Il diritto di ricordare

Il diario paziente come strumento di cura 

La medicina oltre la scienza
La medicina ha fatto enormi progressi nella sua capacità di trattare e curare malattie complesse. Tuttavia, la cura di un individuo non può basarsi esclusivamente sulla scienza; l’arte della medicina risiede nella sua capacità di trattare l’individuo nel suo complesso e nella sua individualità, riconoscendo non solo i suoi sintomi fisici, ma anche la sua storia, le sue emozioni e il suo contesto culturale e sociale. Le Medical Humanities esplorano questa interconnessione tra medicina e umanità. Esse sottolineano l’importanza delle storie individuali, riconoscendo che ogni paziente porta con sé un’intera narrativa che può influenzare la sua esperienza di malattia e guarigione. 

 

La terapia intensiva
Il ricovero in terapia intensiva può essere vissuto come evento stressante, caratterizzato da criticità e instabilità che impongono manovre di monitoraggio invasive. Sedazione e delirium sono fattori che accentuano l’impossibilità di ricordare la degenza o di averne memoria lucida. La mancanza di ricordi e la presenza frammentata di essi possono prendere forma in stati di ansia e depressione dopo la dimissione. Queste hanno un impatto devastante sulla persona e sulla sua qualità di vita, che inevitabilmente ricade su tutta la famiglia.  

Nel 2010 la Society of Critical Care Medicine conia il termina PICS (Post intensive Care Syndrome).

Si tratta di una condizione che può insorgere a seguito di un lungo periodo di degenza in terapia intensiva. È caratterizzata da una serie di sintomi fisici, cognitivi ed emotivi che possono includere: disturbi del sonno, ansia, depressione, flashbacks o ricordi intrusivi della degenza. Le sequele invadono la sfera quotidiana e umana in tutta la sua totalità creando importanti difficoltà al ritorno alla vita di tutti i giorni. Sorge dunque spontaneo chiedersi quante siano le persone che sviluppano la sindrome? A tre mesi dalla dimissione: 46% presentano ansia, 40% presentano depressione, 22% presentano PICS (Hatch, 2018). Come professionisti, questi dati fanno insorgere una riflessione sul proprio operato portando a chiederci quali siano i fattori scatenanti alla base di questa sindrome? Perché alcuni la sviluppano e altri no? 

 

L’assenza di ricordi
Non mi è insolito chiedere alle persone che assisto se hanno dei ricordi del periodo di coma farmacologico. Le loro risposte hanno suscitato in me estrema curiosità. I ricordi sono spesso macabri; come nel caso di X che, dopo cinque giorni di sedazione e ventilazione meccanica, dopo la sua estubazione alla mia domanda «hai dei ricordi?» mi rispose «un fiume di sangue che trasportava cadaveri». Altri scambiano le manovre di bronco aspirazione come veri atti di soffocamento. Se a queste convinzioni non vengono fornite delle risposte razionali, rischiano con il tempo di sfociare in affezioni maggiori come stati d’ansia e depressione. Plurimi studi dimostrano che tenere traccia di cosa è successo durante il coma sedativo può riempire le lacune memoniche e meglio identificare come irrazionali alcune convinzioni legate al ricovero (Griffiths e Jones, 2009). La cura della PICS è molto complessa e richiede un misto di terapie psicologiche, psichiatriche e anche farmacologiche. Qualora si presentasse effettivamente questa sindrome, il personale curante non dispone oggi di informazioni relative al periodo di ospedalizzazione del paziente se non quelle relative alle cure somministrate; non potrà, quindi, avvalersi dei dettagli e delle particolarità del suo vissuto come paziente di Medicina Intensiva. 

Qui si inserisce il diario paziente un valido strumento di nursing narrativo che consente il racconto, con parole molto semplici, dell’assistenza fornita al paziente. Una “cronaca” da rileggere una volta a casa per elaborare quanto accaduto ed aumentare la consapevolezza del proprio stato di malattia.  

