«Non parlo punjabi, ma so ugualmente come aiutarti»

Le barriere linguistiche e culturali in ambito medico esistono, ma non sono insormontabili quanto i limiti della nostra volontà di andare verso “l’altro”. 

Le barriere linguistiche possono rappresentare un ostacolo significativo nella comunicazione tra i pazienti stranieri e i professionisti sanitari. Quando le persone parlano lingue diverse, ci sono sfide che possono influire sulla qualità delle cure mediche e sull’efficacia del trattamento. In particolare, la mancanza di conoscenza della lingua può portare a malintesi, errori nella prescrizione di farmaci, e problemi nella comprensione di istruzioni importanti. Questi problemi possono essere aggravati quando ci sono differenze culturali e di contesto tra pazienti e professionista. Nelle righe che seguono esporrò un mio pensiero su come queste barriere linguistiche possono essere superate, attingendo soprattutto alla mia esperienza personale. 

Da diversi anni esercito la professione di farmacista, innegabilmente il primo punto di contatto tra i cittadini e il sistema sanitario nazionale. Ogni giorno mi reco nella farmacia in cui lavoro, alla periferia di Verona, con l’idea di non effettuare delle semplici vendite distributive di farmaci ma di provare a lasciare qualcosa di buono nella vita quotidiana delle persone che incontro. Naturalmente sento questa necessità crescere quando mi trovo davanti a pazienti in forte stato di vulnerabilità sociale e spesso questo avviene con pazienti non italiani.  

«Visita caratterizzata da una forte barriera linguistica». Il referto medico del neuropsichiatra infantile descrive così impietosamente la comunicazione con una giovane madre nigeriana, che aveva portato la figlia, affetta da una grave forma di autismo, in ospedale per una visita di routine. Blessing viene a trovarmi in farmacia non solo per ritirare le medicine per la sua bambina ma anche per raccontarmi con dovizia di particolari come sono andate le visite mediche, i progressi della sua bambina e le problematiche a scuola. Parla un inglese del tutto comprensibile, mi pone domande mirate sul significato di alcuni termini e sulla funzione dei farmaci che deve somministrare alla sua bambina. Tra me e Blessing non ci sono barriere linguistiche, ci capiamo benissimo. Inoltre, mi stupisce la consapevolezza di questa mamma, sempre con le documentazioni e i referti in ordine. Una volta mi ha particolarmente colpito quando ha rifiutato di acquistare uno sciroppo fitoterapico, consigliato dalla pediatria, perché per lei era uno «useless intake of sugar». Io e Blessing ci siamo capiti fin dalla prima volta instaurando un rapporto di fiducia tra farmacista e paziente. Il costo di questa relazione è pari all’impegno che devo metterci per parlare in inglese; quindi, praticamente nullo, specie se consideriamo che i dialoghi vertono sempre sugli stessi dubbi: «For how long will she take these medicines?»; «Everyday, until next consultation» oppure «My daughter does not sleep at night, can I give her more melatonin?», «No, always ask her pediatrician» . Questo tipo di relazione è assolutamente semplice, basta voler abbattere queste fantomatiche barriere linguistiche facendo quello sforzo in più per andare verso “l’altro”. Mi è venuto da pensare: «ma dov’è la barriera linguistica?». Purtroppo, noto spesso molti professionisti sanitari innervosirsi quando il proprio interlocutore non parla bene l’italiano, dimenticando che le nostre professioni (medico, infermiere, farmacista, ecc.) sono per loro natura professioni di aiuto, per cui il nostro obiettivo (nel mio caso, assicurarmi che il paziente assuma correttamente i suoi farmaci) è decisamente più importante di qualsiasi logoramento provocato dal rapporto col pubblico.  

Ho provato un momento di assoluto sconforto con Singh e Kaur, una coppia di giovani sposi indiani che sta per avere il suo primo bambino. Nessuno dei due parla né italiano né inglese. In qualche modo mi hanno fatto capire che Kaur, la futura neomamma, ha avuto dei preoccupanti picchi di pressione alta e che la situazione doveva essere costantemente monitorata. In più avevano con sé una sfilza di esami e controlli a cui sottoporsi senza che nessuno gli abbia spiegato cosa sono quegli esami e, soprattutto, come vanno prenotati. Misurata la pressione a Kaur, che fortunatamente era perfetta, ho potuto rassicurare la giovane coppia con il linguaggio universale del sorriso e del pollice in su. Ho chiesto loro di tornare nel pomeriggio per una seconda misurazione. Nel frattempo, mi sono organizzato per trovare una persona che parlasse la loro lingua, il punjabi. Fortunatamente si è reso disponibile per una videochiamata un mio amico dei tempi dell’università, un medico indiano che oggi lavora negli Stati Uniti. Nel pomeriggio, abbiamo organizzato una consultazione in diretta nella quale l’amico ha fatto da interprete, fugando così tutti i dubbi di Kaur che ha potuto così lasciare la farmacia certa di aver capito la sua situazione—ciò che aveva già fatto era giusto—e conscia di cosa restava da fare.  

Infine, è impossibile dimenticare il grande flusso di pazienti ucraini che sono arrivati sul territorio nazionale in fuga dalla guerra nel loro Paese. I più giovani parlano un inglese perfetto, ma con le persone più anziane il “santo” traduttore di Google ha risolto le situazioni più intricate. Basta solo la volontà di farlo. Solo la volontà, l’amore per i pazienti e nient’altro! 

Le barriere linguistiche e culturali possono avere un impatto significativo sulla qualità delle cure ricevute dai pazienti stranieri in ambito medico. Non è da negare la loro esistenza, né tanto meno la difficoltà nell’abbatterle. Ciò che però noi professionisti sanitari dobbiamo rimettere in discussione è la nostra volontà di calarci sempre nei panni dei nostri pazienti.  

È fondamentale da parte nostra essere consapevoli delle sfide affrontate dai pazienti stranieri ed essere proattivi nell’affrontarle. Dobbiamo impegnarci ad essere più aperti e flessibili andando verso una comprensione delle esigenze e delle prospettive peculiari di chi assistiamo. Abbracciando questa diversità culturale possiamo fornire cure migliori agli stranieri e contribuire a costruire un sistema sanitario più inclusivo ed efficace. 

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