L’essenza terapeutica di due arti – Parte uno

Medicina e poesia nelle varie età della vita 

Secondo i padri della medicina, tra i primi doveri del medico, oltre al “medice, cura te ipsum”, c’è quello di ascoltare la voce di chi soffre. Si parla quindi di umanesimo della cura. Da qui si parte. I CARE – diceva don Milani – io tradurrei così: Io ho cura, aggiungendo di me e degli altri. Nel piccolo Ospedale zonale di Pietrasanta, ora inglobato nel grande Ospedale della Versilia, io ho mosso i miei primi passi sanitari. Ricordo un emblema della pediatria locale, un primario schivo amatissimo e sempre sorridente. Lui diceva di accarezzare il malato, non in senso metaforico ma reale. Di accarezzarlo anche con le parole, con il tono della voce, un dono per chi soffre e per chi lo assiste. Così facendo, aggiungeva, non c’è pericolo, come qualcuno può pensare, che il ruolo del medico perda in credibilità.  

Anche in questi tempi problematici i sanitari non hanno perso l’ideale. Ne sono convinta. Siamo stravolti dalla burocrazia, questo sì. Ma credo che ogni persona che si sia avvicinata allo studio della Medicina per farne una professione sia partita da questo presupposto: chi ci starà di fronte, chi chiederà una cura porterà in sé un microcosmo unico di materia ed energia mentale, cuore reale e cuore simbolico si affideranno a noi in virtù del primo istinto, la sopravvivenza, la libertà di esistere. Scacciare il dolore, ecco cosa dobbiamo fare. Chi soffre e riesce ad usare lo strumento della scrittura o di un’altra arte riceve un grande lenimento alla sofferenza. «Posso scrollarmi di dosso tutto mentre scrivo; i miei dolori scompaiono, il mio coraggio rinasce» (Anne Frank). 

Per quanto riguarda il mondo sanitario, oltre al piano terapeutico ufficiale, l’etica della professione invita dunque al “supplemento dell’anima” in una relazione d’aiuto. La comunicazione è alla base di ogni rapporto umano. Tracciamo insieme un fil rouge ideale tra le due arti, sanitaria e poetica. L’osmosi è possibile, è avvenuta fin dalla notte dei tempi: medicina, letteratura e arte si sposano e si compenetrano per un’attrazione naturale e istintiva. «Ma soprattutto egli era medico, un adepto della natura, un conoscitore del solido e del liquido, una mano benefica che donava pace a tutti coloro che si torcevano nel dolore. Inoltre era un calamo nella mano di Dio, uno scrittore di sapienza, queste due cose nello stesso tempo, non oggi medico e domani scrittore, ma questo in quello e l’uno insieme con l’altro, e bisogna sottolineare ciò, perché, a parer mio è di grandissima importanza. Medicina e letteratura s’illuminano vantaggiosamente a vicenda e, se vanno di pari passo, ognuna va meglio» (Thomas Mann, Giuseppe il nutritore – Cap. 1). 

Ippocrate di Coo, vissuto nel 440 A.C., scrisse il “giuramento” e fu primo a tramandare aforismi, parenti stretti della poesia. Un motivo ci sarà: entrambe, poesia e medicina, si manifestano attraverso un uso sensibile della parola in armonia tra bello e brutto, tra vita e dolore. Stimolare noi in primis, i nostri pazienti, i loro e i nostri familiari e amici con il piacere della scrittura e della lettura, vale come ansiolitico più di una dose massiccia di benzodiazepine, senza effetti collaterali. Fortunati i sanitari che sentono in sé e sanno cogliere come un dono l’ispirazione alla scrittura come liberazione incondizionata dello spirito per arrivare alla liberazione della fantasia, dei sogni, della poesia, manifestazioni di un mondo interiore personalissimo. Il carattere di un’opera – che sia pittura, scultura, poesia, musica – quando riesce ad influire sulla sensibilità umana, io lo definisco magico.  

La magia è parola ambigua, ci porta ad un punto di indeterminazione e proprio per questo di grande fascino. E mi piace molto. La poesia è magia e la magia ha una grande attrazione, a tutte le età. Le capacità emotive e relazionali si embricano con l’istinto di sopravvivenza e guidano e aiutano in tutte le età della vita e in tutti gli stati di salute. Di ogni comportamento del quotidiano esistere fisiologico e di ogni sintomo patologico dall’età infantile all’età geriatrica le capacità emotive, più o meno sviluppate, sono parte integrante. Attraverso il loro riconoscimento, il loro uso e l’invito all’uso, noi aiutiamo noi stessi e aiutiamo i nostri pazienti, familiari, amici e persone sconosciute a vivere, a rielaborare il vissuto, ad affrontare l’oggi e il futuro strutturando in modo naturale i mezzi più semplici messi a disposizione dalla nostra mente, fin dai primi anni della nostra esistenza anche in caso di malattia o decadimento, fin dai primi contatti con le patologie organiche o psichiatriche.  