 

La narrazione
Ogni diario, come una storia ben articolata, presenta un inizio, uno sviluppo e una conclusione. Il paziente ne è l’attore principale, mentre la famiglia e il team medico rivestono ruoli di supporto nella narrazione. La “trama” del diario si snoda attraverso quello che il paziente percepisce come il “tempo della malattia” e l’infermiere come il “tempo della cura”. Anche se questi periodi si svolgono in parallelo, la loro percezione è unica per ogni individuo coinvolto.

Durante il corso della malattia, il paziente subisce una metamorfosi: la malattia lo sposta da una realtà familiare e quotidiana a un contesto eccezionale, segnato da profondi cambiamenti.

Per la famiglia è un importante fonte di informazioni, può diventare un luogo di rifugio. Scrivere può offrire loro un modo per elaborare e dare senso alla complessità delle emozioni che emergono quando un caro è in terapia intensiva. Gli infermieri credono che il diario sia vantaggioso per sé stessi e per la cura dei pazienti; tuttavia, si preoccupano delle reazioni negative del paziente nel leggerlo, tra cui il rivivere dolorosamente i momenti legati alla degenza. (Brandao Barreto et al. 2021).  

Oggi, le discussioni relative alle questioni etiche associate all’utilizzo del diario e alla tutela della privacy individuale sono effettivamente presenti. Prima di iniziare a utilizzare il diario, è essenziale ottenere il consenso del paziente o del suo rappresentante terapeutico. Inoltre, è consigliabile elaborare linee guida all’interno della propria struttura riguardo a criteri di inclusione ed esclusione all’uso del diario.  

 

Il diario paziente
Il diario del paziente nasce in Danimarca negli anni Ottanta come pratica infermieristica. È un documento scritto che racconta la storia clinica e personale del paziente durante il suo soggiorno in terapia intensiva. Può essere redatto da medici, infermieri, terapisti e altri operatori sanitari, ma anche dai familiari del paziente. Il contenuto solitamente comprende appunti quotidiani sulle attività svolte dalla persona, le reazioni emotive e gli eventi significativi. L’obiettivo primario è quello di dare un senso ai ricordi distorti che i pazienti riportano dal periodo di degenza, dimostrando effetti clinicamente significanti. Questo perché una volta compreso cosa è loro capitato durante i periodi di sedazione, possono riempire le lacune memoniche e meglio identificare come irrazionali alcune convinzioni legate al ricovero. Lo strumento si basa sulla medicina narrativa e il nursing narrativo, recuperando la narrazione come la base della relazione tra operatore e paziente.  

 

Conclusione
Il diario del paziente in terapia intensiva rappresenta un’innovazione nell’approccio umanistico alla medicina intensiva. Oltre a fornire una memoria storica degli eventi, favorisce la comunicazione, offre un supporto emotivo e permette una partecipazione attiva dei familiari nel percorso di cura.

Con l’adozione appropriata e rispettosa di questo strumento, la terapia intensiva può diventare un luogo non solo di cura fisica, ma anche di sostegno psicologico e umano.

Bibliografia

B. Brandao Barreto, M. Luz, S. do Amaral Lopes, R. G. Rosa e D. Gusmao-Flores, «Exploring Family Members’ and Health Care Professionals’ Perceptions on ICU Diaries: a Systematic Review and Qualitative Data Synthesis», Intensive care medicine, 47(7), 737–749, 2021.

R. D. Griffiths e C. Jones, «The Instensive Care Unit Diary and Posttraumatic Stress Disorder», Critical Care Medicine , 37 (6), 2009.

R. Hatch, D. Young, V. Barber, J. Griffiths, D. A. Harrison e P. Watkinson, «Anxiety, Depression and Post Traumatic Stress Disorder after Critical Illness: a UK-wide Prospective Cohort Study», Critical care (London, England), 22(1), 310, 2018.

 

3 pensieri su “Il diritto di ricordare

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