L’effetto Pigmalione

Il becco del pellicano 

Eugenio Borgna sostiene che quando si prendono in cura persone con una malattia mentale si può incontrare il cosiddetto “effetto Pigmalione” chiamato anche “effetto Rosenthal”, cioè quella profezia che si autorealizza e che può determinare il destino di una malattia proprio come accade, ancor più chiaramente, nell’educazione dei/lle bambin* rispetto al loro destino scolastico. In altre parole, se si crede che un/a alliev* è poco dotat*, sarà trattat*, anche inconsciamente, “diversamente”: il giudizio sarà da lui/lei interiorizzato e il suo comportamento sarà conseguente, in un circolo vizioso e perverso. È interessante notare che la letteratura scientifica della sociologia del lavoro riconosce lo stesso fenomeno in tale ambito. Robert Rosenthal, psicologo sociale dell’Università di Harvard che nel 1968 sperimentò l’influenza di una visione positiva sull’altro, dimostrò che se i docenti si dessero la pena di applicare l’effetto Pigmalione in positivo, l’interesse e la passione degli/lle alliev* aumenterebbero in modo significativo.  

Se poi ci riferiamo in particolare alle/agli alliev* che provengono da ambienti sociali vulnerabili, si potrebbe arrivare a giustificare, sia per il principio etico della giustizia distributiva sia per le limitate risorse scolastiche in termini di tempo e disponibilità, un atteggiamento didattico tendente alla “discriminazione positiva”: un tentativo per diminuire almeno di un poco le differenze dovute alla povertà economico-sociale delle famiglie degli allievi e delle allieve. L’effetto Pigmalione si manifesta anche nel contesto famigliare, soprattutto, come spiega Anna Zanon, nella relazione fra genitori e figli, contribuendo a creare effetti negativi significanti, che, alla fine, condizionano i criteri di selezione e, quindi, l’equità dei sistemi formativi. Il rischio di una “ingiusta” selezione rispetto alle origini socio-culturali è sempre in agguato, anche ai giorni nostri. Come scriveva Pierre Bourdieu, la “selettività ingiusta” della scuola influenza la riproduttività sociale ed è condizionata dall’habitus della classe sociale d’appartenenza, così che la stessa selezione non avviene per le competenze, ma semplicemente per l’origine sociale degli/lle alliev*. Anche Christophe Delay, già nel 2011, nel suo libro Les classes populaires à l’école, sosteneva che non è dovuto al caso se le classi popolari hanno un tasso alto di “mortalità scolastica”, ma al fatto che la scuola resta una «macchina normalizzatrice con norme per lo più adattate dalla e per la borghesia». 

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Una risposta a “L’effetto Pigmalione”

  1. Gianni Trezzi

    Sono d’accordo. Le eccellenze si manifestano anche a scuola, però non GRAZIE alla scuola. Sono talenti – per usare un termine alla moda – nati e cresciuti in famiglie socioculturalmente “agiate”, non solo finanziariamente. La scuola non pare in grado di fare emergere i talenti nascosti, in fieri, ancora in boccio a causa di un contesto familiare non facilitante. È un grande spreco di intelligenze, nonché un esempio da manuale di uso inefficace delle risorse pubbliche. Finché si proseguirà a fare scuola come la faceva Comenio nel ‘600 temo non ci saranno cambiamenti di prospettiva e le distanze di ceto perpetueranno lo status quo, per cui il figlio/a dei laureati frequenterà il liceo, quello/a del semianalfabeta di ritorno – se va bene – il professionale. Triste ma vero, purtroppo

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Un pensiero su “L’effetto Pigmalione

  1. Gianni Trezzi dice:

    Sono d’accordo. Le eccellenze si manifestano anche a scuola, però non GRAZIE alla scuola. Sono talenti – per usare un termine alla moda – nati e cresciuti in famiglie socioculturalmente “agiate”, non solo finanziariamente. La scuola non pare in grado di fare emergere i talenti nascosti, in fieri, ancora in boccio a causa di un contesto familiare non facilitante. È un grande spreco di intelligenze, nonché un esempio da manuale di uso inefficace delle risorse pubbliche. Finché si proseguirà a fare scuola come la faceva Comenio nel ‘600 temo non ci saranno cambiamenti di prospettiva e le distanze di ceto perpetueranno lo status quo, per cui il figlio/a dei laureati frequenterà il liceo, quello/a del semianalfabeta di ritorno – se va bene – il professionale. Triste ma vero, purtroppo

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