“Patent first, publish later”

Istantanea di un Technology Transfer Manager e di un Avvocato ospedaliero  

Introduzione e contestualizzazione 

Proprietà intellettuale, ricerca e trasferimento tecnologico e del sapere sono da tempo termini interconnessi che ricorrono e risuonano nelle realtà universitarie consolidate, in cui vieppiù servizi dedicati, rispondono al nome di Technology Transfer Offices (TTOs). I TTOs fungono da recettori e intercettatori di attività di ricerca all’interno di atenei e centri di ricerca che possono, potenzialmente, sfociare in “trovati” con il potenziale per essere commercializzati. 

Non stupisce trovare sempre più aziende e start-ups interessate a prodotti o processi produttivi innovativi e investitori affini a tale ecosistema che o si propongono di offrire soluzioni pratiche per implementare tali invenzioni o assicurano sostegno economico ai progetti più allettanti. A maggior ragione, se si considera che l’interazione tra tutti questi soggetti è ormai un aspetto istituzionalizzato e non di rado promosso tramite fondi e/o strategie mirati. 

Non sorprende nemmeno che, un Cantone come il nostro, posto a metà strada tra due poli come Zurigo e Milano e sempre più propenso a diventare un luogo ideale per le attività in settori ad alto valore aggiunto come ad esempio le Life science o l’Information and Communications Technology (ICT), intenda cogliere i frutti di sinergie e dalla messa in rete di competenze specialistiche e di qualità già presenti sul territorio.

È in quest’ottica che l’Università della Svizzera italiana (USI), che tra le missioni vanta quella di offrire una formazione di qualità, conduce una ricerca scientifica di rilevanza internazionale e concorre allo sviluppo del proprio territorio fornendo un apporto al trasferimento della conoscenza, all’innovazione, all’imprenditorialità e al dibattito culturale e scientifico nei propri settori di competenza. Per tale motivo, l’università si è dotata sia di uno specialista del trasferimento tecnologico e della proprietà intellettuale, sia di un’unità strategica, dall’evocativo nome di “USI Transfer”. 

Anche l’Ente Ospedaliero Cantonale (EOC), partner di riferimento per l’ancora giovane ma dinamica facoltà di scienze biomediche dell’USI, ha da qualche anno creato un’area dedicata (AFRi – Area Formazione medica e Ricerca) e si è mosso in maniera apprezzabile e innovativa in ambito di ricerca, in particolare, ricerca clinica. Non a caso, il Prof. Dr. med. Alessandro Ceschi, capo area AFRi, presiede la giovane Commissione di proprietà intellettuale dell’EOC, il cui regolamento, recentemente aggiornato, andremo, come si usa ormai dire in altri contesti, a spoilerare in alcune sue parti più avanti. 

Se, quindi, diamo credito all’adagio secondo cui

una delle principali sfide per la nostra società è rappresentata dalla continua necessità di dover innovare per restare competitivi,

possiamo affermare che in questa evoluzione il trasferimento tecnologico e del sapere può giocare un ruolo trainante. E può giocarlo soprattutto perché colma il divario tra il mondo della ricerca e quello delle imprese e supporta i ricercatori nel trasferire con successo un’idea protetta al mercato, grazie al deposito di una domanda di brevetto, portando benefici per tutti. 

Scopo di questo testo, che gli autori hanno scritto a quattro mani attingendo al proprio bagaglio e ambito di competenze e al proprio osservatorio privilegiato, è quello di illustrare alcuni aspetti poco noti ai più, ma che sono di sicuro impatto per la piccola ma dinamica realtà ticinese, specie in un ambito, quello della ricerca e dell’innovazione, in costante crescita. 