La rielaborazione fantastica di storie e situazioni affettive, ma anche di sogni, di ricordi e di speranze può alleviare sia la fatica di crescere sia quella di accettare l’ineluttabilità del fine vita prossimo. Con l’uso sensibile della parola, sia parlata che scritta è possibile trovare una chiave di accettazione per ogni situazione, a partire da temi importanti quali l’abbandono, la nostalgia, la perdita, il tradimento, la paura, sia del dolore fisico che di quello psichico e la fatica di ogni cambiamento. Per fare tutto ciò bisogna imparare – e poi insegnare a nostra volta – fin dalla prima infanzia, a coltivare la fantasia, per tutta la vita. «Se volete che vostro figlio sia intelligente, leggetegli delle favole, se volete che sia molto intelligente leggetegliene di più» (Albert Einstein).  

Inoltre, bisogna aiutare a mettere in pratica alcuni concetti fondamentali: 

  1. La condivisione – anche in patologie con risvolti psichiatrici in cui proprio la mancanza di relazioni empatiche è uno dei sintomi i salienti, come, generalizzando, nella sindrome di Asperger. Anche gli Asperger hanno il loro circuito di parole da usare!  
  2. Rinforzare le radici, se ci sono, o imparare a vivere senza parlarne 
  3. Muovere la fantasia per esplorare il mondo e la vita che ci circonda.

A questo scopo tutte le forme d’arte sono le benvenute, dalla pittura, alla musica, alla danza. Uno dei mezzi artistici a disposizione è la poesia. Una forma d’arte nobilissima in cui si sviluppano in modo primario la nostalgia e la ricerca dell’assoluto insiti nella nostra specie umana. Noi, attori del nostro tempo, non udiamo le poesie nel corso di allucinazioni come è stato tramandato dai nostri avi, e non usiamo più la lira, ma abbiamo la netta sensazione, mentre poetiamo, di spostarci in qualche modo dal “qui e ora”. Come scrisse Goethe, «la poesia accade al poeta, non è creata da lui». Per arrivare a questo punto c’è da educarci a farlo, c’è una strada, volontaria o a volte istintiva, da percorrere in un viaggio che chiamiamo di esperienza creativa, in ogni età, in ogni stato di salute. 

Nell’universo poesia ci sono alcuni punti da conoscere, se possibile, anche a livello amatoriale. Intanto, la distinzione tra prosa e poesia. Entrambe sono cultura della comunicazione attraverso la parola ma: la prosa è logica e razionale, deve essere comprensibile senza sforzo di fantasia, è “orizzontale”. La poesia si rivolge all’intuizione, e al sentimento, è “verticale”. Sentimenti ed emozioni sono universali ed eterni. La poesia può cambiare genere e stile ma mantiene il suo valore nel tempo. Inoltriamoci ancora un po’ nell’universo POESIA. Oltre la sensibilità e l’ispirazione, è importante trovare: 

  1. l’armonia nei versi. Il verso è una riga di poesia, la sua unità è molto variabile, non esiste uno schema fisso come numero di sillabe, prevalgono, ora, i versi liberi; 
  2. il ritmo, cioè una sorta di cadenza musicale data sia dal numero delle sillabe che dagli accenti. A volte lento, a volte veloce e martellante, a volte alternato, a volte cantilenante, spezzato; 
  3. usare, consciamente o inconsciamente, figure retoriche, una gamma di artifici che contribuisce all’armonia e al ritmo. Uno per tutti, per me il più importante, è il correlativo oggettivo: sostituire alle descrizioni tradizionali una serie di oggetti, di luoghi, di cose che rivestono la funzione di rivelare i sentimenti e le emozioni dello scrivente: il contenuto diventa, per intero, una metafora. Il correlativo oggettivo venne riconosciuto con le altre figure retoriche nel corso della rivoluzione artistica di inizio Novecento, il famoso “Manifesto del futurismo”.

Ne seguì la corrente detta “modernismo”. Il caposcuola italiano fu Eugenio Montale, un genio senza laurea, premio Nobel per la letteratura, che seppe liberarsi dalle leggi poetiche tradizionali. E quindi aprire le porte della poesia a tutti. L’essenza dell’animo umano, attraverso il metodo del “correlativo oggettivo”, trionfa nei suoi versi, difficili e forse non immediati nella comprensione, ma le metafore che usa arrivano al cuore, commuovono e lì rimangono a lungo. Di Eugenio Montale, da Ossi di seppia vi invito a leggere Limoni, una lirica lunga e complessa da cui si eleva questo profumo di limone, il desiderio di leggerezza e di purezza, la ricerca della propria strada. Ecco la metafora: limone bello, colorato, ma succoso ma anche aspro, come può essere la vita.  

Quali sono le tecniche poetiche che invitiamo a mettere in atto e che rivelano la ricerca di catarsi, di liberazione, di consolazione? Innanzitutto, per quanto ci riguarda, poco importa se lo scritto abbia un valore poetico secondo i canoni di scuola. Quel che conta è cimentarsi e stare bene facendolo. I più diffusi modi di scrivere poesia a livello amatoriale sono: il monologo interiore, cioè il lavorio interiore con sé stessi e il flusso di coscienza, che esprime il susseguirsi di pensieri in un groviglio di emozioni. Ricordo che in poesia possiamo, in tutta libertà, sempre far uso di licenze poetiche e neologismi e, importante e non ultimo per valore, la poesia non conosce freni inibitori. 

Il contributo continuerà la prossima settimana con la pubblicazione della seconda parte. 

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