Bussole, mappe e isole: strumenti per continuare il cammino

Riflessioni sull’anno passato e su quello che verrà della poeta Stella N’Djoku 

Sono i primi giorni dell’anno. 

Tempo di bilanci, di bilance e, forse, di buoni propositi. Forse. Perché quest’anno ho deciso di non farne. Le diete falliscono sempre, così come le buone intenzioni di diventare ordinati, di smettere una cattiva abitudine, di leggere almeno un libro a settimana… In questo 2023, non ho tenuto un’agenda cartacea e ho cercato di stampare meno fogli possibili, così come ho anche deciso di non avere più nessun oggetto di plastica in casa mia: ma quello che sono riuscita a fare – e anche quello che ho fatto e basta – nel 90% dei casi, non era nei piani. E mentre penso al “non essere nei piani”, mi torna in mente l’incipit di Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci, un libro letto circa quindici anni fa, quando iniziavo il liceo, e che ancora mi riecheggia nella mente per la sua poetica.  

Eccola, la vita che accade: «Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla. Me ne stavo con gli occhi spalancati nel buio e d’un tratto, in quel buio, s’è acceso un lampo di certezza: sì, c’eri. Esistevi. È stato come sentirsi colpire in petto da una fucilata». Ogni volta che rileggo questo inizio, accade che mi sento lì, insieme alla protagonista del libro, mentre le si accende un lampo di certezza: il fatto che ciò che ora c’è, non era nei piani. 

Quest’anno l’ho imparato, come si impara che il fornello è caldo perché ci si appoggia la mano: grande è lo smarrimento del bimbo che vede la sua manina rossa, che si gonfia pian piano per l’ustione. Mi ci rivedo, bambina, che cerco di capire le cose della vita, guardando le montagne farsi più vicine, mentre dondolo le gambe sulle altalene. Tutto accade e io cresco e continuo a cercare una direzione, a correre in tutte le direzioni. È come una forza centrifuga che ogni tanto porta a perdersi, a perdere il mio baricentro. 

Forse per tutti quest’anno è stato un anno di ricerca; i titoli dei vari festival che ho seguito sono stati per me una specie di pista: L’ultimo spenga la luce (Chiasso Letteraria), Mappe (Elba Book Festival), Isole (Babel): uscire, prendere una bussola, approdare su un’isola. 

Anni fa, mentre mi appassionavo e imparavo lo spagnolo, avevo letto Brújulas que buscan sonrisas perdidas, ovvero Bussole in cerca di sorrisi perduti: a un certo punto, durante un dialogo, uno dei protagonisti chiedeva all’altro se avrebbe voluto far parte del suo “arcipelago della sincerità”. Arcipelago: «Aggruppamento di isole abbastanza vicine tra loro e spesso con caratteristiche morfologiche affini.
2. stens. o fig. Raggruppamento vistoso e irregolare di cose affini: una gran sala ch’era un arcipelago di tavolini divani e poltrone» (Bontempelli).

Io, in quest’anno appena trascorso, sono dovuta andare su un’isola per ritrovare me stessa, lasciando tutto il mio superfluo e il mio disequilibrio al mare e attorniandomi di altre piccole isole come me. Ho imparato a non fuggire da me e ad ascoltare la mia voce, a non aver paura di respirare a fondo e soprattutto a non aver paura di lasciar andare e di perdonare. Dove sono ora tutti i buoni propositi che mi ero prefissata? Dove le agende colorate e i pennarellini, dove i cinquantadue libri e le ricette fit che sembrano fat? Dove sono questi propositi se, prima, non so chi sono io e dove sono? E cosa voglio, io? 

Se ci penso un po’ su, probabilmente potrei trovare almeno 365 cose che ho imparato quest’anno: una al giorno, nel più parco dei casi. Probabilmente sono di più, ma dovrei rifletterci un po’ su. Sicuramente, le cose più importanti che ho imparato sono che il mondo è più complesso di quanto creda; che sono un essere umano; che il perdono è un regalo che faccio agli altri e a me stessa; che ascoltarmi ed essere gentile con me stessa è il primo passo per la rivoluzione e che sedermi, abbracciarmi e dirmi che per me ci sarò sempre è il modo migliore per dirmi “eccomi, sono a casa!”. Perché, dopo aver spento la luce, aver preso la bussola ed essere andati in cerca della propria isola, è anche necessario avere un luogo, uno qualsiasi, interiore, in cui guardarsi, avere tenerezza per se stessi e dirsi, “eccomi, ho tanto viaggiato, ho tanto cercato, ma sono tornato. Sono io la casa che avevo abbandonato”. 

L’unico augurio e buon proposito che mi e vi faccio, per questo 2024, è di essere dei girasoli, ancora e sempre, in cerca di voi stessi e della luce! 

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