 

“Swiss Light Source, 1”, Andrea Foglia, 2016
“Swiss Light Source, 1”, Andrea Foglia, 2016

 

Alcuni esempi illustri 

Si converrà che è impensabile parlare di proprietà intellettuale – intesa come sistema di tutela giuridica del frutto dell’attività creativa ed inventiva umana come invenzioni (brevetto), software (brevetto e/o diritto d’autore), opere letterarie o artistiche (diritto d’autore), nuove forme creative (design), segni e loghi distintivi (marchio registrato) – senza far cenno, seppure al trotto, ad alcuni esempi illustri di trovati brevettabili che sono il risultato della proficua collaborazione tra atenei, inventori ed industria. 

Chi non conosce il motore di ricerca Google, il cui algoritmo alla base dello stesso è stato sviluppato da Larry Page e Sergey Brin mentre svolgevano il dottorato presso l’Università di Stanford? Oppure la bevanda Gatorade sviluppata da un team di ricercatori presso l’Università della Florida nell’intento di aiutare la squadra di football locale a rimanere idratata? O in ambito medico la risonanza magnetica (Università dell’Illinois) o la tecnica nota come “CRISPR-Cas9” sviluppata grazie alla ricerca in varie istituzioni, tra cui l’Università di Berkeley che ha aperto le porte alle future terapie geniche per il trattamento delle malattie ereditarie? Come noti sono, in fase pandemica Covid 19, la scoperta della tecnologia alla base del vaccino a mRNA sviluppato da Pfizer-BioNTech, frutto di una assidua collaborazione con l’Università della Pennsylvania. Azienda BioNTech che è il prospero seguito di una startup fondata da ricercatori dell’Università di Mainz in Germania. 

E come non menzionare, per tornare alle nostre latitudini, l’azienda Humabs Biomed SA (ora una società controllata da Vir Biotechnology Inc.), che insieme alla GlaxoSmithKline (GSK) ha lanciato il Sotrovimab, un anticorpo monoclonale utilizzato nel trattamento del COVID-19, isolato grazie ad un metodo scoperto dal Professor Antonio Lanzavecchia all’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB) di Bellinzona (metodo brevettato da IRB e successivamente concesso in licenza alla Humabs Biomed SA). 

 

Intellectual property has the shelf life of a banana 

Bill Gates, una delle persone più facoltose e influenti al mondo, che ha costruito la propria fortuna sfruttando commercialmente la proprietà intellettuale, in particolare attraverso le licenze software (Microsoft Windows and Co.),

paragonò l’esistenza della proprietà intellettuale alla vita di una banana

(“Intellectual property has the shelf life of a banana”). Con tale aforisma, Gates intendeva contrapporre in maniera graffiante una certa apatia normativa sulla proprietà intellettuale, che persegue lo scopo di promuovere l’innovazione concedendo agli inventori diritti esclusivi temporanei sulle loro opere, alla straordinaria dinamicità con cui si realizzano innovazioni e progressi tecnologici, quasi a voler ricordare la dubbia efficacia di tali protezioni. A titolo di paragone, nel settore ICT, le componenti elettroniche più recenti possono risultare superate dopo pochi anni (se non mesi), costringendo le aziende ad un rinnovo costante, mentre ambiti come quello farmaceutico, che godono di una protezione brevettuale di (soli) 20 anni appaiono insufficienti per recuperare gli investimenti e generare profitto, a fronte di processi di sviluppo e approvazione lunghi e onerosi. Questo divario tra settori sottolinea quanto sia fondamentale adattare le strategie di protezione della proprietà intellettuale alle peculiarità dell’innovazione e del mercato di riferimento. 

 

Un po’ di storia 

Corrado Augias, in un recente compendio (Breviario per un confuso presente), parafrasando nientepopodimeno che il Petrarca, ricordava l’importanza del “simul ante retroque prospiciens”, ossia del volgere lo sguardo nello stesso tempo al passato e al futuro, a rammentare il valore della proiezione verso il futuro senza trascurare la genesi delle cose. 

