Il cuore che custodisce il battito dell’anima

Postilla di “cardiologia immaginale”  

«Amo quando la natura mi circonda da ogni lato per poi aprirsi in lontananza all’infinito e ho l’impressione di farne parte». (Lev Nikolaevic Tolstoj, 1857)   

Amo quando sento nel cuore il battito dell’anima, che abita nei territori del mistero e lo sento nella musica dei cieli e della natura.  

Approdiamo a Teshima, piccola isola nel Sud-Ovest del Giappone dove – racconta Laura Imai Messina in un suo bellissimo libro, L’isola dei battiti del cuore – vi è l’Archivio delle pulsazioni dei cuori (rif. 1), abitato dai molti mondi in cui ha casa il nostro cuore.  

Sin dal tempo che sta alla sorgente della nostra storia di uomini ci si è posta questa domanda: da quanti cuori siamo abitati e quanti ne può contenere la nostra stessa vita? I medici sacerdoti egizi, influenzando in seguito anche la tradizione ippocratica e biblica, ad esempio, sapevano distinguere due cuori di uguale dignità diagnostica e terapeutica. Usavano il termine haty per parlare del muscolo cardiaco e distinguerlo da ib, cuore come casa dell’anima e dei desideri. Nella Bibbia il cuore è luogo dell’incontro con Dio perché la conversione avviene sempre in esso.  

Il cuore che pulsa – e che la medicina sa oggi meravigliosamente mostrarci – è dunque il solo cuore sulla scena della nostra esistenza di uomini? Un cuore rimasto muscolo, pompa, stazione emo-ferroviaria dei flussi circolatori. Un cuore senza più anima? Ma forse le cose non stanno veramente così. 

L’anima sloggiata dal suo centro e trasferita sotto falso nome nel funzionamento cerebrale non è veramente perduta, è solamente più sola. Quanti oramai i sintomi individuali e collettivi, i messaggi nella bottiglia di questa anima persa, vagabonda e a volte prigioniera delle sostanze cerebrali o delle immagini della tecno-medicina. La forza misteriosa del principio vitale, quella che sentiamo nel suo battere, nel suo pulsare, nel registrare pianure di gioia e mari di tempesta, nel suo accompagnarci nel grande oceano delle emozioni come fosse un testimone di prima linea, continua però a stupirci. È come il segno di un tempo lontano, di qualcosa che lega quel battito proprio allo scorrere del tempo della vita, alle sofferenze e alle passioni della vita. Un battito che è tempo umano. Un battito del cuore che è un battito del tempo e del ritmo in cui siamo e stiamo nell’esistenza umana.   

Il cuore è stato il campo di battaglia della stessa medicina dei corpi sin dall’antichità, una battaglia tra gli emocardiocentristi come Empedocle e la scuola ippocratica dell’isola greca di Cos (ca. 460-377 a.C.) e gli enfalocentristi; in altre parole, tra coloro che pensavano che il centro della vita, dei desideri, dei pensieri, del coraggio, dell’essere messaggeri tra gli umani e gli dèi stessi fosse appunto il cuore e il sangue e coloro, al contrario, che difendevano – sin da Alcmeone di Crotone, padre dell’anatomia, nel VI secolo a.C. – la centralità del cervello. Una battaglia che ha attraversato tutta la storia della medicina e che oggi sembra vinta, grazie alle scoperte delle neuroscienze e della psicologia cognitiva, dagli enfalocentristi.  

Il cervello è la sede della coscienza, ma lo è anche dell’anima? Questa la mia domanda, perché ritengo che parole come mente, cervello e anima o spirito non siano esattamente la stessa cosa. Mentre l’uomo le sente pulsare, ne percepisce il tono e il ritmo, la fatica e il dolore, la gioia e la felicità attraverso di esse. Sono come ospiti che si sono fatti familiari. Ma a volte possono ammalarsi, essere ferite, sconfitte, possono gridare il loro dolore separatamente o tutte assieme. L’arte della cura è quella che le sa distinguere, che conosce i loro linguaggi, che sa dialogare con le loro estraneità e le loro familiarità.  

Il cuore e la sua parola vive uno strano paradosso, che ci segnala che la battaglia di cui parlavo non è ancora conclusa. Sappiamo oggi scientificamente che il cervello è il centro della coscienza, del pensiero, delle emozioni, dei gesti e persino della nostra etica: è lui che sa distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il vero dal falso. Ecco perché quando il cervello si ferma noi siamo morti, anche se il cuore continua a battere. Eppure, quando parliamo di pensieri, di emozioni, di atti, di scelte, noi continuiamo quotidianamente ad affermare di pensare con il cuore, di sentire con il cuore, di amare con il cuore, di decidere con il cuore, di agire con il cuore, di parlare con il cuore, anche se ben sappiamo che è la testa e il suo funzionamento a regolare e a governare il tutto. Eppure, quante parole fanno tornare il cuore al centro della vita e dell’esistenza: ri-cordare, con-cordare, ac-cordare, scordare e persino coraggio (coraticum, cor habeo, avere cuore); sempre parole che sembrano figlie dimenticate del cuore (cor cordis) nella terra oramai dominata dal cervello.  

È come se, curando il cuore, avessimo svelato una sorta di cardio-anatomia e di cardio-fisiologia immaginale (rif. 2), capace di parlare del cuore spezzato dall’amore, del cuore felice, del cuore offeso, del cuore furente, del cuore che piange i suoi morti … È come se il cuore si prendesse nel linguaggio quotidiano una sorta di rivincita.  

Se il curante parla con il linguaggio del “cervello”, quante volte il paziente parla invece con il linguaggio e la vibrazione del cuore? Da quel cuore sgorga la tenerezza, che è grazia e fragilità dello sguardo, leggerezza e nello stesso tempo forza del gesto, come l’abbraccio di una madre, dolcezza della parola che ritrova l’acustica dell’anima. Una tenerezza dentro cui non si è più soli, un vero e proprio pharmakon contro l’abbandono a cui ti consegna la malattia e spesso la stessa terapia; una tenerezza che è rifugio, ma anche ostello, in cui ospitare presso di noi, vicino a noi, dentro di noi chi ci si avvicina nel momento del dolore. Presenze che a volte stanno oramai lontane nella memoria, ma che continuano a dimorare nelle parole del cuore, nel gesto di ac-cordare, con-cordare, ac-cordare, s-cordare, coraggio (cor cordis, cor habeo), avere cuore, prendere a cuore, avere a cuore … a vivere nella Vita. Il cuore e il battito dell’anima che contiene, custodisce questa Vita in contatto con il proprio fanciullo interiore, aprendosi alla mirabilia del mondo e alla possibilità, come scrive Christian Bobin , di «abitare poeticamente il mondo».  

2 pensieri su “Il cuore che custodisce il battito dell’anima

  1. Julia dice:

    Sono arrivata su questa pagina mentre stavo cercando il rapporto tra mente e cuore e ho trovato pura poesia.
    Ho riletto l’articolo almeno quattro volte.. Un balsamo.
    Grazie

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