Tre S per dire l’esistenza: soli, solidali, solitari

Terre di ghiaccio, terre di fuoco e terre di vento 

Tre S per dire una condizione esistenziale, che ci accompagna lungo il cammino della vita. Una vita che ci consegna ad una solitudine ineludibile e a volte implacabile, ma anche ad una solidarietà donata e ricevuta da chi tende la sua mano verso di noi. Nel momento della disperazione e dello sconforto, quando non si sa più che fare, al crocevia di scelte spesso impossibili, di decisioni dolorose, di sconfitte e di perdite che cancellano l’orizzonte della speranza, la “solitudine nera” è là a ricordarci tutta la nostra fragilità.  

Siamo soli nell’attimo di venire al mondo, siamo soli nell’ultimo momento della vita, siamo soli nel dolore più profondo e paradossalmente anche nella gioia più grande.

Certo anche la gioia è come una soglia al di là di cui si ode già il rumore della caduta, che rinvia a quella incertezza, che tutto può cancellare come un lievissimo batter d’ali. L’incertezza di vita, questo essere in bilico su un destino ignoto, di cui non ho controllo alcuno, è la casa della solitudine. Possiamo certo far finta di nulla, tentare di cancellare la sua compagnia così ingombrante; anzi potremmo dire che tutta una vita può essere spesa per mascherarla, negarla, oppure semplicemente per imparare a dialogare con lei e farsela amica.  

Lungo tutta una vita, in certi momenti in modo quasi parossistico, si è alla ricerca di una sorgente, in cui dissetarsi, di una fonte di frenesia e d’euforia, che per un momento ci illuda, che se ne sia andata per sempre, la solitudine. Eppure, è da questa condizione, prima esistenziale e poi psicologica, che nascono i fiori bellissimi dell’amicizia, dell’amore, della cura dell’altro, della ricerca di una comunità. È dalla sua presenza cupa e nera che la nostra anima si fa dimora per l’Altro.  

La solitudine fondamentale, familiare e straniera insieme, che testimonia di questa nostra condizione di uomini, ospiti sin dal primo attimo della vita e del mondo, diviene così lentamente “solitudine accompagnata”, creativa e generativa compagna di vita.

Ognuno di noi è posto su questo “palcoscenico”, quando è costretto dagli eventi di vita a rivivere e a ripensare il senso e il limite della propria libertà.

Una libertà che può recitare almeno tre “finali di partita”.  

L’uno è certamente quello della rassegnazione ad una condizione umana sconfitta e disperata, che non sa più riconoscere nessun “amico”, nessuna possibile ospitalità nei confronti di un altro uomo, a cui poter affidare la propria angoscia per un momento. È come una libertà amputata, senza le sue ali, costretta a piegare il capo sull’aia alla ricerca affannosa degli ultimi granelli di una vita smarrita. Spesso è più la miseria spirituale del mondo che quella materiale ad impedire di nuovo il volo. Un mondo senza il valore della comunità, la forza creatrice della solidarietà, senza la gratuità dell’amicizia è certamente un mondo più inospitale, in cui è più facile sentire la presenza pesante e tremenda della “nera solitudine” nelle sue contrade affaristiche.

Noi tutti possiamo accorgerci in quei momenti difficili di essere abitati da un “deserto”, che spesso appartiene alle nostre esperienze infantili o che è cresciuto con il tempo nella durezza della vita, “inaridendo” il nostro giardino interiore.

Un “giardino inaridito” non ha posto per nessuno; solo qualche erbaccia rancorosa e dal sapore acido della sconfitta vi può sopravvivere.  

Un giorno avevo accostato per pochi istanti la mia vettura al bordo di un marciapiede di città per lasciar consegnare a chi mi accompagnava un pacchetto al negoziante che stava di fronte. Un’anziana signora (ma nemmeno troppo) improvvisamente mi si avvicinò e con il suo bastone da passeggio picchiò violentemente sul cofano della mia macchina inveendo parole incomprensibili. Il suo volto mostrava rabbia, ma i suoi occhi contenevano una solitudine, che quel gesto provava a nascondere. La mia sorpresa un po’ irritata lasciò presto il posto ad un senso profondo di compassione. La fretta, la situazione m’impedì di ascoltarla 

Nessun “giardino” è, infatti, tanto inaridito da escludere che qualche fiore possa trovarvi di nuovo posto. La rabbia della “solitudine solitaria” può anche rivolgersi contro sé stessi e provocare nuove ferite, nuovi dolori che nemmeno più trovano la via di un nemico esterno. È la via della malattia dell’anima e a volte persino del corpo.  

Un secondo modo di fare i conti con la solitudine fondamentale è certamente quello di negarla nell’ebbrezza illusoria ed effimera della frenesia e di una felicità artificiale.

In alcuni tempi della vita, come, ad esempio, nell’adolescenza, è questa persino una modalità quasi normale e necessaria, anche se rischiosa. L’adolescenza è, infatti, la stagione in cui il confronto con la solitudine fondamentale si fa per la prima volta acuto e inevitabile. Non penso tanto alle ebbrezze patologiche, quanto ai “forzati della felicità”, che la nostra società tanto diffonde e propaganda.  

Vi è, infine e per fortuna, una terza possibile via. Una via che sta sostanzialmente nella capacità di accettare con umiltà (che non è rassegnazione) e dialogare con questa condizione esistenziale della vita. Sta nel farsi ospitali all’altro come soccorritore e amico, come qualcuno che condivide con noi la stessa condizione umana. Sta nel partecipare a costruire una comunità di uomini capace di trasformare questa solitudine in solidarietà e fratellanza, appunto in “solitudine accompagnata”.

Sta nel poter ritrovare e riconoscere dentro di Sé una Voce, che viene da lontano, forse dalla nostra stessa infanzia, ma anche da “qualcuno” che la trascende, da quel Dio, che ci abita nel profondo della nostra interiorità.

L’incontro con questo Altro fonda una presenza, che «realizza – come scrive Giovanni Reale – un incontro di massima vicinanza con ciò che è massimamente distante» e che fa dire a S. Agostino in una sua pagina meravigliosa: «E tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta». Questa presenza viva non eviterà il dolore e la sconfitta, ma non spegnerà la speranza.  

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