Si dica allora che il principio del technology transfer nasce negli anni Ottanta negli Stati Uniti, nel momento i cui il Patent and Trademark Amendment Act, noto anche come Bayh-Dole Act, permise alle università americane di registrare brevetti per le invenzioni da loro sviluppate (riferimento).

Un cambio di paradigma, con il quale si favorì l’idea secondo cui le università ed altri centri di ricerca dovessero essere in grado di controllare, anche commercialmente, i brevetti che derivavano dalle loro ricerche, cosa impensabile prima di tale regolamentazione.

Tale idea fu lo sprono per creare pure in Svizzera, agli inizi del Duemila, degli uffici dedicati al trasferimento tecnologico e del sapere, con l’obiettivo di valorizzare i trovati risultanti dalla ricerca.  

 

Proprietà intellettuale, attori principali e regolamenti dedicati 

Alla base del citato processo di technology transfer vi è la proprietà intellettuale. «La proprietà intellettuale e i relativi diritti, sono oggetto di un sistema di tutela giuridica dei beni immateriali per proteggere le attività creative ed inventive dall’abuso commerciale e dalla riproduzione illecita e vuole favorirne lo sfruttamento» recita l’art. 1 del Regolamento EOC dedicato al tema di cui all’oggetto. Fanno parte della proprietà intellettuale i brevetti volti a proteggere le invenzioni, il diritto d’autore, ma anche i software, i marchi per proteggere loghi e nomi utilizzati dalle aziende per distinguersi e caratterizzare i propri servizi da quelli di altri, il design inteso come aspetto estetico di un articolo, come pure il know-how e i segreti commerciali. 

Basta citare l’art. 1 della Legge federale sui brevetti («Si rilasciano brevetti d’invenzione per le invenzioni nuove utilizzabili industrialmente»), precisando che «Ciò che risulta in modo evidente dallo stato della tecnica (art. 7 cpv. 2) non costituisce un’invenzione brevettabile» per comprendere che per poter ambire ad un trovato potenzialmente brevettabile si tratta di profondere uno sforzo innovativo – perché per definizione per ottenere un brevetto vanno comprovati i requisiti di novità, di inventività e di applicabilità industriale – non indifferente: in altre parole,

gli ostacoli da superare per poter ottenere un brevetto su un’invenzione sono svariati e variegati.

Nella rapida carrellata che questo testo si prefigge, non si può non menzionare l’Istituto federale della proprietà intellettuale (IPI) con sede a Berna, che funge da principale interlocutore della Confederazione per tutte le questioni concernenti i marchi, i brevetti, le indicazioni di provenienza, la protezione del design e i diritti d’autore.

Presso tale Istituto, per cui all’inizio del secolo scorso prestò servizio pure Albert Einstein,

è possibile depositare un marchio, un brevetto o un design a livello nazionale o, a seconda della procedura, anche a livello internazionale. Esso offre svariate possibilità di ricerca per marchi, brevetti e tecnologie nonché prezioso materiale informativo e servizi specialistici. 

Come avviene in altre realtà e strutture di simili interessi e dimensioni, anche l’EOC, intendendo incoraggiare lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e la valorizzazione della ricerca anche mediante il trasferimento della tecnologia connessa alle creazioni intellettuali dei propri collaboratori (persone assoggettate), interessato alla tutela e allo sviluppo di risultati potenzialmente brevettabili e/o altrimenti tutelabili, si è dotato di un Regolamento dedicato, attualizzato di recente. Nello stesso sono disciplinate la gestione, la titolarità e le procedure volte alla tutela e allo sfruttamento delle innovazioni, invenzioni, applicativi informatici (software) e dei risultati frutto della ricerca in ambito clinico.  

Per quanto concerne la titolarità della proprietà intellettuale, le persone assoggettate a tale Regolamento, aspetto non di rado negletto, sono di principio tutti i collaboratori dell’EOC, ma in modo particolare coloro che sono al beneficio di un contratto a tempo indeterminato o determinato, inclusi i ricercatori, i dottorandi, gli stagisti, i contrattisti di ogni genere, il personale tecnico ed amministrativo coinvolto in progetti di ricerca; pure i medici aggiunti e i medici consulenti regolari nella misura in cui il “risultato” sia frutto di attività svolte in EOC. 

