete impegnati!». Si immaginano camici bianchi, divise colorate, suoni, volti impegnati, intensità. Questa porta unisce gli attori di un piccolo popolo che sembra esistere per un tempo limitato così com’è perché non potrebbe esistere nello stesso modo in nessun altro luogo o momento. Alcune ore, scambi di emozioni, parole e attività, che potrebbero essere dipinti e immortalati, nell’urgenza, nel dolore, nell’aiuto, nella banalità e nelle mille situazioni umane che costruiscono la narrazione del Pronto Soccorso. Chi ha sperimentato notti intense, piene di questa umanità, notti a volte ricordate anche con disappunto, sa che questo piccolo popolo, fatto di pazienti e operatori sanitari è esistito e ha vissuto situazioni che sono diventate strumenti di conoscenza preziosi, bagaglio di esperienza insostituibile. Il sorgere del sole, che lascia finalmente tempo alla stanchezza e alla riflessione, non può eliminare queste vicende, le fa sembrare solo un po’ lontane, ma ancora forti come un sogno che ha l’urgenza di essere narrato. Ed è proprio la narrazione la risposta meno svettante, più fluida e più cronica che rende speciale questo lavoro.

Che cosa è la narrazione per il medico, l’infermiere e l’operatore sanitario dell’accoglienza in Pronto Soccorso?

Innanzitutto, uno strumento prezioso. Il primo approccio alla diagnosi, un mezzo di accoglienza e di informazione, mai superato da altri approcci alla persona. Durante la propria formazione, il medico che intende lavorare nell’urgenza apprende strumenti semplici quanto potenti di comunicazione e relazione con il prossimo. Viene insegnata l’importanza di domande semplici: «Che cosa si aspetta da noi?». Ovvero che bisogno ha e perché ha pensato che proprio io, in questo pomeriggio carico di pazienti, in questa notte silenziosa, in questo mattino di sole, possa aiutarla? CHE COSA CONOSCI DI QUESTO POSTO, CHE COSA TI ASPETTI? NON SAI QUELLO CHE NON POSSIAMO DARTI, MA CHIEDI A ME…

Io in che cosa posso esserle utile?

Un inizio di narrazione che ha il forte potere di unire, medico, paziente, infermiere e altre figure di supporto. Sembra dire: siamo insieme, in un posto neutro, aperto a me, a te e a chiunque abbia bisogno, RISOLVIAMO INSIEME IL TUO QUESITO. La narrazione è anche un mezzo di cura per i pazienti e per gli operatori sanitari. 

In un articolo di alcuni anni fa pubblicato su un noto quotidiano italiano, un esperto medico di urgenza, attivamente operante nella formazione nazionale del tempo, si definiva un medico della società (De Iaco 2014). Un medico della società… la definizione che dovrebbe essere un capitolo dei tanti libri dedicati all’urgenza.

Che cos’è un medico della Società?

È innanzitutto un medico che accoglie: il disagio della patologia somatica e psichiatrica acuta, che spesso urlano la richiesta di aiuto, accanto al più silenzioso dolore da abbandono e violenza, richiedono una risorsa ulteriore alla semplice competenza di gestione medica, sociale e legale. Spesso la capacità di acquisire la fiducia e di creare una relazione con i pazienti in determinate situazioni richiede un passo ulteriore, la capacità di mettere in gioco le proprie fragilità, sentirsi fonte di aiuto, cura e contenimento della sofferenza e, contemporaneamente, solo una semplice persona che in questo breve dramma si trova dall’altra parte della soglia della porta vicina all’insegna rossa.

Sentire il malessere della società come una questione che ci riguarda, che vive con noi queste ore di assistenza a situazioni che forse non avremmo immaginato di vedere, è il primo passo per iniziare la narrazione nel dialogo con il paziente.

Narrare diventa fondamentale, narrare se stessi e il proprio ruolo, comunicare l’appartenenza a questa società diventa uno strumento di cura essenziale. Lasciare il paternalismo medico, affrontare con fermezza e delicatezza condizioni umane estreme, agire in modo etico… sono sfide che vengono affrontate mettendo in campo le proprie risorse di empatia e di umanità. In un tempo breve, funzionale all’urgenza, ma, al momento stesso, nella dimensione estesa della narrazione che passa attraverso gesti e parole. La posizione, la tensione del corpo, la dimostrazione delle proprie emozioni, siano esse paura, comprensione, solidarietà o altro, sono lo strumento di relazione con alcune situazioni spesso sorde, ma potenzialmente o effettivamente altrettanto gravi quanto le urgenze che riguardano organi vitali. 

A chi narrare? A se stessi, ma anche ai colleghi per condividere le esperienze e costruire il proprio bagaglio culturale di umanità e non solo di medicina.

Narrare alle persone che condividono questo lavoro intenso e stancante ma anche affascinante; comunicare paure, gioie, momenti di rabbia inaspettati. Sempre più gli operatori sanitari dell’emergenza-urgenza sono chiamati a comunicare le proprie esperienze e le proprie emozioni, i propri dubbi ed errori. La comunicazione tra operatori è guarigione e senso di appartenenza a quel piccolo popolo che vive sulla soglia del pronto Soccorso e che ha da raccontare molto sull’umanità.

E a questo popolo che mi ha accompagnata in tante notti e tanti giorni difficili dobbiamo la nostra crescita umana e professionale, la nostra capacità di vivere la società con gli occhi di chi è pronto a tendere la mano – come si dice – per deformazione professionale di medico della società.

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Una risposta a “Urgenza di fermarsi a raccontare”

  1. Ivan Tritto

    La Dott.ssa Salvadeo mostra in questo articolo tutto il bagaglio umano e professionale richiesto ai medici e agli operatori del Pronto soccorso, con uno sguardo che coinvolge tanti aspetti che noi semplici utenti spesso non teniamo in considerazione. È importante che ci sia questa comunicazione, per assottigliare le distanze tra medici e pazienti, i quali hanno bisogno di essere non soltanto curati ma anche accolti con umanità. Gli stessi a loro volta dovrebbero tenere in mente che anche dall’altra parte ci sono persone in carne ed ossa, che sacrificano il loro tempo (spesso notturno) in un andirivieni di passaggi, presenze, urla di dolore e richieste d’aiuto. Ringrazio la Dottoressa Salvadeo per l’ottimo articolo, una finestra aperta sul duro lavoro di medico del Pronto soccorso.

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Un pensiero su “Urgenza di fermarsi a raccontare

  1. Ivan Tritto dice:

    La Dott.ssa Salvadeo mostra in questo articolo tutto il bagaglio umano e professionale richiesto ai medici e agli operatori del Pronto soccorso, con uno sguardo che coinvolge tanti aspetti che noi semplici utenti spesso non teniamo in considerazione. È importante che ci sia questa comunicazione, per assottigliare le distanze tra medici e pazienti, i quali hanno bisogno di essere non soltanto curati ma anche accolti con umanità. Gli stessi a loro volta dovrebbero tenere in mente che anche dall’altra parte ci sono persone in carne ed ossa, che sacrificano il loro tempo (spesso notturno) in un andirivieni di passaggi, presenze, urla di dolore e richieste d’aiuto. Ringrazio la Dottoressa Salvadeo per l’ottimo articolo, una finestra aperta sul duro lavoro di medico del Pronto soccorso.

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