Dove sempre germoglia la giovinezza

Terre di ghiaccio, terre di fuoco e terre di vento 

Forse l’incanto si rinnova, forse il mistero della Vita si risveglia quando la giovinezza sul suo “cavallo dorato” apre alla Vita e inaugura pensieri e armonie sulla Vita, con la Vita, in favore della Vita. Una condizione che ci fa tutti “giardinieri” in quello che potremmo chiamare: “giardino del vivere”. Un giardino che ospita l’esistenza di ognuno di noi, fratelli nel destino della Vita e delle Vite, del Mondo e dei Mondi. In quel “giardino” che è null’altro che la nostra quotidianità «tentiamo la vita vera» – come scrive François Jullien – cerchiamo la luce, troviamo la luce, proteggiamo la luce come gesto di cura verso noi stessi, gli Altri e il Mondo. Un giardino che ci fa – come scrive Chandra Livia Candiani – «ortolani delle nostre vite» nell’incanto di ciò che nasce e si risveglia: “ortolani della vita” per una buona Cura della Vita in tutte le sue forme e in tutti i suoi cammini, cammini come crocevia di incontri e di stupori. 

Per fare del dialogo con i nostri figli ma anche con noi stessi un “crocevia di cammini”, parafrasando una felice espressione di Edmond Jabès, bisogna che si sveli il segreto che questo tempo giovane contiene. È il segreto della giovinezza, che può tracimare dal boccale di ogni età, che può morire ma anche risorgere in ogni età. La giovinezza dal passo veloce, dal gesto stupito, dalla felicità fugace, che niente può veramente classificare. Non è riducibile alla pubertà o all’adolescenza o alla gioventù, ma è qualcosa d’altro. Non è un pensare o un curare la Vita, come se fosse un astratto oggetto di studio, ma un agire nella Vita e con la Vita, come suggerisce Hannah Arendt nella sua “vita activa”. Lavorare a favore della vita, operare per la sua fioritura e agire per ostacolare la non-vita, che ci assedia. Questa per ognuno di noi la sfida dell’esistenza. Per far nascere il germoglio della giovinezza, che non ha età, nel tempo delle nebbie, delle faticose salite come delle spericolate e rischiose discese, affinché la luce trovi una fessura, come recita un verso di Anthem di Leonard Cohen, per illuminare il cammino di ognuno di noi, ci serve, accanto alle mirabilie della tecno-scienza o all’ordine “prigioniero” della Datocrazia, abitare la capacità nuova di in-cantare i nostri gesti, i nostri sguardi, le nostre parole. Ci serve – come scrive Christian Bobin – abitare poeticamente il mondo. 

 

Suonate le campane che possono ancora suonare 
Dimenticate la vostra offerta perfetta 
c’è una crepa in ogni cosa 
È così che entra la luce. 
È così che entra la luce. 
È così che entra la luce.
(Anthem, Leonard Cohen)  

 

Parole come gesti che ci accompagnano, parole dette da un fratello ad un fratello. E la luce allora! È nelle parole di David Grossman nel suo Che tu sia per me il coltello (1998) che trovo una traccia di quella luce, che offre Vita alla Vita. Una luce che ci abita come quel misterioso “ossicino” o “nocciolo” di immortalità, chiamato nella tradizione ebraica, ma non solo, luz, che forse – come scrive Grossman – non sta solo dentro di noi, ma è anche in chi incontriamo, in chi si fa prossimo, in chi condivide con noi la meraviglia della Vita. Molte sono le parole che provano a descrivere quella dimensione dell’esistenza umana, che chiamiamo Vita, nell’incontro con il suo tempo giovane, là dove la giovinezza non ha età. Un tempo senza veramente tempo, anzi un tempo capace di tenere in scacco il tempo, che snocciola inesorabilmente i suoi giorni, come fosse una sorta di brezza, che percorre la Vita su e giù senza arrestarsi sino al calare del sole dietro le montagne della vita stessa.  