In linea con l’art. 332 CO (Diritti sulle invenzioni e sul design), applicato direttamente o per analogia, tali risultati possono appartenere a una delle seguenti categorie:  

  1. risultati sviluppati o creati dalle persone assoggettate nello svolgimento della loro attività lavorativa e nell’adempimento dei loro obblighi contrattuali (per maggior chiarezza: nel caso di invenzioni, cosiddette “Aufgabenerfindungen”) 
  2. risultati sviluppati o creati dalle Persone Assoggettate nello svolgimento della loro attività presso EOC ma non nell’adempimento di propri obblighi contrattuali (per miglior chiarezza: nel caso di invenzioni, cosiddette “Gelegenheitserfindungen”) oppure 
  3. risultati derivanti da attività di ricerca commissionate da terzi all’EOC. 

 

Commissione proprietà intellettuale EOC 

Il Regolamento citato è lo strumento attraverso il quale opera la Commissione proprietà intellettuale EOC, consesso nel quale siedono pure i due autori, l’avvocato ospedaliero, che coordina le attività della stessa, e il Technology Transfer Manager, che presta supporto in relazione al tema della proprietà intellettuale e al trasferimento tecnologico e del sapere. La Commissione valuta, previo inoltro di un formulario dedicato (Invention disclosure form), le invenzioni potenzialmente brevettabili e si esprime sulla forma di tutela più idonea, attivando eventuali procedure di deposito brevetti e procedendo alla negoziazione di accordi di licenza e relativa contrattualistica, con particolare riferimento all’industria. La Commissione può fornire consulenza tesa alla costituzione di attività imprenditoriali che implicano lo sfruttamento della proprietà intellettuale di EOC. 

 

“Swiss Light Source, 2”, Andrea Foglia, 2016
“Swiss Light Source, 2”, Andrea Foglia, 2016

 

Conclusione  

Per riuscire ad implementare una strategia efficace, che tuteli la proprietà intellettuale del trovato del clinico,

è imperativo infondere ai ricercatori il seguente mantra: “patent first, publish later”, ricordando che l’uno non esclude l’altro.

In altri termini, la pubblicazione su riviste (anche di prestigio) e il contestuale ottenimento di un brevetto sulla scoperta è possibile, a condizione che ci si attenga a questa semplice regola. In caso contrario, venendo a mancare il requisito di novità, presupposto per un deposito valido ed efficace, la possibilità di brevettare decade. 

Sia come sia, il traguardo da questo testo – a tratti scanzonato e svincolato da steccati disciplinari – viene raggiunto se la panoramica offerta riuscirà a stimolare la curiosità di chi vorrebbe impratichirsi in questo ambito e favorire, laddove possibile, un’adeguata protezione a favore della società di nuove scoperte scientifiche e tecnologiche, generate da professionisti seri ed innovativi, che meritano tutela attraverso strategie, fondi e personale qualificato in grado di individuare, nei giusti tempi e secondo modalità adeguate e formalmente corrette, le potenziali innovazioni. 

Se poi, senza alcuna pretesa, gli autori fossero riusciti pure nell’intento di chiarire che dietro all’affascinante mondo della proprietà intellettuale e del tech transfer non si celano diavolerie, bensì si fa strada una concreta necessità di poter fornire un servizio di qualità attraverso persone qualificate, in un settore a cavallo tra lo scientifico, il tecnico ed il giuridico, affinché il frutto dell’ingegno di ricercatori non si estingua in un mero esercizio accademico… tanto meglio.  

Certamente, ed è ciò che più conta, queste parole costituiscono un punto di partenza: il segreto per andare avanti è iniziare! Non dimenticando la massima “Patent first, publish later”. 

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