Violenza domestica

Tra dovere di confidenzialità e salvaguardia dell’integrità personale 

La prima parte di questo contributo è consultabile qui. 

«Chiunque esercita una professione sanitaria (…) ha l’obbligo di informare il Ministero Pubblico di ogni caso di malattia, di lesione o di morte, per causa certa o sospetta di reato, venuto a conoscenza nell’esercizio della professione». Così l’articolo 68 della Legge sulla promozione della salute e il coordinamento sanitario (LSan) recitava fino al marzo 2019. Questo obbligo costituiva una deroga al principio del segreto professionale, secondo quanto previsto dal cpv 3 dell’articolo 321 del Codice Penale.  

È da notare che, quando era in vigore nel nostro cantone, questo obbligo era considerato un “unicum” a livello svizzero poiché nessuna altra legge sanitaria cantonale lo prevedeva in modo così esteso ed esplicito. Un accordo informale (gentlemen’s agremment) pattuito con il Procuratore Generale prevedeva di limitare questo obbligo ai soli reati perseguibili d’ufficio. Le vittime di aggressione che si presentavano in un servizio di Pronto Soccorso con delle lesioni di lieve entità (lesioni semplici) erano quindi escluse da questa pratica, ad eccezione però delle persone che avevano subito violenza in ambito domestico o famigliare.  

Questo in virtù della modifica dell’articolo 123 del Codice penale, introdotta nel 2004, che indica «il colpevole è perseguito d’ufficio: 

  • (…) 
  • se egli è il coniuge della vittima e ha agito durante il matrimonio o nell’anno successivo al divorzio 
  • se egli è il partner registrato o l’ex partner registrato della vittima e ha agito durante l’unione domestica registrata o nell’anno successivo al suo scioglimento 
  • se egli è il partner eterosessuale o omosessuale della vittima, a condizione che essi vivevano in comunione domestica per un tempo indeterminato e l’atto sia stato commesso durante questo tempo o nell’anno successivo alla separazione».

Questo obbligo aveva diverse conseguenze potenziali. La prima era quella di agire a volte contro la volontà della vittima. In alcuni casi, infatti, la posizione della persona aggredita era (ed è) di tale dipendenza (emotiva, economica, sociale, …) nei confronti dell’aggressore che il pensiero di una denuncia con conseguente intervento dell’autorità induceva concretamente il timore di un ulteriore aggravamento della situazione. La seconda era che l’invio sistematico di una segnalazione alla Magistratura portava (anche inconsciamente) ad una certa deresponsabilizzazione degli operatori sanitari nei confronti della situazione che veniva per così dire “delegata ad altri”, senza considerare che i tempi di reazione dell’autorità giudiziaria potevano essere a volte non così tempestivi, esponendo quindi le vittime al rischio di una recidiva e eventualmente anche di una escalation delle violenze subite. Infine, la presenza di un obbligo di segnalazione rappresentava un possibile “deterrente” al chiedere aiuto da parte di quelle vittime che necessitavano di un supporto medico ma che, al contempo, non erano pronte a intraprendere una denuncia penale nei confronti dell’aggressore. 

Nel marzo 2019, a seguito di un ricorso interposto al Tribunale federale, in occasione di una revisione della stessa LSan, l’alta corte di Losanna ha stabilito che questo obbligo sistematico di segnalazione fosse incompatibile con il principio della confidenzialità ed in contrasto con il diritto superiore (Codice Penale) in ambito di segreto professionale. Dopo questa sentenza l’articolo in questione è stato modificato e l’obbligo di segnalazione ridotto ai soli casi di decesso, ribaltando de facto la situazione verso l’estremo opposto: nessuna possibilità di segnalare senza il consenso esplicito dell’interessata/o e questo anche di fronte a situazioni drammatiche e ad alto rischio. Questo ha posto i curanti di fronte a una situazione totalmente nuova dove l’assunzione di responsabilità è diventata un imperativo inderogabile. Parallelamente la sensibilità nei confronti di questo problema è cresciuta sia a livello sociale che istituzionale.  

All’interno dell’EOC questo ha portato all’introduzione progressiva di tutte le misure descritte nella prima parte di questa riflessione, ma permangono la perplessità e il disagio legato all’impossibilità di segnalare delle situazioni dove si intravede la possibilità di una evoluzione tragica anche a breve termine. 

Da alcuni anni è stato istituito a livello cantonale un gruppo di lavoro inter-professionale incaricato di proporre al legislatore una formulazione atta a introdurre una modifica ulteriore dell’articolo 68 LSan intesa a istituire una “facoltà di segnalazione” come esiste in altri cantoni. Questo lascerebbe all’operatore sanitario la possibilità di sottoporre all’autorità giudiziaria (anche contro la volontà della vittima) quelle situazioni giudicate ad alto potenziale di evoluzione negativa e questo a tutela dell’incolumità della vittima. Ovviamente questa decisione presuppone da una parte la necessaria competenza nello stabilire oggettivamente l’esistenza di un potenziale rischio di escalation della violenza agita e dall’altro l’assunzione di responsabilità nei confronti di quello che rimane pur sempre un dilemma costituito dalla contrapposizione tra il dovere di confidenzialità e segretezza e quello della salvaguardia dell’incolumità. 

Purtroppo, a due anni e più dall’inizio dei lavori di questo gruppo non si è ancora riusciti a coagulare l’accordo di tutti i partecipanti su una formulazione univoca. Siamo fiduciosi che il nuovo anno porterà una soluzione confacente ai bisogni di operatori sanitari e vittime.

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