Se la pubertà parla delle mutazioni psico-biologiche, se l’adolescenza racconta il travaglio interiore, che appartiene ad una determinata età (anche se oggi parliamo sempre più di adolescenze tardive e persino di società adolescentomorfe), come fosse una tappa di un percorso di costruzione dell’interiorità e dei suoi rapporti con le forme dell’Io espanso nella realtà, se la gioventù è dispositivo soprattutto sociologico, che stabilisce comportamenti sociali e valori di una certa età e se insieme sono dimensioni necessarie per la costruzione di una identità, la giovinezza è altra cosa. Essa è l’anima di quello che chiamo qui il tempo giovane. È infatti tempo esistenziale, tempo che non ha tempo e che ha sempre tempo per riapparire. Un tempo in cui e da cui si parte, sempre e comunque. La giovinezza è così l’esperienza a volte meravigliosa e felice, altre dolorosa dell’inarrestabile “venire al mondo”. Il tempo giovane appare così come una sorta di navigazione aurorale che ospita e inaugura la giovinezza, come fosse il suo soffio. Soffio dell’anima, che vola oltre, che cerca il suo oltre. Vi è come una tensione creativa tra la radice e il volo che la giovinezza sperimenta. «La radice – scrive Vinicio Capossela – è il ramoscello ove si posa l’anima che vola via». La giovinezza sta inquieta come fosse su di un filo da acrobati, tra il desiderio del viaggio, dello scoprire il nuovo e la casa a cui tornare, la nostra personale Itaca. Ma quella casa con il passare degli anni è ammantata di nostalgia, a volte di dolore per le cose perdute e quelle Colonne d’Ercole, che avevano tentato anche Ulisse, nostro progenitore, stanno oramai lontane e impraticabili. La giovinezza è la brezza di mezzo. Ascoltiamo il poeta Attilio Bertolucci in La neve: «Come pesa la neve su questi rami/ come pesano gli anni sulle spalle che ami/ L’inverno è la stagione più cara,/ nelle sue luci mi sei venuta/ incontro/ da un sonno pomeridiano, un’amara/ ciocca di capelli sugli occhi./ Gli anni della giovinezza sono anni lontani».  

Eppure, pur costeggiando amaramente le rive della nostalgia, proprio quando gli anni si fanno pesanti, quando il tempo si fa breve, quando l’orizzonte si fa stretto, proprio là, una brezza può riprendere a soffiare. La giovinezza non è partita, non si è lasciata sconfiggere dal tempo, ma lo ha sfidato all’ultima partita. È stata forse lontana, tanto da dimenticarla nell’ultimo vagone di un treno in cui l’avevi smarrita, ma ora è qui negli occhi che guardano il mondo lasciandosi ancora sorprendere, nella mano di chi ti sorregge e ti accarezza, nelle parole che danno musica all’esistenza. Su quel bagnasciuga della vita una nuova conchiglia scompiglia il tuo sguardo, è il soffio della giovinezza, che sa tornare per salutare per un’ultima volta la vita. Chiediamoci allora che cosa sia veramente la giovinezza e il tempo giovane che la ospita? Quali i suoi indicatori esistenziali?  

Una premessa. Se la vita fosse organizzata, nietschianamente, secondo due dispositivi fondanti, quello apollineo e quello dionisiaco, quello dell’ordine e quello del caos, allora potremmo dire, tanto per iniziare, che la giovinezza è certamente più figlia della dimensione dionisiaca dell’esistenza, che di quella apollinea. Mettiamola ad esempio in rapporto con lo spirito della famiglia, con l’Itaca a cui ognuno torna e che abita in ognuno di noi. Se la giovinezza è partire, cercare il fuori, il mare aperto più che il camminato, se è aurorale e ha sorgente nell’alba, la nostra Itaca è al contrario desiderio del dentro e dell’intimità, è gestione del tramonto. Se la giovinezza cerca l’evento, la sorpresa, il nuovo, la conquista, se è viaggio verso l’Altrove, se è avventura e a volte rischio, se è velocità, discontinuità, immediatezza, invenzione dei corpi, Itaca vuole al contrario la stabilità, il già conosciuto, è custode della memoria, è protezione e sicurezza, è abitudine, è cura del tempo lento, dell’attesa della continuità dei legami e dei valori, è governo dei corpi.  

Le due a volte si scontrano, altre dialogano per costruire l’equilibrio della felicità che sta tra sicurezza e rischio, tra emozione e sentimento, tra presenza e assenza, tra scoperta e conservazione, tra sorpresa di fronte al nuovo e ritrovamento di ciò che è già stato. Il tempo giovane contiene entrambe, dalle spiagge dell’adolescenza burrascosa alle prime certezze identitarie del giovane adulto sino alle terre della sera, quando ci si prepara al lungo viaggio di cui nessuno sa e tutti sperano.  

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